In Turchia, il 16 gennaio 2020, il partito conservatore Akp (Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo) del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha riproposto in Parlamento la legge sul matrimonio riparatore, che internazionalmente viene definita “marry-your-rapist”, ovvero “sposa il tuo stupratore”. Con questa proposta si vorrebbe ripulire la fedina penale di chi ha compiuto una violenza o un abuso su una donna, incluse bambine e ragazze che non hanno ancora raggiunto la maggiore età. Ciò ha naturalmente messo in allerta diversi gruppi che si occupano di diritti umani in Turchia e da parte dell’opposizione ci sono state grandi contestazioni: i rappresentati di Hdp (il Partito Democratico dei Popoli) affermano infatti che approvare questa proposta significherebbe non solo legittimare lo stupro di una minore, ma anche preparare il terreno a un aumento praticamente legalizzato di abusi e di sfruttamento sessuale di ragazze e bambine. Anche le Nazioni unite hanno avvertito Erdoğan del pericolo che l’approvazione di tale legge causerebbe, e cioè quello di creare un precedente per un orizzonte d’impunità rispetto agli abusi sulle minori, lasciando le vittime in un completo stato di vulnerabilità nei confronti dei loro carnefici anche dopo l’abuso.
La legge “sposa il tuo stupratore” è stata in vigore in Turchia fino al 2004. Poi, nel 2005, lo stesso Erdoğan – che aveva raddoppiato le condanne per i crimini di abuso di bambini – aveva eliminato la legge che in questi giorni vorrebbe reinserire per gli stessi motivi di strategia politica. Quella, infatti, era stata una delle mosse fatte dalla in visione di una possibile entrata in Europa della Turchia. Nel 2016, poi, la legge era stata di nuovo presentata in Parlamento, e se fosse entrata in vigore avrebbe potuto esonerare dal carcere almeno 3mila violentatori. Fortunatamente all’epoca non era passata a causa delle proteste di massa che aveva scatenato. Oggi, però, la proposta di questa legge è parte di una delle strategie politiche che il presidente Erdoğan sta intraprendendo al fine di cercare di recuperare i voti che ha perso soprattutto per via del tracollo finanziario in cui si trova il Paese. Secondo il quotidiano turco Hürriyet, oggi in Turchia sarebbero 4mila gli uomini incriminati per abuso di minore. Far sposare la vittima minorenne al suo stupratore vuol dire prima di tutto legalizzare tutti i bambini nati al di fuori del matrimonio a seguito di stupri: per quanto riguarda l’aborto, In Turchia è legale sino a dieci settimane dal concepimento, ma per chi è religioso e conservatore e aderisce quindi a una certa visione del mondo, un aborto non può cancellare la perdita dell’onore delle ragazze violentate e di tutta la loro famiglia agli occhi della società in cui queste vivono. Inoltre fare sposare da giovanissime le ragazze minorenni che hanno subìto una violenza assicura che queste abbiano molti anni di fertilità davanti a loro, e possano quindi dare alla luce un generoso numero di prole di almeno tre figli, come il presidente stesso incoraggia. Secondo Erdoğan, infatti, uno stato basato su matrimoni prolifici, e quindi un incremento demografico, sarebbe un modo per rendere la Turchia uno dei Paesi più forti a livello internazionale.
La legge “sposa il tuo stupratore” si basa sull’idea dell’onore della famiglia, che viene meno se una delle figlie che ne fanno parte ha subìto una violenza. Dunque, per ripulire l’immagine della famiglia, ancora una volta, come succede in tanti Paesi che accettano i matrimoni “riparatori”, si sacrificano i diritti e la libertà non solo delle donne, ma delle bambine. Le ripercussioni che la legge avrebbe se fosse approvata sarebbero enormi, dato che si sta sostanzialmente proponendo di legalizzare lo stupro. In un clima di totale umiliazione dei diritti delle donne, dove vengono considerate solo come “fattrici”, si pensa che anche i femminicidi aumenterebbero. E questi sono crimini che in Turchia già avvengono con un’incidenza molto alta, se si pensa che solo nel 2019 ne sono stati accreditati 474 mentre in Italia 95 (che sono comunque troppi). Infine, potrebbe anche crescere il numero delle donne autolesioniste e suicide, per via delle insopportabili situazioni di violenza domestica che si troverebbero a vivere, nate dall’essere sposate con l’uomo che le ha violentate.
Kate Dannies, nel suo articolo “Turkey’s Marry Your Rapist Bill is part of a disturbing global pattern” pubblicato sul Washington Post, scrive che la proposta di legge in Turchia deve essere vista in una prospettiva più estesa di un trend globale in cui governi, istituzioni e comunità di fatto non riescono a garantire (e non vogliono) la parità alle donne attraverso le leggi. Secondo le Nazioni unite, inoltre, ancora alla fine del 2019 la percentuale mondiale di femminicidi era in continua crescita, sebbene gli omicidi in generale fossero in calo. Come continua Dannies, l’esempio della Turchia è una conferma del fatto che globalmente esista una persistente ineguaglianza di diritti nei confronti delle donne, che è strettamente legata a una legislazione carente, che non si fa carico di garantire alle donne diritti di cittadinanza e di protezione. Nello specifico caso della legge “sposa il tuo stupratore”, questa è ancora in vigore in diversi Paesi al mondo, tra cui le Filippine, il Tajikistan, l’Iraq e la Siria, il Camerun, l’Angola, e la Guinea Equatoriale. Sono questi gli Stati dove la violenza sulle donne non viene considerata come un abuso sulla persona, ma su un determinato gruppo familiare, la donna viene considerata alla stregua di un bene e tutto ciò fa sì che la violenza non venga punita a livello penale ma risolta e normata a livello sociale, per mantenere l’equilibrio della comunità e dei clan. Inutile dire che in questi Paesi interrompere una gravidanza è pressoché impossibile. Laddove una tale legge persiste, le ragazze che subiscono una violenza spesso sentono la pressione delle famiglie che le vogliono sposate con i loro carnefici per evitare l’onta che l’atto provocherebbe sul loro nome.
Altri Paesi in questi ultimi anni hanno comunque deciso di eliminare questa legge dalla loro legislazione, non si sa se per motivi di alleanze o per un’effettiva svolta nella considerazione dei diritti delle donne, ma è comunque un passo avanti. Il primo Paese dell’area Mena a farlo è stato l’Egitto nel 1999, seguito dall’Etiopia nel 2004, e poi dal Marocco nel 2014, e poi ancora dalla Giordania e dal Libano. Per quanto riguarda l’Italia abbiamo poco da sentirci moralmente e legislativamente superiori dato che fino al 1981 nel Codice penale esisteva l’articolo 544 che recitava: “Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”. Questo articolo regolava a tutti gli effetti il cosiddetto “matrimonio riparatore”, e qui va ricordata la storia di Francia Viola, nata nel 1947 ad Alcamo, prima donna in Italia ad averlo rifiutato nel 1966: nonostante Viola abbia fatto coraggiosamente da apripista, si sono dovuti aspettare anche in Italia molti anni prima che la legislazione venisse cambiata. Fino al 1996 lo stupro rimase considerato come “delitto contro la moralità pubblica e il buon costume” e non contro la persona. E purtroppo, come oggi la Turchia ci ricorda, basta poco a regredire su quelli che dovrebbero essere capisaldi dei diritti umani.