I farmaci contro Covid-19 dovrebbero essere gratis per tutti. Molti vogliono impedirlo.

Nell’agosto del 2009, il governo Berlusconi ha firmato un contratto con l’azienda farmaceutica Novartis per l’acquisto di 24 milioni di dosi di vaccino. Erano i tempi del virus influenzale di tipo A/H1N1, e l’allora viceministro alla Salute Ferruccio Fazio aveva preannunciato una pandemia mortale di dimensioni inimmaginabili, motivo per cui era necessario correre subito ai ripari. Il versamento di 184 milioni di euro statali alla Novartis per l’acquisto dei vaccini, che seguiva il pagamento di tre milioni nel 2004 per averne il diritto di prelazione, avveniva in quello scenario. Nel contratto si sollevava l’azienda svizzera da ogni responsabilità in caso di effetti collaterali del farmaco. Alla fine, delle 24 milioni di dosi vaccinali acquistate, ne furono utilizzate meno di un milione. Per la Novartis quel contratto fu un grande affare e un grande spreco per lo Stato italiano.

È passato un decennio da quei fatti e oggi più che mai si è tornati a parlare di vaccini. La pandemia di COVID-19 ha già causato decine di migliaia di morti in tutto il mondo e la rincorsa a un farmaco che sappia debellare l’epidemia sta coinvolgendo diverse aziende farmaceutiche sparse per il mondo. Proprio per questo si è tornati a parlare anche dell’opacità del settore e delle sue interconnessioni con le risorse statali, in termini di finanziamenti gonfiati e, in fin dei conti, di speculazione sulla sofferenza. La chiave di lettura esatta non è certamente quella del consigliere regionale ex pentastellato del Lazio Davide Barillari, che continua a insistere sul grande “scoop” delle case farmaceutiche che stanno guadagnando dalla crisi attuale. Chiedere a un’azienda di non ottenere profitto dalla sua produzione, dall’attività dei suoi lavoratori, è in effetti un non-sense. Premessa invece l’importanza dei vaccini, tanto più evidente nella fase attuale, resta comunque difficile ignorare le ombre che si allungano su Big pharma in situazioni come quella attuale.

Ferruccio Fazio

Nel 2018 il mercato globale dei vaccini valeva 37,4 miliardi di euro e le previsioni parlano di 83,6 miliardi entro il 2026. Questa ricchezza è in mano a poche realtà: GlaxoSmithKline, Merck, Sanofi, Pfizer e Gilead controllano l’80% del mercato globale. La situazione di oligopolio fa sì che le compagnie che ne fanno parte abbiano totale potere decisionale su dove indirizzare la propria attività di ricerca e produzione. E i vaccini, paradossalmente, sono un settore poco remunerativo: secondo alcune stime rappresentano solo il 3% del business farmaceutico. Il problema è doppio: da una parte sono stati ampliati i controlli sui prodotti, che ne hanno resa l’approvazione più lunga e complessa. Questa dilatazione dei tempi ha fatto sì che spesso il vaccino arrivi quando non serve quasi più, rendendolo di fatto poco redditizio per chi lo produce. L’altro problema è che i vaccini capaci di sradicare completamente una malattia rendono in un secondo momento il vaccino stesso obsoleto, dunque non profittevole. Negli Stati Uniti, il farmaco anti-epatite C creato da Gilead ha portato vendite per 12,5 miliardi di dollari nel 2014, poi crollate a quattro nel 2019 per il semplice fatto che non c’erano più abbastanza pazienti. “Curare i pazienti esistenti riduce anche il numero di portatori in grado di trasmettere il virus a nuovi malati”, sottolinea un report di Goldman Sachs.

Per questo Gilead è già finita diverse volte sotto indagine negli Stati Uniti e all’estero per aver gonfiato i prezzi di suoi farmaci salvavita: è il caso del Truvada per il trattamento dell’Hiv, che viene venduto a 2mila dollari per un trattamento di un mese nonostante alla multinazionale ne costi appena sei. Vale un discorso simile per il Sovaldi da usare per il trattamento dell’Epatite C. Se una pillola arrivava a costare fino a mille dollari al sistema sanitario statunitense, un ciclo di cura completo arrivava a 84mila, motivo per cui la Gilead è finita sotto indagine nel 2015 da parte del Congresso di Washington.

Le realtà farmaceutiche preferiscono indirizzare le proprie risorse verso altre linee produttive. “Alcuni vaccini come quello per l’ebola non vengono sviluppati perché non c’è un business sufficiente a sostenerli”, sottolineava Adrian Hill, a capo delle ricerche sul vaccino per conto dell’Oms. Starebbe allora ai governi nazionali e agli organismi internazionali investire affinché i privati operino in modo deciso anche nell’ambito vaccinale. Ma questo non avviene, in un contesto globale di sempre maggiore austerità quando si tratta di finanziare la ricerca. Da questa combinazione di motivi deriva la problematica odierna: un vaccino per la COVID-19 non arriverà prima del 2021.

La beffa è che, se si fosse data priorità alla salute pubblica e non al profitto e alla spending review, le cose sarebbero diverse. Come hanno sottolineato gli scienziati del Center for Vaccine Development al Texas Children Hospital, nel 2016 si stava mettendo a punto un vaccino per il Sars, ma poi il progetto fu accantonato per la scarsa profittabilità delle ricerche, che non attirò l’interesse di investitori pubblici e privati. Non c’era un’emergenza in corso che avrebbe reso la ricerca vaccinale attrattiva, così come nel caso dell’ebola non c’era un mercato abbastanza ampio e interessante geograficamente. “Avremmo potuto avere tutto pronto e sperimentare la sua efficacia agli inizi della nuova epidemia in Cina”, ha denunciato Peter Hotez, co-direttore del centro. Questa mancanza mette in evidenza che “esiste un problema con l’ecosistema dello sviluppo dei vaccini, che dobbiamo risolvere”.

