Usa, Brasile, Uk, Svezia. Possiamo dire che l'immunità di gregge era una follia.
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La pandemia di COVID-19 nel mondo, è stata affrontata in vari modi. C’è stato chi – come molte nazioni europee tra cui l’Italia, la Francia e la Spagna – per bloccare il contagio ha seguito l’esempio cinese, affidandosi a un lockdown più o meno severo, e c’è stato invece chi ha deciso di affidarsi al buon senso dei cittadini per fermare l’avanzata dell’epidemia e per cercare di raggiungere la cosiddetta immunità di gregge in modo spontaneo. Teoricamente l’immunità di gregge è raggiungibile solo attraverso l’uso sistematico dei vaccini. Nel caso del SARS-CoV-2, però, non abbiamo ancora un vaccino a disposizione e, probabilmente, non lo avremo ancora per molto tempo. La strada verso l’immunità di gregge che alcuni Stati stanno cercando di perseguire, quindi, consiste nel far contrarre il virus – e quindi immunizzare –  più persone possibile.

L’immunità si basa sulla produzione di anticorpi, proteine specifiche che servono a riconoscere e debellare un’infezione e che vengono prodotte da alcune cellule del sistema immunitario quando l’organismo entra in contatto con un agente patogeno, come appunto un batterio o un virus. Nel caso di un patogeno nuovo, come il virus SARS-CoV-2, responsabile della COVID-19, la produzione di anticorpi richiede più tempo. Tuttavia, solitamente, nell’organismo infettato resta una “memoria” di quell’agente infettivo e, nel caso di un contatto successivo, il sistema immunitario lo riconosce e sviluppa molto più rapidamente gli anticorpi per debellarlo. Quando almeno il 70-80% di una popolazione sviluppa gli anticorpi protettivi l’agente patogeno non ha più la possibilità di circolare e risultano protetti anche coloro che non hanno mai incontrato il patogeno in questione.

Far ammalare quante più persone possibile di una malattia ancora in parte sconosciuta presenta notevoli rischi. Molti esperti sono d’accordo nell’affermare che permettere al virus di infettare la popolazione potrebbe sì aiutare a raggiungere più rapidamente l’immunità di gregge, ma a costi sociali altissimi: non solo morirebbero molte persone affette da COVID-19, ma gli ospedali sarebbero al collasso, rendendo impossibile la cura anche di chi arriva al pronto soccorso con altre patologie altrettanto gravi. Secondo David Dowdy, epidemiologo della Johns Hopkins University, attualmente, negli Stati Uniti, prima nazione al mondo con oltre un milione di casi, è immune appena l’1-2% della popolazione, con un numero di morti che ha superato le 80mila unità. “Se il 70% della popolazione globale sviluppasse gli anticorpi, si conterebbero decine di milioni di morti”. 

C’è poi un altro tipo di rischio da considerare parlando della COVID-19: è appunto una malattia nuova, che gli scienziati stanno iniziando a comprendere solo ora, e solo parzialmente. Gli studi al momento disponibili, infatti, sono a uno stadio preliminare. Basandosi su quello che si sa sugli altri coronavirus umani che causano gravi sindromi, come quelli da cui originano la SARS e la MERS, gli esperti hanno dimostrato che tutti coloro che contraggono il virus sviluppano anticorpi, e questa è un ottima notizia (altrimenti neanche il vaccino funzionerebbe), ma i meccanismi sull’eventuale immunità non sono ancora chiari. Ecco perché la maggior parte degli scienziati consiglia ai governi di aspettare. 

Nell’attesa, che potrebbe essere ancora lunga, alcuni governi come sappiamo hanno però scelto di salvaguardare le economie nazionali evitando il lockdown, adottando misure che prevedono una convivenza a lungo termine con il virus. In questi casi a  essere protette sono solo le fasce a rischio della popolazione, mentre tutti gli altri possono continuare a vivere una vita normale nonostante l’alto rischio di infezione.

