Perché Matrix, oltre a essere un capolavoro, è stato il primo colossal a celebrare l'integrazione

Il 1999 è stato un anno piuttosto significativo per la storia dell’uomo occidentale, sia per il suo essere a cavallo tra un’era che cominciava, il “futuro” del Ventunesimo secolo, e una che finiva, sia per una serie di cose che sono successe. Il famoso millennium bug, per esempio, preannunciava una catastrofe informatica che si sarebbe verificata tra il 31 dicembre 1999 e il 1 gennaio 2000, una falla nel sistema di tutto il mondo che avrebbe potuto provocare una serie di danni irreparabili. Internet, i computer e tutto ciò che ruotava attorno al mondo ancora giovanissimo dell’informatica era al suo stato germinale; contemporaneamente, questo ingresso annunciato nell’era digitale si mescolava a una percezione diffusa di decadenza capitalista, la fine di un periodo di consumismo, espansione e benessere diffusi. In questo contesto contraddittorio, all’alba della modernità vera e propria, quella immaginata dalla fantascienza anni prima – il 2001 di Kubrick e il 2019 di Ridley Scott per citarne due – esce un film che segna a tutti gli effetti l’ingresso in una nuova epoca, sia per i suoi contenuti sia per la sua forma. Matrix conclude un millennio. È una pellicola che ha avuto un impatto culturale enorme, una sorta di manifesto cyberpunk, ma che ha anche avuto uno strano destino di reinterpretazione e appropriazione postuma per mano dell’alt-right americana, che non a caso è un movimento che si è sviluppato e consolidato proprio sul web, in quei meandri di anonimato senza leggi che esplorava Thomas A. Anderson sotto il nome di Neo.

Nel 1999 l’universo di internet e la figura dell’hacker erano elementi parte di una sottocultura che a differenza di oggi aveva ancora intorno un’aura di mistero e di oscurità, che ormai si è in gran parte dileguata. Avere a che fare con i codici, essere un programmatore e sapersi addentrare in quel mondo quasi esoterico era chiaramente una prerogativa da “nerd”; allo stesso tempo, però, quell’universo cibernetico era molto affascinante, motivo per cui le sorelle Wachowski, che all’epoca dell’uscita del film erano ancora “i fratelli” – dettaglio fondamentale anche per capire gli sviluppi interpretativi che ha avuto Matrix nel corso di questi ultimi vent’anni – hanno creato di fatto una sorta di manifesto di quel momento, sottolineando con una trama ricca di riferimenti e sottotesti un senso di insofferenza verso l’incombenza di un futuro ignoto. Matrix risulta così sia un cult generazionale che un perfetto ritratto metaforico dello spirito di quell’epoca crepuscolare: la conclusione di un millennio e l’inizio di un’epoca che si prefigurava come totalmente nuova e rivoluzionaria. 

Nonostante avessi appena sette anni al momento dell’uscita di questo film non posso scordare l’impatto che ebbe sulla vita attorno a noi, sia perché se ne parlava di continuo e ovunque sia perché le sue immagini divennero subito iconiche, specialmente quelle in cui si utilizzava il famoso bullet time, quell’effetto speciale che fa sembrare alcune scene 2D come fossero girate in 3D. L’estetica cyberpunk di Matrix, la musica dei Prodigy, dei Deftones o dei Massive Attack che fa da colonna sonora, i nomi da hacker come “Neo” o “Morpheus” che rimandano a questo sincretismo tra mitologia e modernità, l’atmosfera da rave, i vestiti di pelle, il viso pulito ma intenso di Keanu Reeves: tutti gli ingredienti presenti nel lungometraggio delle sorelle Wachowski hanno fatto da trampolino di lancio per un nuovo filone cinematografico fantascientifico e per un’idea postmoderna di racconto. Nella trama di Matrix, infatti, sono presenti riferimenti culturali e filosofici di diversa provenienza che messi insieme creano un universo aperto a mille interpretazioni e portano così a un coinvolgimento del pubblico ancora più affiatato, come una sorta di scrittura sacra da decodificare.

