Tra la prima e la seconda ondata dell’epidemia di Covid-19 molti italiani si sono chiesti perché il governatore della Lombardia Attilio Fontana non si fosse dimesso. I motivi per farlo erano tanti da poter fornire il pretesto per commissariare la regione Lombardia, ma il calo dei contagi post lockdown sembrava aver portato a un colpo di spugna sull’operato di Fontana e sulle vicende giudiziarie che lo riguardavano. Il rallentamento estivo doveva servire soprattutto per fare un bilancio sulla prima ondata, comprendere le criticità e ciò che non ha funzionato, lavorare per porvi rimedio e programmare un piano per la recrudescenza del virus. In Lombardia non è stato fatto nulla di tutto questo, e oggi si trova nella stessa situazione di otto mesi fa.
All’epoca la giustificazione della giunta si basava sul fatalismo: per puro caso l’epidemia è esplosa in Lombardia, non avevamo la sfera di cristallo. In realtà il virus aveva toccato anche Emilia Romagna e Veneto, regioni che hanno evitato il peggio agendo con prontezza, istituendo zone rosse senza attendere le indicazioni del governo e lavorando su un sistema di tracciamento migliore di quello lombardo – soprattutto in Veneto con il piano dei tamponi del virologo Andrea Crisanti. Anche giustificarsi con l’estensione della regione e gli oltre dieci milioni di abitanti si è rivelata una scusa errata a livello scientifico: le percentuali di contagio rispetto al numero di abitanti erano comunque enormemente più alte del resto d’Italia. Tutto questo è stato aggravato dalle delibere che hanno finito per causare centinaia di morti nelle Rsa lombarde, dalle ripetute gaffe dell’assessore al Welfare lombardo Giulio Gallera, dall’immobilismo di fronte alla tragedia e dai conflitti d’interesse arrivati anche nelle aule dei tribunali. L’atmosfera estiva da scurdammoce ‘o passato era già di per sé ridicola, ma con la seconda ondata siamo arrivati al culmine, con il ripetersi degli stessi errori da parte di chi ha avuto mesi per prepararsi e non l’ha fatto.
Lo confermano i numeri, a partire dall’ultimo dato completo sui contagi, ovvero quello del 7 novembre, in quanto i dati successivi risentono del calo fisiologico del weekend per il numero di tamponi da processare. Su 39.811 casi nazionali, 11.489 sono rilevati nella sola Lombardia. La cifra non è giustificabile solo per il numero di abitanti, perché le percentuali parlano chiaro: su 46.099 tamponi, 21.420 rientrano tra i casi testati, ovvero il numero di quelli utilizzati per tracciare l’infezione, mentre gli altri sono tamponi di controllo su soggetti già testati, per attestare un’eventuale guarigione. La percentuale non lascia adito a troppe interpretazioni: 53.6% di positivi, più di uno su due. Quello stesso giorno la media italiana era del 28.9% e le due regioni con più casi oltre la Lombardia (Piemonte e Campania) avevano una percentuale rispettivamente del 35.8% e del 24.4%. Qualcuno potrebbe tirare in ballo la diversa densità media della Lombardia rispetto alle altre regioni, ma con 423 abitanti per chilometro quadrato, Lombardia e Campania hanno lo stesso valore.
Non ci sono soltanto i contagi. Anche il divario sui decessi tra Lombardia e le altre regioni è enorme: l’8 novembre si sono contati 331 morti per Covid, e più di un terzo (117) nella sola Lombardia. La Campania, seconda regione per contagi, ne ha avuti nella stessa giornata 15. E ancora, su 1.331 ricoveri nazionali la Lombardia ne ha contati 412, mentre su 115 nuovi pazienti in terapia intensiva 40 si trovano negli ospedali lombardi. Sulla sanità si è già discusso a lungo negli scorsi mesi, mettendo in luce le negligenze di un ventennio di gestione del centrodestra che ha spinto sulla sanità privata a scapito di quella pubblica. La conseguenza è che oggi gli ospedali lombardi soffrono di una carenza cronica di posti letto, nelle terapie intensive e non solo. In percentuale al numero di abitanti, altre regioni più piccole hanno un numero maggiore di posti letto. Le colpe delle precedenti giunte regionali sono state aggravate dal duo Fontana-Gallera con le misure prese per arginare l’epidemia. La costruzione dell’ospedale Fiera di Milano ha causato le proteste dei medici, che hanno spiegato l’errore commesso nell’attivazione di posti di terapia intensiva lontani dagli altri reparti ospedalieri, quando con quei fondi (privati) sarebbe stato più utile rafforzare le strutture già esistenti, che in queste settimane hanno raggiunto la saturazione in gran parte della regione.
