Gli italiani hanno da sempre bisogno di un Mr. Wolf, di quell’uomo in grado di risolvere i problemi; a volte un condottiero, altre una guida autoritaria, ma comunque una figura di riferimento per non perdere la bussola e sentirsi rassicurati, o col bastone o con la carota. A marzo, nelle prime fasi dell’epidemia di Covid-19, i cittadini aspettavano le sei del pomeriggio per seguire gli aggiornamenti di Angelo Borrelli, il capo del Dipartimento della Protezione Civile, che leggeva il bollettino giornaliero in diretta nazionale. Eravamo tutti impreparati: noi ad ascoltare i numeri impressionanti di contagiati e di morti; i politici e i funzionari ad affrontare qualcosa di cui si conosceva poco, se non gli effetti catastrofici. Il 16 marzo fu la data del cambiamento, quando Giuseppe Conte decise di nominare un Commissario straordinario per la gestione dell’emergenza epidemiologica. Nacque così l’era di Domenico Arcuri. Oggi, a distanza di otto mesi, ci siamo fatti trovare di nuovo impreparati, e Arcuri si trova a dover dare agli italiani più di una spiegazione per il numero di problemi non risolti. Eppure continua a ostentare una sicumera poco comprensibile, vista la situazione e in ci si trova il Paese.
Arcuri è stato nominato Commissario dopo la sua lunga esperienza come amministratore delegato di Invitalia, Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A.. Se lo ricordano bene a Termini Imerese, nell’ex stabilimento Fiat, quando nel 2016 firmò un accordo con la società Blutec per tentare di salvare l’attività e i lavoratori. L’investimento di 95,8 milioni di euro – in gran parte investimenti pubblici – andò in fumo, con i fondi mai impiegati per realizzare i progetti previsti e i vertici di Blutec finiti agli arresti domiciliari dopo le indagini della guardia di finanza di Palermo. Anche l’inizio dell’avventura come Commissario per la gestione dell’emergenza Covid-19 non è partita nel modo migliore: nel primo periodo dell’emergenza non si trovavano le mascherine nelle farmacie e scarseggiavano le protezioni anche per i medici, inoltre il numero di tamponi a livello nazionale era minimo. Ci sono stati dei miglioramenti e l’Italia è uscita dall’emergenza, ma qui è partito il processo d’autoincensamento da parte di Arcuri.
“Siamo stati straordinari, tutti dovrebbero riconoscerlo”, tuonava Arcuri a giugno, periodo nel quale bisognava organizzarsi per la seconda ondata, a maggior ragione quando è stato nominato Commissario anche per la riapertura in sicurezza delle scuole. Sono stati persi mesi alla ricerca di banchi con le rotelle, con Arcuri che ad agosto si vantava delle misure per la scuola, quando ancora non era ripartita. Nel mentre non è stato fatto nulla per rafforzare i trasporti, quei mezzi pubblici che poche settimane dopo sarebbero stati presi d’assalto da milioni di studenti. E così oggi ci ritroviamo con la maggior parte degli studenti costretti alla didattica a distanza, e ad oggi nessuno sa quando potranno tornare in classe – neanche la ministra dell’Istruzione. È evidente che i presunti meriti sull’apertura della scuola erano in realtà delle falle.
Per riassumere le contraddizioni del suo operato è necessario analizzare la sua ultima ospitata televisiva, a Che tempo che fa di Fabio Fazio, domenica scorsa. Prima di addentrarci nelle parole che hanno scatenato le polemiche e in alcune cifre errate pronunciate dal commissario, è bene partire dal suo comportamento. A un certo punto Fazio ha annunciato la pubblicità e Arcuri, credendo di non essere più inquadrato – ma lo era – si è tolto d’istinto la mascherina. Questo è stato un gesto deleterio, perché i telespettatori l’hanno subito associato a una messinscena: la mascherina indossata soltanto in favore di telecamera e non per una reale e permanente necessità. Considerando il ruolo che ricopre, cioè colui che più di tutti dovrebbe essere ligio alle regole e dare il buon esempio, lo smarrimento prende l’assalto.
Non è il primo episodio in cui Arcuri viene colto in una situazione che lascia perplessi: un mese fa, durante un incontro in seguito a un evento tenutosi in Sardegna, Arcuri ha parlato con i giornalisti indossando la mascherina nel modo sbagliato, tenendo il naso scoperto. La mascherina, indossata in quel modo serve a ben poco, ormai lo sanno tutti. Dunque sarebbe rassicurante che il commissario straordinario per il Covid evitasse di farlo. I comportamenti pubblici si ripercuotono sulla credibilità che viene trasmessa e purtroppo portano a una loro possibile emulazione, quindi sarebbe a dir poco coerente, per non dire corretto, seguire quelle regole che lui stesso ha promosso. D’altronde non è una richiesta eccessiva, come quella del trasferimento a Catanzaro che ha dovuto valutare Gaudio.
Tornando all’intervista da Fazio, e tralasciando le sue difficoltà nell’indossare la mascherina, Arcuri è sembrato maggiormente concentrato a promuovere se stesso che non a spiegare con chiarezza agli italiani la situazione che la nazione sta affrontando. Per difendersi dalle accuse che gli sono state rivolte, in primis quella di non essersi fatto trovare sufficientemente pronto a fronteggiare una nuova fase epidemica ampiamente preventivata da tutti i virologi, Arcuri ha snocciolato alcuni dati sugli ospedali, dichiarando: “Oggi, soltanto il 4,5% degli italiani contagiati è ricoverato in ospedale, era il 45% durante la prima ondata”. Questi sono dati corretti che il pubblico può consultare, ma il paragone tra le due ondate non regge, e soprattutto non vengono contestualizzati i parametri utilizzati. A marzo facevamo circa 20mila tamponi al giorno, adesso più di 200mila, che scovano un esercito di asintomatici che all’epoca non emergeva: venivano sottoposti al tampone quasi esclusivamente i casi severi, la famosa punta dell’iceberg e sfuggivano così migliaia di contagiati. Si ipotizza per il mese di marzo un numero reale di casi almeno dieci volte superiore rispetto a quelli ufficializzati, Dunque, se durante la prima ondata avessimo avuto gli strumenti per intercettare tutti i positivi avremmo avuto già all’epoca una percentuale di pazienti ospedalizzati decisamente inferiore.
