La biblioteca del Senato è un luogo aperto al pubblico, per entrarci bisogna soltanto rispettare alcune regole per la sicurezza sanitaria. Possono entrare soltanto tre utenti all’ora, viene misurata la temperatura con il termoscanner, va indossata la mascherina e vengono forniti dei guanti all’ingresso in seguito alla disinfezione delle mani. Tutte le postazioni vengono sanificate dal personale della biblioteca dopo ogni utilizzo. Il 27 luglio, in occasione dell’evento Covid-19 tra informazione, scienza e diritto, Matteo Salvini si è presentato nella sala della biblioteca a conferenza già iniziata. Non aveva la mascherina. Si è seduto in prima fila e un funzionario del Senato si è avvicinato per ricordargli di indossarla, come stabilito dalle regole. Salvini, indispettito, gli ha risposto: “Io non ce l’ho la mascherina, non me la metto”. Dopo qualche minuto è arrivato in sala un suo collaboratore e gliene ha consegnata una. Lui l’ha presa in mano, l’ha guardata e se l’è appoggiata sui pantaloni, come fosse il tovagliolo di un ristorante, senza indossarla. A grandi linee questa scena è l’emblema della posizione politica di Matteo Salvini.
Il convegno, organizzato da Vittorio Sgarbi e dal leghista Armando Siri, si è rivelato un ritrovo di negazionisti. L’accezione del termine in riferimento al Covid non implica la negazione assoluta dell’esistenza del virus, bensì un ridimensionamento del fenomeno, un goffo quanto prematuro tentativo di revisionismo storico su un fenomeno ancora in corso. Non a caso hanno presenziato quei medici che hanno acquisito spessore mediatico grazie ad alcune tesi dal forte impatto sui cittadini, ma scientificamente mai provate. Tra questi Alberto Zangrillo, direttore dell’Unità di terapia intensiva del San Raffaele di Milano, che il 31 maggio ha dichiarato: “Il coronavirus clinicamente non esiste più”. Da quel giorno, però, in Italia ci sono stati più di 13mila casi e oltre 1.500 morti.
Al momento non vi è nessuna evidenza che il virus si sia “indebolito”, come confermato dal ministero della Salute, dall’Oms e dalla maggior parte dei virologi. Se le terapie intensive si stanno svuotando, i casi sono in netto calo rispetto ai mesi scorsi e si contano fortunatamente meno morti è soprattutto grazie alle misure restrittive adottate nel nostro Paese. Inoltre si è ridotta la platea dei soggetti a rischio, e adesso l’età media dei contagiati è intorno ai 40 anni, il distanziamento ha limitato la diffusione del virus condizionandone la carica virale, i medici sono più preparati ad affrontare i casi clinici, grazie a protocolli e terapie efficaci, e quindi, come spiega il professor Massimo Galli, stiamo probabilmente assistendo alla coda dell’epidemia, rafforzata comunque da focolai e casi importati.
Insieme a medici e politici, all’evento era presente anche Andrea Bocelli. Il cantante ha avuto il Covid, e così tutta la sua famiglia. Escludendo la sua personale esperienza da malato, Bocelli non ha nessuna voce in capitolo per parlare di medicina (così come non l’avrebbe nemmeno Salvini). Invece l’ha fatto: “Mi sono sentito umiliato e offeso come cittadino quando mi è stato vietato di uscire di casa. In certi casi ho anche disobbedito volontariamente a questo divieto perché non mi sembrava giusto, né salutare rimanere in casa. Ho una certa età e ho bisogno di sole e di vitamina D”. Peccato che l’umiliazione, il lockdown, ha salvato milioni di vite in tutto il mondo, e il sole e la vitamina D Bocelli poteva prenderli anche nel giardino della villa dove risiede. La parte più grave del suo discorso è stata però quella che si è allacciata a un negazionismo puro, senza sfumature: “Io conosco un sacco di gente, ma non conosco nessuno che sia finito in terapia intensiva. E allora tutta questa gravità?”. Di fronte a 35mila morti (solo in Italia), certe volte è meglio tacere.
Le parole di Bocelli hanno scatenato un po’ l’ira di tutti, tranne dei novelli carbonari del convegno, tra cui Salvini che ha preso le sue difese su Facebook. La reazione a caldo ha mostrato gli ormai noti difetti dei social: invece di indignarsi per la mancanza di rispetto delle parole che ha pronunciato Bocelli, nonché la superficialità e la limitatezza dei pensieri che ha espresso, gli internauti hanno trovato più facile colpire Bocelli con battute che partivano primariamente dalla sua cecità. L’ennesima occasione persa per smontare le teorie antiscientifiche di chi vive in una bolla ai margini della verità.
