L’Italia produce ed esporta le bombe che uccidono i bambini in Yemen. E a nessuno importa.

I portuali di Genova nei giorni scorsi hanno deciso di scioperare, rifiutandosi di caricare sulla nave saudita Bahri Yanbu i generatori della Defence Tecnel di Roma, materiale che sarebbe finito negli arsenali delle forze armate di Riyad. La mobilitazione indetta dalle associazioni pacifiste e dai sindacati per dire “stop ai traffici di armi, guerra alla guerra” ha costretto il cargo a ripartire da Genova senza i rifornimenti militari, come già accaduto il 10 maggio nel porto di Le Havre, quando i lavoratori non hanno imbarcato otto cannoni Caesar che la Francia ha venduto all’Arabia Saudita. 

Dal 2015 il Paese è coinvolto in una guerra contro le milizie filo-iraniane degli Houthi in Yemen per evitare che i ribelli conquistino lo stretto di Bab el Mandeb, un punto di passaggio fondamentale per i flussi commerciali sauditi lungo la rotta Gibilterra-Malacca. In questo tratto di mare, che congiunge il Mar Rosso e l’Oceano Indiano, passano quotidianamente circa cinque milioni di barili di petrolio, tra import ed export. Nei quattro anni di conflitto la coalizione guidata dall’Arabia Saudita è stata più volte accusata di crimini contro l’umanità dagli osservatori internazionali, soprattutto per i suoi bombardamenti indiscriminati sulla popolazione civile. 

Un gruppo di yemeniti trasporta il corpo di una vittima di un attacco aereo durante un funerale a Saana, Yemen, 2017

Da almeno tre anni, si può ritenere che la responsabilità di una parte dei 10mila civili uccisi durante il conflitto gravi anche sull’Italia. Dal 2016 a oggi il nostro governo ha infatti venduto ai sauditi bombe per un valore di 411 milioni di euro, valore dell’autorizzazione arrivata dalla Uama, l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento, a una commessa per la produzione di queste armi. L’autorizzazione è arrivata quando Matteo Renzi era presidente del Consiglio e, nonostante il successore Giuseppe Conte si sia detto contrario alla vendita di armi all’Arabia Saudita, non è mai stata revocata. Tutto questo nonostante già il 25 febbraio 2016 il Parlamento europeo avesse adottato una risoluzione che “ha invitato il vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (VP/AR) ad avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita”.

Anche se nel 2018 non sono state rilasciate nuove concessioni, la commessa da 411 milioni si esaurirà nell’arco di diversi anni. Intanto, solo nel 2018 sono state fornite all’Arabia Saudita bombe per un valore complessivo di oltre 42 milioni di euro. Lo conferma la relazione che obbligatoriamente, secondo la legge 185/90, la presidenza del Consiglio deve inviare annualmente al Parlamento sulla situazione dell’export e import di armi italiano. La legge, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 14 luglio 1990, obbliga il presidente del Consiglio dei ministri a riferire al Parlamento con una relazione riguardo alle vendite di armi autorizzate o svolte nell’anno precedente. Anche se il documento deve essere inviato entro il 31 marzo di ogni anno, il governo Conte ha reso pubblico quello relativo al 2019 solamente nella seconda settimana di maggio. Nella relazione, firmata dal sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri Giancarlo Giorgetti, in quota Lega, si legge che nel 2018 le autorizzazioni sono calate del 53% rispetto al 2017, ma sono ancora di molto superiori alla media degli anni Novanta e Duemila. 

Giancarlo Giorgetti e Giuseppe Conte

Le autorizzazioni inoltre sono state rilasciate, per oltre il 70% delle licenze singole, verso Stati che non fanno parte dell’Unione europea e nemmeno della Nato: i primi posti sono occupati da Qatar, Pakistan, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Turchia (che fa parte della coalizione Nato). Solamente per quanto riguarda l’Egitto, nel 2018 sono state autorizzate sei esportazioni di sistemi militari per un totale di quasi 70 milioni di euro, valore che fa del Cairo il terzo acquirente di armamenti italiani tra gli Stati non appartenenti all’Unione europea o alla Nato. La relazione non fa però chiarezza su cosa sia stato esportato verso l’Egitto, se non con alcune generiche indicazioni come: “armi e armi automatiche di calibro uguale o inferiore a 12,7 mm, bombe, siluri, razzi, missili ed accessori, apparecchiature per la direzione del tiro, apparecchiature elettroniche e software”.