Un altro errore, stavolta evidente, sui numeri, riguarda le cifre esatte dei ricoverati. Arcuri ha detto: “Ci sono 26mila persone negli ospedali; erano più di due volte e mezzo di più durante la prima ondata”. E qui non ci sono interpretazioni o messaggi tra le righe: sono proprio cifre sbagliate. Attualmente abbiamo più 33mila pazienti ricoverati fuori dalla terapia intensiva, dove sono invece 3.612. Quindi sono 36mila in totale, ma questo può essere stato un semplice errore verbale. La frase più grave è la seguente, ovvero dichiarare numeri che non esistono. Durante la prima ondata, infatti, abbiamo raggiunto il picco di pazienti ospedalizzati i primi giorni di aprile, con 29.010 ricoverati e 4.068 in terapia intensiva. Il fact checking in questo caso è semplice: non soltanto non avevamo “più di due volte e mezzo” i ricoverati di adesso, ma addirittura oggi ne abbiamo di più di allora. Un errore del genere può capitare a un normale cittadino durante una telefonata con un amico, non a chi deve gestire l’emergenza, sbagliando in diretta sulla RAI.
Ciò che sorprende maggiormente è però l’ostentata sicurezza con cui il commissario non solo giustifica il suo operato, ma addirittura imputa alla malafede dei commentatori i giudizi negativi. La frase che maggiormente ha indignato i professionisti degli ambienti sanitari è stata pronunciata durante la conferenza “Finanza e sistema Paese un anno dopo” della Digital Finance Community Week. Arcuri in quell’occasione ha dichiarato: “Oggi abbiamo circa 10mila posti di terapia intensiva e arriveremo a 11.300 nel prossimo mese. Attualmente ci sono 3.300 ricoverati in terapia intensiva, quindi la pressione su questi reparti non c’è”. Questa affermazione, pronunciata con l’apparente intento di rassicurare la platea, in realtà lascia molto perplessi. Il governo ha messo come soglia critica il 30% di posti in terapia intensiva occupati da pazienti Covid-19 perché, è bene ricordarlo, le terapie intensive sono occupate anche da pazienti con altre patologie. Bene, quella soglia è stata superata da tutte le regioni tranne Veneto, Molise e Friuli Venezia Giulia, che la stanno comunque raggiungendo. Il dramma è che Piemonte e Lombardia hanno superato addirittura il 60% di saturazione, con quest’ultima al 66%. Se questo significa non avere pressione sulle terapie intensive, Arcuri probabilmente non ha reale consapevolezza del problema. Anche perché, solo due giorni dopo il suo rassicurante proclama, in 17 regioni su 20 è stata superata ufficialmente la soglia critica nelle terapie intensive. Quando i fatti smentiscono le dichiarazioni.
Il commissario Arcuri, inoltre, è stato smentito da Antonio Giarratano, presidente Siaarti (anestesisti e rianimatori), durante la trasmissione Agorà: “Viene affermato che la pressione sulle terapie intensive sia sostenibile, ma in realtà nelle regioni a zona rossa è quasi insostenibile e in quelle arancioni è molto, molto pesante”. È stato spiegato anche che per creare posti in terapia intensiva non basta contare il numero dei ventilatori, ma servono infermieri e rianimatori con anni di formazione. “Non basta saper accendere un ventilatore per salvare una vita”, dice Giarratano. Arcuri, in pratica, sembra si sia concentrato sulla disponibilità di strumentazione e non sul numero degli operatori sanitari necessari. È un po’ come se noi considerassimo come posto letto in un ospedale un semplice materasso, senza i medici e gli infermieri necessari a curare il paziente che ci sta sopra.
Il popolo non ha bisogno di essere rassicurato con mezze verità o con speranze effimere: deve essere pienamente consapevole della fase delicata che stiamo affrontando. È meglio la comunicazione più diretta di Roberto Speranza, a costo di apparire brutale dicendo che ci vorranno parecchi mesi per uscirne, piuttosto che quella autocelebrativa di Arcuri, che prova a rasserenare una nazione usando elementi poco solidi. Siamo tutti consapevoli della difficoltà del suo ruolo e nessuno vorrebbe trovarsi al suo posto, con responsabilità enormi durante il periodo più difficile per l’Italia dal secondo dopoguerra, ma questa non può essere una giustificazione. Il suo è il lavoro più gravoso, ma per risolvere i problemi non è tollerabile diffondere la narrazione di un’altra realtà, negando addirittura la situazione insostenibile degli ospedali. Poco più di un mese fa Arcuri dichiarava: “Siamo attrezzati per una seconda ondata di Covid”. Evidentemente non lo eravamo, considerando che attualmente siamo terzi al mondo per letalità del virus, l’indice che rileva quante persone muoiono di Covid ogni 100 casi scoperti. Quando riusciremo a tenere sotto controllo il virus tireremo le somme sull’operato di tutti i protagonisti che stanno cercando di contenere questa valanga, ma al momento non possiamo esimerci dal sottolineare gli errori commessi.