Si parla del mito della caverna di Platone, forse il riferimento più evidente di tutta la storia, dal momento in cui la realtà percepita in Matrix, quella della società tardo capitalista in cui siamo tutti inseriti in qualità di ingranaggi, non è altro che un’ombra della verità, di un mondo parallelo da cui partono queste proiezioni fittizie. Si tratta di un’elaborazione del pensiero classico che fa leva proprio su questa sensazione di decadenza consumistica di fine millennio, come se il genere umano fosse arrivato al capolinea, quella celebre “fine della storia” di cui parla Fukuyama, un tema che, specialmente alla fine del Novecento, diventa molto acceso e sentito. All’alba del 2000 era necessaria un’opera che racchiudesse in sé quel sentimento collettivo di diffidenza ma al contempo dipendenza dalla macchina, dalla tecnologia che diventava sempre più integrata non solo nella vita di tutti i giorni, ma anche nel modo di pensare e di essere; e la metafora dell’uomo come proiezione di un essere che in realtà vive in parallelo dentro una sorta di placenta, collegato a un account che cammina, mangia e lavora al posto suo non è poi così tanto distante dalla rivoluzione che hanno portato i social.

Questo punto centrale del film, la dualità ontologica in cui Neo scopre di vivere esattamente come tutti gli esseri umani, è dunque la parte più interessante e affascinante di Matrix. Un topos narrativo che di certo non appartiene solo alla pellicola delle sorelle Wachowski – basti pensare a storie come Alice nel Paese delle Meraviglie, altro racconto citato non a caso nel film – ma che le due registe hanno saputo ben calibrare con gli elementi del presente, anche grazie a un riferimento teorico, ossia le opere del filosofo francese Jean Baudrillard. Simulacri e simulazione, un saggio del 1981, è infatti un testo fondamentale per la costruzione della trama del film, tanto da essere diventato una lettura obbligatoria per buona parte del cast. Per Baudrillard, il mondo Occidentale capitalista è una simulazione di realtà fatta appunto di simboli e simulacri, i quali costituiscono una percezione del reale resa significativa attraverso la cultura e i media.     Anche se in realtà, il filosofo si è poi discostato dall’uso delle registe delle sue teorie, sostenendo che fosse un’interpretazione erronea, il libro appare comunque in una delle primissime scene – Neo ne prende una copia dalla sua libreria – e i riferimenti anche solo strutturali della divisione tra simboli e percezione è chiaramente intrecciata con quella descritta da Baudrillard. Una divisione che, guarda caso, col passare degli anni oltre a rimanere impressa nel pubblico per il suo impatto sia narrativo che filosofico – l’idea di un’esperienza condivisa e collettiva che coinvolge parte della nostra mente, ma non il nostro corpo, è in effetti ciò che facciamo ogni giorno sui social – è diventata anche la base di una teoria dell’alt-right americana. Paradossalmente, un film che rimanda su più punti di vista a un movimento di ribellione – non letterale ma di certo molto critica nei confronti della società assuefatta a certi parametri di consumismo e alienazione – e che stimola proprio quell’immaginario alternativo e anti-sistema è diventato una metafora per gruppi di estrema destra conservatori.

Matrix non è l’unica opera cinematografica o letteraria che di recente è stata inglobata da movimenti di destra con l’obiettivo di distorcere il messaggio finale del film per utilizzarne solo la parte che conviene. Anche con Fight Club, uscito peraltro lo stesso anno, è successa una cosa simile: l’universo proto-fascista maschile fondato sulla violenza del film di David Fincher è d’ispirazione per movimenti anti-femministi come Men Going Their Own Way, che teorizza la separazione dell’uomo da qualsiasi forma sociale che lo sottometta e lo esponga al presunto “pericolo femminile”. Ma Fight Club, più che supportare questa soluzione al dramma dell’emancipazione delle donne fatta di violenza e risse clandestine, è semmai una parodia di questa stessa tossicità virile e machista, cosa che viene resa particolarmente chiara con il finale del film e l’uccisione dell’alter-ego ribelle.

