Tutto ciò che si discosta dalla norma viene visto come potenzialmente negativo, se non pericoloso, perché mette in discussione le nostre certezze e dunque osteggiato. L’imperativo di rispondere e uniformarsi a determinate caratteristiche – fisiche, caratteriali e comportamentali – che vengono identificate come “normali” ha però fatto sì che varie categorie di persone venissero cancellate dalla sfera sociale. Tra queste compaiono coloro che hanno la vitiligine, una malattia della pelle che comporta la perdita di melanina in alcune aree e la conseguente comparsa di chiazze depigmentate.
La vitiligine, che può comparire a qualsiasi età, coinvolge tra lo 0,5 e il 2% della popolazione mondiale. In Italia si stima che ne siano colpite tra 700mila e un milione di persone. Nonostante non comporti rischi per la salute, il tributo in termini psicologici è pesante. Chi ha la vitiligine può percepirsi come sfigurato, avere bassa autostima, subire discriminazioni e atti di bullismo e, nonostante non vi sia ancora una cura risolutiva, sottoporsi a terapie costose e spesso del tutto inutili, in cerca di normalità. Io ho la vitiligine da quando ho otto anni: accettarsi non è un processo lineare o definitivo, si vede il proprio aspetto cambiare anche da un giorno all’altro. In alcuni contesti, per alcune persone, può essere estremamente difficile mostrare apertamente la propria condizione e vivere senza sottoporsi a un quotidiano camuffamento del proprio aspetto: il giudizio sociale, gli sguardi curiosi o disgustati, le discriminazioni riguardo al lavoro o gli episodi di bullismo sono una realtà che può rivelarsi devastante. Da un lato l’impatto della vitiligine viene sminuito, definendola un problema meramente estetico; dall’altro, chi ce l’ha viene considerato inadeguato e sente la pressione di doversi conformare ai dettami sociali.
Una possibile strada per uscire da tutto questo potrebbe essere quella di rivendicare con orgoglio la propria diversità. La moda l’ha aperta scegliendo anche modelli e modelle con la vitiligine ed esaltandone la bellezza fuori dagli schemi. La modella texana Amy Deanna, per esempio, è diventata il volto del marchio di cosmetici Cover Girl, che nel 2018 ha lanciato una campagna nel segno dell’inclusività; e anche la campagna del 2021 di Douglas con la modella Tiger Lily si è svolta all’insegna della bellezza nella differenza. In un video su YouTube Tiger Lily, che promuove anche un pensiero basato sulla body positivity, afferma che la sua bellezza potrebbe nascere proprio dalla vitiligine e che mentre in passato l’ha vissuta negativamente, ora non si saprebbe più vedere senza. È successo anche a me: intorno ai venticinque anni sono passata dall’invidiare e desiderare le mani degli altri a identificarmi con le mie mani più bianche rispetto al resto della carnagione e a non riuscire a vedermi senza. Più complicato è invece il rapporto con le macchie sul viso: non le nascondo, ma ci sono giorni in cui, se potessi scegliere, ne modificherei la diffusione.
Spesso, sui forum di vitiligine, leggo di genitori che sottopongono bambini – anche piccolissimi – a lunghi cicli di sedute di fototerapia e terapia con cortisonici. Il supporto dei genitori è fondamentale con una condizione che rende così vulnerabili allo sguardo degli altri e questo passa attraverso accettazione e amore incondizionati. Prima di intraprendere una terapia è essenziale far capire alle proprie figlie e figli che non c’è nulla in loro di sbagliato, dare loro la forza di difendersi da eventuali episodi di bullismo e la sicurezza di mostrarsi come sono; magari, anche ricorrendo a un supporto psicologico.
Se il mondo della moda offre spiragli di luce, al cinema ancora non vi è rappresentazione. Immaginate di vedere Don Draper, l’iconico protagonista della serie televisiva Mad Man, accendersi una sigaretta con le mani ricoperte da macchie bianche. Strano, no? Non proprio. Jon Hamm, l’attore che interpreta Don Draper, soffre infatti di vitiligine. Il problema non è tanto ricorrere al camouflage cosmetico per coprire le macchie di attori e attrici, il punto è che non vengono mai rappresentati personaggi con la vitiligine, e questo contribuisce a una rappresentazione della realtà parziale e falsata. Se le lentiggini sono passate dall’essere giudicate un difetto all’essere ritenute “adorabili”, perché non si riesce ancora a considerare le nostre macchie della vitiligine una semplice caratteristica fisica? Altezza, corporatura, forma del viso, colore e uniformità della pelle sono particolarità che in sé non hanno nulla di giusto o di sbagliato, il giudizio di valore lo appiccichiamo noi a posteriori.
