C’è una vignetta di Andrea Pazienza, di quelle che il fumettista dedicò alla figura di Sandro Pertini, dove il protagonista Pert, da sempre convinto “anti”, si infastidisce nel constatare l’ipocrita conversione di molti fascisti o filo-fascisti che, una volta finita la guerra, sono scesi di corsa dal carro del perdente, rinnegando di colpo decenni di scelte di coscienza e prese di posizione. D’altronde, la storia, quando passa, porta via con sé non solo i morti, ma spesso anche la memoria di chi rimane.
Considerato l’inquietante revival anni Trenta che stiamo vivendo, sarà interessante vedere le capriole che faranno coloro che oggi giustificano, e domani negheranno di averlo fatto, il modo in cui i governi europei stanno gestendo il flusso migratorio nel Mediterraneo. Chissà come verranno giudicati tutti coloro che dimenticheranno – o fingeranno di dimenticare – di aver detto o sottinteso almeno una volta che le migliaia di persone che abbandonano le loro case perché invivibili sono avanzi di galera che rigettano le nostre amate società libere “a causa di fattori legati al loro background.” In sostanza è come dire che, siccome sono nati in regimi dittatoriali, Paesi in guerra o in finte democrazie rimaste ostaggio del neocolonialismo, non sono in grado di vivere liberi.
Eppure, parole simili vengono pronunciate continuamente, dai bar di paese alle piazze virtuali, fino alle aule istituzionali. Qualche mese fa l’enfant prodige della politica d’oltralpe, Sebastian Kurz, apriva con questi toni il semestre di presidenza europeo del suo Paese, dicendo: “Non sono principalmente i più bisognosi che vengono in Europa, ma soprattutto le persone che possono permettersi di pagare i trafficanti e che si sentono abbastanza forti da intraprendere viaggi pericolosi.” Come se rischiare la vita per andare in posti dove se ti va bene ti trattano come un ospite indesiderato, se ti va male lanciano bombe molotov sul tuo rifugio, fosse un viaggio-avventura o una crociera, come ama definirla il nostro ministro dell’Interno. Come se avere abbastanza risparmi, o qualcosa da vendere, ti rendesse meno meritevole di aiuto; come se l’essere giovane dovesse precluderti la possibilità di cercare una vita migliore altrove. Senza considerare che molti di loro arrivano qui dopo periodi lunghissimi di detenzione in condizioni inumane nei campi libici – di cui anche negheremo di aver saputo l’esistenza.
Da quando Matteo Salvini, con il supporto del ministro delle Infrastrutture Toninelli, ha deciso di chiudere i porti italiani alle imbarcazioni che trasportano i migranti tratti in salvo nel Mediterraneo, non è venuta fuori solo la vera natura del governo giallo-verde, di fatto più verde che giallo. Ma è emerso con chiarezza che le dinamiche interne prevalgono sui ragionamenti politici di tutti i governi dell’Unione, e che tutti i sogni che hanno portato alla creazione di questa grande istituzione sono stati dimenticati, lasciati nel secolo scorso. L’accordo dello scorso giugno, tanto decantato dal governo Conte, ha in realtà portato a un nulla di fatto, com’era prevedibile visto che l’unico fattore che potrebbe determinare un reale cambiamento della situazione sarebbe la revisione del trattato di Dublino, che è stata categoricamente esclusa. Tant’è che negli ultimi mesi sono stati diversi i casus belli nati dall’incomunicabilità delle istanze dei singoli Stati e dalla nuova linea dura e pura del ministero di Salvini: dall’Acquarius, all’Asso 28, alla Lifeline, fino all’ultimo, la nave italiana Diciotti, ferma al porto di Catania da quattro giorni, dopo tre di traversata.
Le testimonianze di chi è stato sulla nave sono drammatiche, ma non hanno mosso le coscienze di molti – e quei pochi che hanno sentito di dover fare qualcosa sono stati perfino oggetto di inappropriata ironia da parte del ministro dell’Interno. Un’operatrice di Terre des hommes ha scritto delle terribili condizioni psicologiche e di salute fisica dei 27 minori che sono stati autorizzati a sbarcare nella serata di mercoledì 22 agosto: “Abbiamo accolto 27 scheletrini, il più magro sarà stato un po’ più basso di me e sarà pesato una trentina di chili, la gamba con lo stesso diametro del mio polso,” ha raccontato. Teo Di Piazza, di Medici senza Frontiere, ha riferito a Redattore Sociale che tutti i minori a bordo della Diciotti sono stati detenuti nei centri di accoglienza libici da uno a tre anni, e hanno subito traumi psicologici gravissimi. Hanno tra i 14 e i 17 anni, sono poco più che bambini, checché ne dica Luca Morisi, il sagace social media manager di Salvini ora, sarete contenti di sapere, assunto dallo stesso Ministero e quindi pagato con soldi pubblici (una cosa che, fino a ieri, avrebbe causato indignazione tra i grillini, improvvisamente meno attenti da quando siedono nelle fila del governo). Uno di loro ha problemi alla vista perché ha passato troppo tempo rinchiuso al buio di una cella; un altro ha una ferita d’arma da fuoco sotto l’ascella che gli ha causato una semiparalisi della mano destra.