È quello che è accaduto nel Regno Unito durante i primi giorni del dilagare della pandemia in Europa, quando ancora la pericolosità del virus era, da molti, presa sottogamba. Molti ricorderanno la triste frase di Boris Johnson, che consigliava agli inglesi di abituarsi all’idea di perdere i propri cari, dal momento che il governo aveva deciso di non chiudere nessuna attività e di lasciare che si ammalasse il più alto numero di persone. Una strategia, però, ben presto abbandonata, non solo in seguito all’aumento esponenziale dei casi e dei morti, ma anche in seguito al ricovero in terapia intensiva dello stesso premier. Il governo inglese ha successivamente adottato una forma blanda di lockdown, che continua, però, ad avere regole poco chiare.

Una strategia simile è stata adottata dalla Svezia, dove la ministra degli Esteri Ann Linde ha però affermato di non puntare all’immunità di gregge, ma semplicemente di basarsi sul senso di responsabilità della popolazione. Alle fasce più a rischio è stato raccomandato di rimanere volontariamente in casa e di praticare il distanziamento sociale, mentre per il resto della popolazione è stato incrementato il lavoro agile, che in Svezia è già una realtà consolidata da anni. I ristoranti, le scuole, i parchi pubblici e la maggior parte delle attività economiche sono rimasti aperti, ma è stato sconsigliato alle persone di frequentarli e di creare assembramenti.  Anders Tegnell, epidemiologo e consigliere scientifico del governo, ha affermato che la strategia adottata è stata quella di mantenere il tasso di contagio a un livello sostenibile per il sistema sanitario, senza però adottare misure troppo gravose per l’economia. A distanza di due mesi, ha dichiarato: “è stata davvero una sorpresa, devo dire che non avevamo calcolato un così alto numero di morti”. Infatti l’approccio svedese ha ricevuto diverse critiche, tra cui quella pubblicata sul quotidiano Dagens Nyheter, in cui ventidue scienziati hanno affermato che le autorità sanitarie svedesi hanno fallito, e che bisognerebbe adottare misure più severe. La loro critica va all’elevato numero di decessi, avvenuti soprattutto nelle case di riposo, più alto rispetto alle altre nazioni nordeuropee che, invece, hanno adottato le misure di lockdown. In Svezia, infatti, ci sono stati 5918 morti, contro i 677 della Danimarca, i 346 della Finlandia e i 278 della Norvegia.

Svezia, aprile 2020

A differenza di quanto si potrebbe credere il modello svedese è stata aspramente criticato anche da Donald Trump, nonostante la strategia statunitense semplicemente non sembri essere una strategia. Dopo un breve periodo di lockdown, infatti, la maggior parte degli Stati ha deciso, anche a seguito delle numerose proteste di persone che vedevano limitata la propria libertà, di riaprire tutto in nome dell’economia. Non solo: molti giovani statunitensi hanno iniziato a organizzare dei veri e propri coronavirus parties per essere contagiati intenzionalmente. Un atteggiamento che, secondo le autorità sanitarie, è irresponsabile e pericoloso.  

La maggior parte degli scienziati sembra essere concorde sul fatto che la ricerca dell’immunità di gregge, ottenuta facendo ammalare più persone possibile, ha conseguenze devastanti in termini di morti e di sovraccarico degli ospedali, e non ha alcuna sicurezza sulla sua efficacia e sulla sua durata nel tempo. “Prima o poi verrà raggiunta un’immunità di gregge, ma non vogliamo che accada troppo in fretta, ci sarebbero troppi morti”, ha detto Gypsyamber D’Souza, docente di immunologia della Johns Hopkins University Bloomberg School of Public Health. “Le misure preventive come il distanziamento sociale ci stanno dando del tempo per sviluppare un vaccino che, si spera, possa essere utilizzato per ottenere l’immunità di gregge”. Un’immunità controllata e sicura, che non comporti la perdita di tante vite umane, soprattutto tra le fasce più deboli della popolazione.

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