Recentemente ha avuto grande risonanza l’intervista di Repubblica al giovane immunologo Fabrizio Chiodo, in cui il ricercatore – che collabora con il Finlay Institute di L’Avana – sottolineava gli ottimi dati della gestione dell’epidemia a Cuba. Circa 150 morti su un totale di 11 milioni di persone, con una percentuale di guariti che supera il 92%, curati con farmaci prodotti sulla stessa isola. L’intervista ha riportato l’attenzione pubblica sulla sanità di Cuba, che, dopo aver inviato medici a una dozzina di Paesi nei mesi peggiori della prima ondata, è oggi è in prima fila nello sviluppo del vaccino anti-covid.
Grandi aziende multinazionali come Pfizer, Moderna e AstraZeneca, grazie alle tecnologie e ai fondi di cui dispongono, non hanno avuto concorrenti nel presentare al mondo in tempi molto brevi il proprio prodotto per far fronte alla pandemia. Ma questa soluzione non sarà sufficiente a mettere al sicuro l’intero Pianeta (debellando quindi il virus): saranno infatti necessari diversi vaccini e Cuba vuole mettere a disposizione i propri. Una volta soddisfatte le necessità interne, infatti, l’obiettivo sarà quello di distribuire gratuitamente le dosi per sostenere chi al mondo non potrà permettersi di acquistarne dalle case farmaceutiche private. Il modello di vaccino pubblico è un esempio di solidarietà, equità e libero accesso, oltre che un’importante successo d’immagine per un Paese che, con il suo sistema politico illiberale, non gode di una buona fama in Occidente.
Oggi sono quattro i progetti vaccinali anti-covid in fase di sperimentazione clinica sostenuti dallo Stato cubano, tutti con lo scopo della distribuzione gratuita. Due di questi, il Soberana 2 e il Soberana 1 del Finlay Institute, che hanno avviato la seconda fase di sperimentazione prima di Natale, potrebbero completare l’iter entro marzo ed essere così pronti per la distribuzione. A monitorarne i progressi cubani è COVAX, un programma coordinato dall’Oms e dalla Coalition for Epidemic Preparedness Innovation per garantire la distribuzione globale dei vaccini: se si dimostreranno sicuri ed efficaci, i vaccini cubani saranno distribuiti alla popolazione locale e poi, in collaborazione con l’Oms, resi disponibili ai Paesi che ne avranno bisogno, specialmente quelli in via di sviluppo, dove 9 persone su 10 rischiano di restare scoperte, a causa dell’accaparramento delle dosi da parte dei Paesi più ricchi – come ha avvertito una rete di organizzazioni di cui fanno parte anche Amnesty e Oxfam, secondo cui il 14% dei Paesi più ricchi ha prenotato oltre il 50% dei vaccini. Come già gli effetti sociali e sanitari della pandemia, infatti, anche l’accesso al vaccino dipende dalle condizioni economiche di partenza, rischiando ora di peggiorare ulteriormente la situazione della parte più sfortunata del mondo. Cuba vuole contribuire a evitare che questo accada, ma potrebbe trovare degli ostacoli nella sua missione. L’isolamento stesso del Paese, infatti, può causare una carenza di fondi a disposizione, rendendo difficile per lo Stato cubano acquistare le materie prime necessarie alla produzione su larga scala. A perderci, allora, non sarebbe solo Cuba, ma anche i Paesi in via di sviluppo che sperano di beneficiare del “vaccino etico” e che ora – nonostante l’importante decisione di AstraZeneca di fornir loro il 64% della sua produzione – sono tagliati fuori. Si tratta di un’ulteriore dimostrazione del fatto che, al di là delle ostilità ideologiche e politiche, isolamento ed embargo sono strumenti che non vanno a scapito solo del Paese a cui sono applicati, ma di tutti e che non hanno senso di esistere nel mondo globalizzato in cui viviamo.