Hollywood ha iniziato a includere fisicità e tratti somatici differenti, anche in ruoli da protagonisti. Un giorno vorrei guardare un film o una serie TV e potermi finalmente riconoscere appieno anch’io in una storia. Se significherebbe tanto per me, anche se ormai sono adulta e mi sono accettata, figuriamoci cosa vorrebbe dire per bambini e adolescenti, magari sottoposti a bullismo a scuola e allo sguardo ansioso, oppure evitante dei genitori a casa. Finché non ci sarà una rappresentazione narrativa, il messaggio che passerà sarà sempre e solo che nelle persone con la vitiligine c’è qualcosa di sbagliato, che possibilmente andrebbe cambiato. Il punto è che non c’è nulla da nascondere, perché siamo più o meno belli e brutti come tutti. Con o senza vitiligine siamo così come siamo. È quello che ha fatto Mattel, che nella collana Fashionistas ha introdotto una Barbie con la vitiligine.
Nel suo coming out su Instagram nel 2019, l’attrice Kasia Smutniak ha mostrato con gioia – e coraggio – le sue macchie di vitiligine, incoraggiando chi la segue ad amare i propri difetti. Questa è una presa di posizione significativa, ma potremmo provare a fare un ulteriore passo avanti: i canoni estetici sono una convenzione, che cambia a seconda della latitudine e del periodo storico. Dunque non dovremmo parlare di difetti. Bisognerebbe superare il concetto di patologizzazione del nostro aspetto e parlare piuttosto di particolarità. Perché che si debba per forza avere la pelle in tinta unita o che solo con questa si possa essere attraenti, non è un principio immutabile. Chissà come sarà considerata la vitiligine tra due, cinque o dieci anni. Nel frattempo, chi ha la vitiligine può iniziare a cambiare il proprio sguardo, e con questo informare e influenzare positivamente le persone che ha intorno. Il caso di Winnie Harlow, modella di fama internazionale che delle sue macchie bianche ha fatto un punto di forza, dimostra che i canoni estetici non solo sono variabili, ma vengono condizionati dalla nostra mentalità e atteggiamento. Da bambina, Harlow è stata bullizzata a causa delle sue macchie. Oggi sfila per Moschino, è testimonial Puma, è stata il volto di brand come Desigual, Nike, Diesel e apparsa sulle copertine di Vogue, Elle, Bazaar e tra le pagine di Cosmopolitan.
Non sono solo le nuove generazioni ad avere bisogno di modelli ispirazionali. Capita, nei forum sulla vitiligine, di leggere post di donne e uomini preoccupati per la loro vita sentimentale. Si chiedono come reagiranno possibili futuri partner di fronte alle loro macchie, se queste possano allontanare l’attuale compagna o compagno o precludere dal trovarne. Si vergognano delle macchie sui genitali e si angosciano all’idea che possano influenzare negativamente la sfera sessuale.
Qualche anno fa un uomo che consideravo un amico mi ha chiesto, serissimo, se per caso attraessi feticisti, del macabro e del deforme. Non avendo capito a cosa si riferisse, ha aggiunto: “Sì, per le macchie”. La violenza verbale di quelle parole – un tripudio di body shaming, abilismo e semplice grettezza – mi ha lasciata annichilita. Al netto di una scarsa sensibilità personale, il problema è anche quello di una società che vuole correggere tutto quanto si discosti dalla norma, arrogandosi la prerogativa, in virtù di una semplice maggioranza numerica, di stabilire cosa sia giusto o sbagliato e di distribuire etichette di normalità.
Considerati da Lombroso un segno della degenerazione morale tipica dei malviventi, oggi i tatuaggi sono passati dall’essere un fenomeno di nicchia limitato alla cultura underground all’essere un tratto comune e in massima parte accettato nella società (anche se in alcuni ambiti di lavoro chi ha tatuaggi, soprattutto se visibili, viene ancora fortemente discriminato). Il tatuaggio nelle culture tradizionali – e nell’antichità – viene usato a scopo ornamentale, commemorativo, celebrativo e per affermare la propria individualità. Non c’è ragione per non considerare le macchie di vitiligine nella stessa maniera, anche perché chi le ha non ha scelto di averle. Il problema di ciò che è esteticamente piacevole o accettabile è tutto nella nostra testa, e allora sarebbe il caso di smettere di giudicare, di aprirsi a ciò che è diverso e di accettare che non esista una sola idea di bellezza. Possiamo tutti farci promotori del cambiamento: chi non ha la vitiligine dovrebbe smettere di vedere freak chi la ha; il mondo dell’arte potrebbe poi darci più visibilità e noi che abbiamo la pelle bicolore potremmo rivendicare i nostri spazi senza nasconderci o camuffarci. L’accettazione di sé da parte di una bambina o di un bambino, così come quella di molti adulti, può iniziare anche così. Parlare di vitiligine è importante, ma secondario, basterebbe mostrarla, come una caratteristica di cui non ci si vergogna.