I migliori clienti delle armi made in Italy sono Paesi nelle ultime posizioni nelle classifiche annuali sul rispetto dei diritti umani o coinvolti in guerre condannate dalla comunità internazionale. Eppure, secondo l’articolo 1, comma 6 della legge 185/90 “L’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato […] e verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa”. Nonostante la legge parli chiaro, il volume totale della vendita di armamenti per l’Italia, nel solo 2018, è stato di 5,2 miliardi di euro, mentre molte società che producono armi sono partecipate direttamente dallo Stato. Ad esempio, Leonardo, società presieduta da Gianni De Gennaro e con Alessandro Profumo come amministratore delegato, ha come maggiore investitore proprio il ministero dell’Economia e delle Finanze che detiene il 30% delle sue quote. Anche la Mbda, cioè la Matra Bae Dynamics Alenia, un consorzio europeo che costruisce armi e tecnologie di difesa, è partecipata al 25% sempre dalla Leonardo.

Alessandro Profumo

La Leonardo è anche la società che produce gli elicotteri NH-90, mezzi utilizzati sia nelle operazioni militari in Afghanistan e Iraq che in operazioni di salvataggio, come l’evacuazione dei passeggeri del traghetto Norman Atlantic che il 28 dicembre 2014 prese fuoco nel Canale d’Otranto. Nella relazione governativa si legge che nel 2018 la commessa più ingente è stata proprio l’autorizzazione di circa 1,6 miliardi di euro per 12 elicotteri NH-90.

La Leonardo, con oltre 3,2 miliardi autorizzati, è anche al primo posto nella classifica delle aziende che hanno ricevuto più licenze, seguita dalla già citata Rwm Italia (quasi 300 milioni), dalla Mbda Italia (234 milioni), dall’Iveco Defence (quasi 200 milioni), dalla Rhenimetall Italia, dalla Fabbrica d’armi Pietro Beretta e Piaggio Aero (tutte con oltre 50 milioni di licenze). 

Gran parte dei 300 milioni della Rwm Italia sono dovuti alle bombe MK80 usate dall’Arabia Saudita in Yemen. La Rwm Italia S.p.a. è una società di proprietà tedesca (è al 100% della Rheinmetall) con la sede a Ghedi in provincia di Brescia ma l’impianto di produzione a Domusnovas, in Sardegna, nel Sulcis Iglesiente. La produzione di armi non muove solo un mercato che per l’export italiano vale più di 5 miliardi di euro, ma crea un indotto che in alcune delle zone di produzione diventa irrinunciabile. Lo stabilimento sardo della Rwm offre occupazione in una zona della Sardegna in cui il tasso di disoccupazione nel 2016 superava il 20%, contro una media nazionale del 10.8%. La tutela dei posti di lavoro è però una scusa usata dai governi per tutelare un mercato che garantisce profitti miliardari, come dimostrano i fatturati delle società impiegate nel settore. La tedesca Rheinmetall, proprietaria della Rwm, nel 2018 ha fatturato oltre sei miliardi di euro. Il totale dei suoi dipendenti italiani però, secondo il bilancio presentato alla Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Brescia, a fine 2016 era di 152 unità, di cui 69 impiegati nello stabilimento di Ghedi e 83 a Domusnovas. 

Dietro la scusa di preservare poco più di 150 posti di lavoro l’Italia continua a fornire bombe all’Arabia Saudita. Intanto, secondo Save the Children in Yemen “oltre 22 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria, oltre 8 milioni non possono accedere alle cure mediche di base, mentre sono 11,3 milioni i bambini che hanno bisogno di protezione”. Dalla decisione di Riyad di intervenire nella guerra civile yemenita si sono contati più di 65mila morti o feriti, di cui almeno 10mila civili. La situazione si è ulteriormente aggravata nella seconda metà del 2018 quando, secondo un rapporto dell’Unhcr, tra agosto e ottobre, in Yemen ci sono state più di 1.500 vittime non combattenti. Lo sviluppo drammatico del conflitto ha portato il Parlamento europeo ad adottare la risoluzione del del 4 ottobre 2018 che “esorta, in tale contesto, tutti gli Stati membri dell’Ue ad astenersi dal vendere armi e attrezzature militari all’Arabia Saudita”.

Nella vendita di armi lo Stato italiano si trova nella condizione di essere il controllore (con la Uama), il controllato (con le società che producono armi a partecipazione pubblica) e anche l’ente che deve rilasciare le autorizzazioni. Nonostante il monito dell’Unione europea e gli appelli delle organizzazioni umanitarie di tutto il mondo, sfruttando questo paradosso legislativo i governi italiani continuano a guadagnare miliardi di euro sulla pelle di civili innocenti. 

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