Intervistato dal Sole 24 ore, a proposito del principio della libertà di accesso ai farmaci, Chiodo ha spiegato che Cuba “è l’unico Stato dove un prodotto può andare dal laboratorio alla clinica per via totalmente pubblica” e ha motivato la propria scelta: “Faccio questo lavoro per gli altri, spinto da una forte etica. E Cuba mi permette di rispettare quello in cui credo”. Equità e libero accesso ai servizi sanitari, infatti, sono i valori su cui il Paese latinoamericano fonda il proprio Sistema sanitario, di cui le campagne vaccinali sono un pilastro importante. La storia delle immunizzazioni di massa a Cuba, iniziata negli anni Sessanta, ha permesso al Paese di ottenere i migliori risultati di tutta l’America Latina rispetto a molte patologie.
Questi dati sono frutto di un impegno di lungo periodo, in una sessantina d’anni, da dopo la rivoluzione la situazione cubana dal punto di vista sanitario si è evoluta radicalmente in positivo: prima del 1959, infatti, gli ospedali gratuiti erano di scarsa qualità ed erano presenti solo in un terzo dei comuni, di conseguenza solo il 10-20% della popolazione rurale godeva di una qualche assistenza medica e l’aspettativa di vita non raggiungeva i sessant’anni. Il cambiamento è stato possibile grazie a massicci investimenti da parte dello Stato, che finanzia tuttora un Sistema sanitario che conta sul più alto numero al mondo di medici in rapporto alla popolazione. Anche se ci sono sanzioni che ostacolano le collaborazioni internazionali e l’acquisto di forniture dall’estero, il sistema cubano si fonda sul principio per cui la salute rappresenta un diritto sociale inalienabile e tutti i cubani hanno quindi diritto all’assistenza sanitaria completa senza distinzioni di sorta. Molte infrastrutture e strumentazioni sono arretrate, ma la sanità cubana recupera grazie a un’organizzazione capillare efficace, che ha reso peraltro possibile un preciso tracciamento durante la pandemia.
Il Sistema sanitario è costituito da tre livelli amministrativi (nazionale, provinciale e municipale): l’assistenza di primo livello ha l’obiettivo di coprire l’80% dei problemi di salute della popolazione, attraverso i servizi forniti dai medici e dagli infermieri di famiglia nei consultori e nei poliambulatori che dipendono dalle amministrazioni locali; al secondo livello ci sono gli ospedali provinciali che coprono il 15% dei problemi di salute; mentre al terzo livello ci sono gli ospedali specializzati di eccellenza che gestiscono il 5% dei problemi di salute, quelli più gravi e le complicanze legate a determinate patologie. In questo modo il sistema non viene sovraccaricato e l’intera popolazione, anche nelle aree più remote, può accedervi direttamente.
Questo sistema capillare poggia su una fornitura farmaceutica autarchica il cui sviluppo è stato spinto proprio dall’embargo, che è allo stesso tempo la maggior causa dell’arretratezza economica nella quale versa il Paese caraibico, la cui principale risorsa è la canna da zucchero. Con Obama nel 2014 sembrò vicina la fine dell’embargo commerciale, economico e finanziario che gli Stati Uniti di J. F. Kennedy – dai quali prima della rivoluzione cubana l’isola dipendeva largamente – avevano imposto a partire dal 1962. Non arrivò, però, il necessario via libera del Senato americano e con Donald Trump l’ipotesi della fine del blocco è tramontata definitivamente.
