Nelle ultime settimane abbiamo assistito a un vertiginoso aumento di casi di Covid-19, a dimostrazione del fatto che la seconda ondata della pandemia è ormai una realtà anche nel nostro Paese. Mentre è sempre più necessaria un’informazione autorevole che non diffonda panico e notizie infondate, ci accorgiamo come neanche l’essere dottore o virologo sia più sinonimo di credibilità. Con la complicità dei media e di una parte del mondo politico, un’attenzione sempre più ampia viene riservata a specialisti dell’ultim’ora e a chi, fregiandosi del proprio titolo di studi o professionale, non esita a sostenere teorie antiscientifiche e pericolose. Dare voce a qualsiasi pseudo esperto con una vaga opinione sul Coronavirus senza alcun riscontro fattuale, con il solo scopo di aumentare le proprie visualizzazioni sui social o i voti al proprio partito, ha una conseguenza molto grave: minare l’autorevolezza della ricerca scientifica.
L’esempio più recente di questa tendenza è rappresentato dal medico di Borgaro Torinese Giuseppe Delicati e dalla sua affermazione che il vaccino antinfluenzale aumenta il rischio di contrarre il Coronavirus (finendo poi sotto indagine per procurato allarme). Dello stesso avviso è il virologo Giulio Tarro, che chiede la galera per i “pro-vax”. Inoltre, il virologo siciliano continua a sostenere pubblicamente che le mascherine siano inutili, che fare i tamponi sia controproducente e che quella che viviamo non è una fase di emergenza, ma quella dell’immunità di gregge (anche se i fatti lo contraddicono). Il problema non sono soltanto le dichiarazioni insensate e pericolose dei vari pseudo esperti, ma soprattutto la visibilità mediatica di cui tali dichiarazioni godono. In tal senso, il caso Tarro è emblematico: virologo di fama mondiale grazie al suo lavoro per contrastare l’epidemia di colera del 1973, oggi sfrutta la sua notorietà (vantandosi anche due presunte candidature al Premio Nobel, nonostante i nomi dei candidati vengano resi noti solo 50 anni dopo l’effettiva assegnazione del riconoscimento) per alimentare polemiche sterili e legittimare idee antiscientifiche utilizzando i media come cassa di risonanza. Così facendo, il messaggio che passa è che se una personalità di spicco si oppone alla scienza mainstream, allora questa è meno affidabile dell’opinione del luminare dissidente. Tuttavia, l’attendibilità di una tesi deve per forza fondarsi su basi scientifiche condivise dalla comunità degli “addetti ai lavori”, e non sulla singola opinione di un esperto piò o meno celebre.
Un altro esempio è rappresentato dalle dichiarazioni rilasciate da Alberto Zangrillo, che a maggio aveva affermato che il SARS-CoV-2 fosse ormai clinicamente morto; pur avendo parzialmente ritrattato in seguito, rimane comunque la gravità e pericolosità di questo tipo di affermazioni, soprattutto se fatte da un primario ospedaliero di fama nazionale e con l’uso di termini che non si prestano a una interpretazione relativa ai soli dati osservati nel momento in cui vengono rilasciate alla stampa, atteso che in un solo caso – e in ambito non scientifico – si tramanda il fenomeno della resurrezione. A gettare ulteriore benzina sul fuoco ci ha pensato Massimo Giletti nella sua trasmissione Non è l’arena, permettendo a Zangrillo di “raccontare la sua verità” in diretta Tv e di “prendersi una rivincita” dopo i numerosi attacchi subiti. Ancora una volta vediamo come i media siano complici del disastro in corso, alimentando la cosiddetta infodemia, che l’Oms definisce come una “sovrabbondanza di informazioni – alcune accurate, altre no – che rende difficile alle persone trovare fonti affidabili e una guida sicura quando ne hanno bisogno”. È innegabile che, dando spazio a personaggi con questo orientamento e seguendo un certo tipo di strategia comunicativa, i media italiani contribuiscono in maniera attiva e determinante a convincere l’opinione pubblica che la ricerca scientifica si riduca a uno scontro di opinioni divergenti, e che le persone “scomode” o “non allineate” vengano spesso e volentieri messe a tacere dai “poteri forti”.
Oltre al già citato Giletti, che ha fatto del complottismo la quintessenza del suo programma Tv – con ospiti del calibro di Red Ronnie e Adriano Panzironi per parlare di Coronavirus – sono diversi i giornalisti italiani che dedicano spazio a “verità alternative” e a dannose teorie complottiste. Su tutti spicca Mario Giordano, che nel suo programma su Rete4 è solito dare voce a personaggi come Alessandro Meluzzi o la virologa Li Meng Yan, entrambi sostenitori della tesi che il virus sia stato creato artificialmente in un laboratorio cinese e che tale “verità” sia stata censurata sia dalla comunità scientifica che dal mondo politico. Ovviamente Giordano non sottolinea che le tesi di Yan sono del tutto arbitrarie e non hanno alcuna validità scientifica, strizzando l’occhio alle varie teorie complottiste e tacendo sul fatto che tale pseudo ricerca è stata finanziata da Steve Bannon in persona, con lo scopo di screditare la Cina agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. Giordano ha anche rilanciato le tesi complottiste del Premio Nobel Luc Montagnier, presentato al pubblico come “un gigante” e “un luminare”, salvo dimenticare un dettaglio fondamentale, ossia che le sue tesi sono state rigettate dal resto della comunità scientifica. Il medico francese, infatti, sembra essere vittima di quella che alcuni definiscono la “sindrome da Nobel”, che spinge chi ha ottenuto il riconoscimento a sentirsi infallibile (e a venir presentato come tale dai media) e a sostenere legittimamente anche teorie del tutto antiscientifiche. Tuttavia, bisogna ribadire ancora una volta che una idiozia rimane tale anche se viene sostenuta pubblicamente da un Premio Nobel. L’autorevolezza di un qualsiasi scienziato, infatti, si basa solo ed esclusivamente sulla validità pratica delle sue teorie e non sull’appeal mediatico delle sue tesi più o meno controverse.