Per quanto riguarda Matrix, invece, l’appropriazione digitale è avvenuta nell’ambito della cosiddetta teoria della Pillola Rossa: quando Morpheus chiede a Neo se vuole continuare la sua vita nel mondo fittizio creato da Matrix gli offre una pillola blu, se invece vuole continuare questo viaggio svegliandosi dal sonno della ragione che lo ha tenuto intrappolato in una falsa realtà allora dovrà prendere quella rossa. Redpillare, termine italianizzato negli ultimi anni, è dunque sinonimo di un’epifania indotta, un momento in cui grazie al supporto di una guida – in questo caso le community maschiliste alt-right di 4chan, 8chan o Reddit, parte della cosiddetta manosphere – ti viene mostrata la verità, ossia che le reali vittime del presente sono gli uomini bianchi eterosessuali. L’emancipazione femminile, secondo queste teorie, si serve di un finto vittimismo per dominare il genere maschile, derubato della sua predominanza naturale, che dovrebbe esercitare indisturbato nella società contemporanea. Si tratta di un filone piuttosto complesso e articolato di teorie nate principalmente su forum online e che piano piano sono diventate sempre più note anche al pubblico “non addetto”. Gli incel, per esempio, sono parte di queste comunità.

La cosa più assurda nel caso dell’appropriazione di un elemento centrale del racconto di Matrix da parte di queste comunità misogine è che, guarda caso, il film per certi aspetti è stato letto anche come metafora della transizione delle due registe. Una comunità che disprezza e condanna l’omosessualità, il femminismo e ovviamente anche i diritti delle persone transgender si è trovata a eleggere come simbolo una pellicola girata da due fratelli che pochi anni dopo avrebbero compiuto una transizione, cambiando i loro nomi e la loro identità di genere. Sono diversi infatti gli indizi in Matrix di una certa corrispondenza metaforica con le tappe esistenziali e psicologiche che affrontano nei loro percorsi di cambiamento le persone trans: anche la stessa pillola rossa, quella tanto amata dalla manosphere transfobica, per esempio, è stata letta come un possibile rimando alla pillola usata per le terapie ormonali, lo Spironolattone. Ma anche la metafora di sentirsi parte di una realtà dissonante, la percezione di Neo di essere fuori posto, il fatto di avere una doppia identità, una in rete con uno pseudonimo neutro e una in carne e ossa con un nome e un cognome maschili, sono segnali che il pubblico delle sorelle Wachowski negli anni ha interpretato come chiari rimandi anche al loro stesso percorso di vita.

A distanza di più di vent’anni, dunque, Matrix non è solo un film cult di fantascienza che ha plasmato l’immaginario collettivo ma un vero e proprio argomento di dibattito contemporaneo, un simbolo dell’inizio di una nuova era che passa attraverso internet e il mondo digitale. L’appropriazione dell’alt-right, lo storpiamento di un messaggio reso utile ai propri fini, il paradosso per cui le creatrici stesse dell’opera siano di fatto parte del “male” che la comunità di redpillati reazionari e anti-progressisti accusa di aver rovinato la società è tutto parte dell’enorme impatto di questo film. E non è affatto casuale che proprio online, nelle comunità sommerse fatte di forum e thread su Reddit, si siano creati questi nuovi utilizzi del film con fini ideologici, proprio in quella dimensione parallela che Matrix anticipava in modo esagerato ed estremo, ma con una base di realtà così tangibile da risultare inquietante. Il millennium bug alla fine non ha fatto i danni catastrofici che ci si immaginava, la misoginia, l’omofobia, la transfobia e il razzismo, invece, ne hanno fatti e ne continuano a fare eccome, proprio perché, come in Matrix, l’esperienza del parallelo diventata sempre più reale.

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