Tra questi problemi c’è quello della trasparenza. Manca in effetti una conoscenza precisa sui costi affrontati dalle case farmaceutiche per la ricerca e la realizzazione dei prodotti, che rende quindi difficile anche determinare il giusto prezzo per un vaccino. Soprattutto, mancano regole chiare e stringenti sull’argomento, con le compagnie che nel loro oligopolio mantengono mano libera. Nel caso dell’epatite C, la società Gilead vendeva pillole a mille euro l’una. Un report svelò che il prezzo era stato gonfiato, e il valore esatto per garantire una sostenibilità economica all’azienda sarebbe dovuto essere più basso. Anche il caso del virus A/H1N1 è esemplificativo. Come fece il governo di Berlusconi, anche altri Paesi comprarono a scatola chiusa vaccini in grande quantità, a causa di contratti pregressi imposti dalle case farmaceutiche. Per questo nel 2009 i loro profitti furono tra i 7 e i 10 miliardi di dollari, e società come Sanofi-Aventis registrarono una crescita dell’11% dell’utile netto consolidato. Il Parlamento europeo intervenne per contestare queste pratiche di vendita, con i prezzi dei vaccini che raddoppiavano o triplicavano rispetto a quelli delle altre influenze stagionali. Il business di Big pharma fu dunque esponenzialmente più alto di quello che sarebbe dovuto essere, perché aveva venduto i suoi prodotti a scatola chiusa e in una totale anarchia dei prezzi, con uno spreco enorme di fondi pubblici.

Se le grandi aziende farmaceutiche continuano a operare in questo modo, è perché gli viene dato potere di farlo. Come sottolinea Sharon Lerner su The Intercept, “nel 2019 l’industria farmaceutica ha speso 295 milioni di dollari in attività di lobbying, molto più di qualsiasi altro settore negli Stati Uniti. È quasi il doppio del settore che si piazza al secondo posto – quello dell’elettronica, manifatturiero e delle attrezzature – e ben più del doppio di quanto spende il settore dell’Oil & gas”. È anche per questo che negli Stati Uniti, dove si trovano la maggior parte delle compagnie farmaceutiche globali, non esistono sistemi di controllo sulla ricerca e sui conseguenti prezzi dei vaccini. I tentativi di introdurli in queste settimane di ricerca sul COVID-19 sono stati affossati, in quello che Gerald Posner, autore di Pharma: Greed, Lies, and the Poisoning of America, ha definito “una scelta oltraggiosa durante una pandemia”.

I momenti duri che il Pianeta sta vivendo, le decine di migliaia di morti che già si contano per il virus, i Paesi economicamente e socialmente in ginocchio devono essere lo spunto per ripensare l’industria farmaceutica, non secondo la chiave complottista che in troppi propongono, ma in un’ottica di diritto alla salute delle persone. I primi a rimetterci per prezzi gonfiati dei vaccini e più in generale dei farmaci sono le persone più povere. La povertà sanitaria, nel senso di mancato accesso alle cure, solo in Italia coinvolge quasi 500mila persone. Secondo Oxfam, due miliardi di persone nel mondo non riescono a fare uso dei farmaci e il motivo è principalmente nel loro costo insostenibile. Ogni anno 100mila persone cadono in povertà proprio per curarsi, mentre uno studio pubblicato su Health Affairs ha sottolineato come l’accesso ai vaccini prevenga non solo le malattie, ma anche la stessa povertà.

Rendere i vaccini più accessibili introducendo maggiore trasparenza nel lavoro delle aziende farmaceutiche e aumentando i controlli sui loro prezzi è necessario. Tanto più in una situazione come quella attuale, con una pandemia che sta mettendo in ginocchio il Pianeta e che è stata definita, nel caso italiano, come la peggior tragedia dalla seconda guerra mondiale. “Il coronavirus dovrebbe portarci a una riflessione, e cioè se l’industria farmaceutica e i monopoli che guidano i suoi profitti debbano continuare a controllare quali farmaci vengono sviluppati e chi può accedervi”, ha scritto l’attivista per i diritti umani Diarmaid McDonald sul Guardian.

La chiave non sta per forza nel chiedere alle aziende farmaceutiche di offrire vaccini gratuiti a tutti e sempre. Crollerebbe il settore e diventerebbe economicamente insostenibile. Oggi più che mai sta però ai governi lavorare affinché l’accesso al futuro vaccino per l’epidemia di COVID-19 sia accessibile senza distinzioni e non si trasformi, ancora una volta, in un bene di lusso. La crisi di oggi deve fare aprire gli occhi sul fatto che l’interesse pubblico viene prima del profitto individuale e che se quest’ultimo non può essere dimenticato, quanto meno deve essere reso sostenibile e coerente con l’obiettivo della salute collettiva. Bernie Sanders ha promesso che se mai diventerà presidente degli Stati Uniti garantirà che il vaccino sia gratuito per tutti i suoi cittadini. Quanto meno nella situazione emergenziale attuale, un vaccino gratuito è la più saggia politica di welfare che si possa intraprendere. Perché sia realizzabile occorre però restringere le maglie speculative di Big pharma.

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