C’è poi un altro dato preoccupante: la tendenza a legittimare i pareri dannosi e infondati degli pseudo esperti può anche contare su diversi spazi politici e istituzionali. Lo scorso luglio, per esempio, il Senato ha ospitato un convegno di negazionisti (patrocinato da Vittorio Sgarbi), a cui hanno partecipato esponenti politici di primo piano come Matteo Salvini e Armando Siri, la biologa Marina Gismondo e il costituzionalista Michele Ainis. Ancora una volta abbiamo avuto la prova che l’avere un titolo di studio e il ricoprire un prestigioso incarico professionale non sia sinonimo di credibilità e autorevolezza scientifica. Al contrario, è grave e allarmante che volti noti del giornalismo, della politica e della medicina possano sostenere che ci troviamo in una “dittatura sanitaria”, che le restrizioni calpestino i nostri diritti e la nostra libertà individuale, o che il Covid sia una farsa: tali affermazioni sono infatti non supportate da fatti. Inoltre, è inaccettabile come sia i media che le istituzioni si mostrino indulgenti e conniventi con personalità le cui idee e dichiarazioni costituiscono a tutti gli effetti un pericolo per la salute pubblica.
Non è più tollerabile neanche il modo in cui i media riportano le azioni e le dichiarazioni antiscientifiche di alcuni politici. Basti citare Salvini, che presenzia ai comizi senza mascherina pur essendo febbricitante e che scatta selfie con i suoi fan senza rispettare alcuna norma sul distanziamento; o che attacca il governo per non essere stato in grado di prevenire la seconda ondata, dopo che lui per primo ha negato per tutta l’estate questa eventualità. Il leader leghista è in buona compagnia dei suoi colleghi sovranisti in tutto il mondo, a partire da Trump e Bolsonaro: il primo aveva detto che il Covid si potrebbe curare con iniezioni di disinfettante, che il suo contagio è stato una benedizione di Dio e che il vaccino sarà disponibile già a novembre – per pura casualità a ridosso delle elezioni presidenziali statunitensi; il brasiliano ha invece affermato che le misure anti-Covid sono più pericolose del virus stesso, salvo poi annunciare di essere guarito dal virus grazie all’idrossiclorochina. Ci troviamo di fronte ad atteggiamenti e dichiarazioni molto pericolose che rischiano di facilitare la diffusione del virus e compromettere la salute pubblica. Come ricorda l’infettivologo Massimo Galli, i messaggi che Salvini lancia al suo pubblico sono estremamente pericolosi e soprattutto scientificamente infondati. Inoltre, la scienza smentisce sia Trump che Bolsonaro, dato che né l’idrossiclorochina né le iniezioni di disinfettante sono efficaci per combattere il virus. Per di più, secondo il Financial Times, non è vero neanche che il vaccino sarà disponibile entro questo novembre; è più probabile che bisognerà aspettare almeno un altro anno prima di averlo effettivamente a disposizione di una parte della popolazione mondiale.
Il problema è che molti media e giornali, anziché definire tali dichiarazioni come pericolose e infondate, si limitano a definirle come gaffe, provocazioni o dichiarazioni controverse. Viene applicata esattamente la stessa metodologia riservata alle uscite di personaggi come Montagnier e Tarro: posizioni chiaramente antiscientifiche e pericolose vengono presentate sotto la luce meno negativa di “verità alternative” o “opinioni controverse”, in barba a ogni principio di autorevolezza della ricerca e di tutela della salute pubblica tramite un’informazione corretta. Il principio di autorevolezza, infatti, non ammette l’esistenza di “verità alternative”, non perché motivato da intenti dispotici da parte di alcuni scienziati e ricercatori: al contrario, stabilisce che la veridicità di una teoria e la validità di una ricerca non hanno niente a che vedere con la fama e i riconoscimenti di chi lavora a quelle tesi. Infatti l’evidenza fattuale è l’unico elemento che ci permette di stabilire se una tesi sia vera o meno, indipendentemente dal fatto che questa venga sostenuta da un Premio Nobel o da un giovane ricercatore precario e sconosciuto.
Un’informazione che voglia davvero definirsi corretta e tutelare davvero gli interessi della salute collettiva dovrebbe negare ogni visibilità a teorie e personaggi che non rispettino i criteri di una corretta ricerca scientifica. Oggi più che mai serve il coraggio di preferire la verità al sensazionalismo, di definire un bugiardo chi sostiene tesi in aperta contraddizione con la pratica scientifica, e di dare la giusta considerazione a tutti quei politici e giornalisti che a tali tesi danno credito e visibilità: nessuna.