Le condizioni dei 148 migranti ancora a bordo della nave non sono poi granché migliori, considerato che la maggior parte di loro ha contratto la scabbia e ha subito in Libia torture e detenzione arbitraria per moltissimo tempo, oltre ad aver affrontato una traversata lunga, traumatica e sfiancante. Inoltre, nonostante Salvini abbia già deciso che si tratta di soli migranti illegali, sono quasi tutti eritrei e somali, nazionalità che in Italia garantisce il riconoscimento dell’asilo in una percentuale che va dall’80 al 90% dei casi, come ha fatto notare l’Alto commissario Onu per i rifugiati.
Effettivamente questi 177 migranti possono persino definirsi fortunati, poteva andargli peggio. Secondo i dati e le stime dell’UNCHR, solo nei primi sei mesi del 2018, sono state 1.137 le persone morte o disperse nel tentativo di raggiungere l’Europa. Un numero che sale a 15.544 tra il 2014 e il 2017, una media di dieci al giorno. L’anno scorso sono sbarcati circa 33mila bambini, di cui la maggior parte non accompagnati. Il 40,5% dei migranti sono donne o bambini; il restante 59,5% di uomini non si può certo dire che arrivi in ottima forma al solo scopo di rubarci donne e lavoro, come dimostrano i referti dei medici che forniscono prima accoglienza. Per quanto riguarda le ragioni della loro partenza, basta guardare i principali Paesi di provenienza: Siria (22,1%), Iraq (11,2%), Tunisia (7,6%), Eritrea (7,2%), Afghanistan (4,9%).
Secondo la retorica delle destre europee, tutte queste persone sono evidentemente parte di un’élite benestante che viene in Europa per capriccio, e quindi devono essere tenute fuori. Salvini continua a ripetere di prendere le sue decisioni “da ministro, da italiano e da papà”, ma non è chiaro come questi ruoli stiano influenzando le sue scelte. Da ministro, oltre ai voti dovuti alla continua propaganda, non sta ottenendo grandi risultati: il respingimento dell’Aquarius e la successiva traversata fino al porto spagnolo di Valencia ci è costato 200mila euro di fondi Ue per le migrazioni; dall’inizio del caso Diciotti, secondo i dati ufficiali del suo stesso ministero, sono sbarcati sulle coste italiane 277 migranti a bordo di piccole imbarcazioni; molti di più di quelli che sta tenendo in ostaggio da giorni nel porto siciliano. Da italiano, non sembra voler davvero fare gli interessi dei suoi concittadini, visto che si ostina a percorrere la strada delle alleanze alternative: ha dichiarato di essere pronto, nei prossimi giorni, a incontrare Viktor Orban, Primo ministro ungherese contrario a qualsiasi accordo sulla redistribuzione e la revisione dell’accordo di Dublino; ha stretto un buon rapporto con il vice cancelliere Strache – che già conosceva molto bene grazie al sodalizio comune con Vladimir Putin – e il Ministro degli interni Kickl, entrambi leader dell’estrema destra austriaca, a sostegno di un governo che dichiara di essere pronto a chiudere tutte le frontiere e che, in previsione, ha già preparato dai 500 ai 600 uomini e recinzioni mobili da istallare ai confini in caso di emergenza. Infine, da papà, è certo meglio lasciar giudicare a lui cosa vuole insegnare ai suoi figli. Ma c’è una fotografia, che ritrae un bambino rifugiato detenuto nel centro di smistamento di Nauru – l’isola in mezzo al Pacifico in cui gli australiani confinano i migranti che tentano di raggiungere le loro coste, in costante violazione dei diritti umani – mentre tiene in mano un cartello con scritto “Immagina che fossimo figli tuoi”. Ecco, forse, da padre di quel bambino, non sarebbe contento di vederlo privato della libertà e del diritto alla vita, e non prenderebbe la politica di respingimento australiana a modello per il suo stesso Paese.
All’inizio della seconda guerra mondiale, diverse imbarcazioni arrivavano in prossimità delle coste di Cuba cariche di ebrei in cerca di rifugio dalle persecuzioni naziste. Due di queste, la Orinoco e la Flandre, con a bordo rispettivamente 200 e 104 ebrei europei, vennero rifiutate dalle autorità dei Paesi circostanti e rispedite indietro, ad affrontare un destino che tutti conosciamo bene. Era il 1939, sono passati 80 anni. O forse nessuno. Se solo ci fosse il piccolo Pert a ricordarci di essere coerenti con noi stessi, forse qualche disastro si potrebbe evitare.