Il prolungato isolamento e le ostilità con i ricchi vicini hanno stimolato – per necessità di sopravvivenza – la ricerca e lo sviluppo interni, creando una situazione singolare per la quale Cuba si trova ad avere un PIL da Paese in via di sviluppo, ma indicatori sanitari come la speranza di vita alla nascita e la mortalità infantile ai livelli dei Paesi più sviluppati. Si è infatti investito per produrre autonomamente quei farmaci che non è possibile ottenere dagli Stati Uniti: una volta riorganizzato il sistema dell’assistenza, Fidel Castro – spinto dagli economisti che chiedevano una nuova forma di industrializzazione dell’economia nazionale e conscio delle difficoltà indotte dal blocco commerciale – soprattutto a partire dagli Ottanta puntò molto sulla ricerca per far raggiungere al Paese l’autonomia, anche in ambito farmaceutico, accogliendo scienziati occidentali per rendere Cuba autonoma rispetto agli altri Paesi socialisti. La creazione di un comparto di ricerca scientifica molto avanzato ha reso l’isola caraibica un hub di alto livello nel settore farmaceutico e nelle biotecnologie. Su questo piano non solo l’autonomia è stata sostanzialmente raggiunta, ma da tempo è anche capace di esportare vaccini nei Paesi in via di sviluppo, come quelli contro la meningite e l’epatite B.
Gli altri vaccini del momento, oltre a quelli delle aziende leader britanniche e statunitensi, sono quelli prodotti da giganti chiusi come la Russia (la cui corsa accelerata al vaccino ha provocato reazioni avverse che potrebbero rinfocolare la diffidenza nei confronti di questa pratica da parte della popolazione) e la Cina. In questo panorama, i vaccini cubani potrebbero essere un risultato notevole per un Paese, peraltro piccolo e isolato, anche in termini di prestigio, presentando un modello efficace radicalmente diverso da quello dominante in molti Paesi sviluppati, in cui questa la pandemia ha mostrato tutti i limiti di una sanità sempre più privatizzata.
Vero è che sulla trasparenza e sul rispetto dei diritti individuali a Cuba ci sarebbe molto da dire: si tratta pur sempre di un regime autoritario che non rispetta il pluralismo politico. Eppure, sulla garanzia di un diritto fondamentale come l’accesso alle cure senza distinzione di reddito può insegnare molto ai Paesi che si riempiono la bocca di valori democratici e occidentali, talvolta poi senza metterli in pratica. A questo proposito ad esempio ci si dovrebbe forse interrogare in maniera più profonda su quanto sia etico trarre profitto dalla distribuzione dei farmaci, una pratica che fa parte di un sistema economico e ideologico dominato dal mercato, che mette il profitto davanti a salute e solidarietà. Per parte sua, invece, Cuba rifiuta, in nome del comunismo, questo principio, mettendo i propri servizi sanitari gratuitamente a disposizione di chi non può permettersi di pagarli e lo fa fin dagli anni Sessanta. Questa solidarietà, però, non è condivisa da altri Paesi comunisti come la Cina, che, da superpotenza, ha sfruttato l’opportunità di fornire mezzi e competenze in modo meno disinteressato e più strategico, impiegandola come strumento di soft power. Altrettanto ha fatto la Russia, che in Italia ha puntato su un’operazione spettacolare con l’intervento dell’esercito, dopo aver osservato l’inadeguatezza dei coordinamenti europei.
Non esattamente gli intenti più trasparenti e solidali riguardo alla distribuzione dei vaccini, che sono uno degli strumenti più importanti per il benessere di un Paese, anche sul piano sociale ed economico. La prevenzione, si sa, è meglio della cura: Cuba l’ha imparato ed è pronta a dimostrarlo a modo suo. Secondo i dati elaborati dal New York Times, che sta monitorando in tempo reale gli avanzamenti a livello mondiale, Cuba starebbe testando l’8% dei 65 vaccini mondiali giunti alla fase di sperimentazione clinica sugli umani. A causa dell’insufficiente numero di casi di Covid-19 sull’isola, sarà l’Iran, altro Paese colpito dalle sanzioni americane, a ospitare gli ultimi test cubani. Come emerge consultando il vaccine tracker del New York Times, il Paese latinoamericano è uno dei pochi produttori a non essere una superpotenza economica mondiale.