I negazionisti, parenti stretti dei complottisti, si sentono – in buona o malafede – minacciati credendosi fini pensatori costretti alla censura. È lo stesso Salvini a dichiarare che “La libertà di pensiero è il primo bene a rischio, c’è un fronte di chi ha un’idea diversa rispetto al mainstream”. Se per mainstream però si intende chi studia per sviluppare un pensiero strutturato, chi rispetta le regole, e non crede a qualsiasi baggianata che gli viene somministrata sul web, allora il fronte a cui appartiene Salvini non è un’élite di ribelli, ma una mandria di irresponsabili; e soprattutto quella che lui definisce libertà di pensiero è una giustificazione per diffondere idee che fanno breccia in chi ha subito e subisce le conseguenze negative delle misure anticontagio, ma che potrebbero avere conseguenze ancora più gravi per la salute pubblica e la collettività.. Chiunque è libero di pensare che il SARS-CoV-2 sia nato in un laboratorio cinese per ordine di Bill Gates durante una riunione sul 5G organizzata dagli immigrati, è vero, così come che la Terra sia piatta e altre simili amenità, la libertà, però, sta anche nel diritto di replica e nell’affermazione di un pensiero scientifico, con la conseguente derisione tesa a sbugiardare chi diffonde di simili panzane. Ci sono fatti su cui non può esistere un dibattito, perché rappresentano realtà univoche e testimoniate. Siamo alla prese con i terrapiattisti del Covid, e come tali dobbiamo trattarli.
Il problema non è il fiato sprecato per confezionare parole in libertà di alcun valore, ma la cassa di risonanza che hanno certi personaggi pubblici e l’elevazione di una scempiaggine a presunta e ostentata pseudo-verità. Ormai siamo costretti a cadere nell’ovvietà, a condurre le più elementari affermazioni nei ranghi della tautologia. Il virus è pericoloso e ha causato numerose morti: una frase banale, ma in questi tempi non possiamo e non dobbiamo dare nulla per scontato. Chi nega un dato di fatto non è soltanto una persona poco informata, ma può diventare un cattivo esempio. Se Salvini non indossa la mascherina in un luogo al chiuso e dove peraltro si sta tenendo un convegno infrange le leggi e porta gli altri, per spirito d’emulazione e fede cieca verso “il Capitano”, a fare lo stesso. Quindi si crea un esercito di scellerati che mette a repentaglio la salute pubblica. Inoltre, Salvini ha capito che nelle ultime settimane fra gli italiani è cresciuto un senso di insofferenza verso le restrizioni anti Covid, e per aumentare i suoi consensi (in calo durante la pandemia) ha deciso di farsene portavoce, innescando questa dinamica. Ci sono infatti poi delle variazioni puramente retoriche sul tema. Ad esempio, il Covid non viene considerato pericoloso, tranne quando entrano in gioco interessi utili alla propria narrazione. “Il virus non c’è più”, però dobbiamo chiudere i porti perché “gli immigrati portano il virus”. È un paradosso, ma su chi ha la mente ottenebrata dalla propaganda funziona. È il negazionismo del proprio stesso negazionismo, l’uroboro delle menti deboli.
Un altro motivo di controversie e dibattiti feroci è la proroga dello stato d’emergenza fino al 15 ottobre. Per i negazionisti è una misura liberticida, perché “l’emergenza non c’è più”. Si scordano forse che, dal 2014 a oggi, in Italia lo stato d’emergenza è stato dichiarato 150 volte e in 84 casi è stato prorogato. È avvenuto per terremoti, estremi idrogeologici e addirittura emergenze internazionali. Pochi lo sanno, ma è stato chiesto lo stato d’emergenza in Italia per un ciclone avvenuto in Mozambico. È dunque abbastanza scontata la proroga nella situazione attuale, quando ancora non sappiamo come e quando gli studenti torneranno a scuola, abbiamo centinaia di casi di Covid al giorno con focolai da gestire, burocrazia da snellire, chiusure o aperture da decidere giorno dopo giorno con gli altri Stati e tante altre decisioni complesse da prendere. Inoltre, lo stato d’emergenza non è un ritorno al lockdown: i negazionisti se ne facciano una ragione.
Quello dei negazionisti è uno sfregio a una nazione che ancora non si è rialzata, e non potrà farlo del tutto fino a quando il problema non sarà risolto in maniera sicura ed efficace. È ridicolo che a sottovalutare una tragedia siano il leader di un partito che guida la Lombardia o gli stessi medici che hanno visto con i propri occhi i malati ammassati nelle corsie degli ospedali. Ancor più disarmante è il seguito che hanno, costruito sulle fragilissime fondamenta di parole forti ma vuote, dell’invito a una ribellione contro misure che hanno protetto tutti noi. Perché è semplice andare contro qualcosa o contro qualcuno per partito preso, costruirsi una verità personale per sentirsi migliori, speciali. La peste non esiste, l’Olocausto non esiste, il coronavirus non esiste: la Storia si ripete sempre e i negazionisti di oggi saranno ricordati come quelli di ieri, con biasimo e imbarazzo.