Un esempio positivo è la provincia di Bergamo, che nella seconda ondata risulta tra quelle meno colpite per numero di contagi. Per il momento è difficile trovare il motivo: che sia per la paura vissuta a marzo, per un’immunità più alta, o per la maggiore esperienza e organizzazione raggiunta dal personale sanitario e dai presidi ospedalieri bergamaschi, ma sta di fatto che l’esplosione di queste settimane riguarda più Milano e provincia – che quotidianamente fa numeri più alti di tutto il Sud messo insieme, Campania esclusa –, Varese e Monza.
Si pensava che almeno le Rsa fossero più organizzate per gestire la seconda ondata, ma non è stato così. Il Pio Albergo Trivulzio di Milano, per esempio, sta vacillando anche adesso. Nella struttura sono stati già registrati 64 casi di positività tra i dipendenti che lavorano a contatto con gli ospiti, oltre a decine di malati tra gli anziani. Tutt’ora è in corso un’inchiesta della procura di Milano per indagare sulle morti della prima ondata, ma il rischio è che con la seconda questa cifra sia destinata a crescere.
Quando il governo ha deciso di inserire la Lombardia tra le regioni in zona rossa, Fontana ha dichiarato che “È uno schiaffo alla Lombardia, l’atteggiamento di Conte è inaccettabile”. Dopo aver passato in rassegna tutti i numeri sull’epidemia, viene da chiedersi con quale coraggio possa sostenere un’affermazione simile. Era chiaro che la Lombardia sarebbe finita in zona rossa, date che sono i dati a determinare la classificazione delle regioni e non le rivalità politiche. Sembra un rimando alla prima ondata, quando qualcuno ha tirato in ballo il sentimento anti-lombardo, Salvini invitava a “sciacquarsi la bocca quando si parla di Lombardia” e l’operato della giunta e del suo governatore era esente da critiche a sentire diversi esponenti del centrodestra. Eppure, è sempre più evidente che le misure del governo non siano una punizione contro gli abitanti della Lombardia, ma un modo per proteggerli dal virus e dall’incapacità di gestirlo da parte dell’amministrazione regionale.
A evidenziare ulteriormente la precarietà della situazione in Lombardia, è intervenuta l’Ats di Milano con una nota inviata la scorsa settimana ai medici di medicina generale lombardi in cui viene chiesto di non fare più i tamponi ai contatti stretti, anche ai congiunti dei positivi, perché non è più possibile sostenere questo ritmo con i test e l’aumento dei contagi. Questo significa che il sistema di tracciamento è saltato, chiedendo agli asintomatici di autoisolarsi senza neanche il riscontro del tampone. Per i medici di famiglia della Lombardia “il sistema è scoppiato”.
Nonostante gli appelli di chi sta lavorando in prima linea e dati sempre più allarmanti, il governatore Fontana ha continuato in questi giorni a chiedere al governo allentamenti per la sua regione. Fontana parla di decisioni prese in base a dati di quindici giorni prima, sorvolando sul fatto che quelli di questi giorni sono ancora più gravi. Esponente di primo piano di quella Lega tanto affezionata al federalismo e all’autonomia delle regioni, ha dimostrato un immobilismo sconcertante proprio quando era necessario fare delle scelte a livello locale che anticipassero quelle del governo. Un discorso che però non vale quando si tratta di scelte impopolari, che allora è meglio presentare ai propri elettori come imposte dall’alto dal governo di Roma, o al massimo prese sulla scia di altri governatori di regione.
Il tempo delle chiacchiere e delle giustificazioni era già finito con la prima ondata del Coronavirus: la Lega e Fontana hanno dimostrato di non essere in grado di arginare la pandemia in Lombardia. Ora, in piena seconda ondata, dovrebbero almeno non intralciare il lavoro di chi cerca di farlo.