Come il governo stava svendendo gli interessi italiani ai francesi nella trattativa Fca-Renault - THE VISION

Il 17 agosto 2018, dopo il crollo del ponte Morandi di Genova, costato la vita a 43 persone, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato che sarebbe stata revocata la concessione alla società Autostrade per l’Italia, responsabile di gestire quel tratto stradale. Anche il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli in quei giorni ha minacciato di multare la concessionaria per 150 milioni di euro, facendo poi marcia indietro nei giorni scorsi in attesa “dei pareri dei tecnici”. Ascoltando le dichiarazioni di quei momenti, si poteva avere l’impressione che l’esecutivo volesse mettere in discussione la concezione stessa di libero mercato, abbandonando il ruolo di garante dello Stato per tornare a intervenire in maniera diretta sull’economia italiana. A distanza di poco meno di un anno non è successo niente di tutto questo. Gli ultimi mesi del governo sono stati caratterizzati dall’immobilismo frutto della continua campagna elettorale che ci accompagna ormai dalla fine del 2017. A farne le spese sono stati anche i numerosi dossier che da tempo aspettano l’intervento dei ministri competenti. Solo al ministero dello Sviluppo Economico, presieduto da Luigi Di Maio, sono aperti circa 150 tavoli di crisi industriale, che riguardano 210 mila lavoratori. Di questi quasi 80mila sono dipendenti che lavorano al Sud, area del Paese già stremato dalla crisi economica degli ultimi dieci anni. 

Danilo Toninelli

Mentre il governo arranca nel tentativo di salvare il tessuto produttivo italiano, negli ultimi giorni si è molto parlato di una possibile fusione tra i gruppi automobilistici Fca e Renault. Le trattative hanno coinvolto anche i rappresentanti del governo francese, che attualmente controlla il 15% dell’azienda automobilistica. Il ministro dell’Economia di Emmanuel Macron Bruno Le Maire aveva chiesto garanzie specifiche per autorizzare l’operazione, tra cui un posto per il governo francese nel consiglio di amministrazione della nuova società, un extra dividendo sugli utili e Parigi come sede del quartier generale operativo del gruppo. L’esecutivo italiano non ha preso parte alle trattative usando come giustificazione l’inopportunità per lo Stato di intervenire nelle operazioni di mercato. Sono bastati pochi mesi per passare dalla volontà di nazionalizzare Autostrade per l’Italia all’atteggiamento liberista di questi giorni.

A quanto si apprende dagli sviluppi di oggi, l’operazione sarebbe saltata a causa dell’atteggiamento ostile del gruppo automobilistico Nissan, che ha spinto Fca a ritirare la proposta di fusione con Renault. Come il governo francese, anche la casa giapponese detiene il 15% delle quote azionarie di Renault, rendendo fondamentale il suo nullaosta per un accordo simile. Il fallimento della trattativa non sembra attribuibile alle richieste del governo Macron, ma Luigi di Maio ha colto comunque l’occasione per ribadire che “quando la politica cerca di intervenire in procedure economiche non sempre fa bene“. Il governo italiano non ha rinunciato alla possibilità di sferrare l’ennesimo attacco propagandistico alla Francia di Macron, confermando in più un atteggiamento sempre più liberista in campo economico. 

Luigi Di Maio nei giorni scorsi aveva espresso la sua posizione sulle trattative tra Fca e Renault con un post su Facebook, dove dichiarava che “Il mio auspicio è che possa creare più lavoro, portando più tecnologia e più crescita al nostro mercato dell’automotive”, per aggiungere che “diamo per scontato che si salvaguardino prima di tutto i lavoratori e che, piuttosto, attraverso il mantenimento e il potenziamento del piano di investimenti sugli stabilimenti italiani, questi aumentino nel prossimo futuro”. In pratica il ministro sembra dare per scontato che due gruppi multinazionali guidati dalla volontà di ottimizzare i propri profitti si sentano in obbligo di sostituirsi allo Stato nella protezione dei lavoratori.

A partire dalla crisi finanziaria del 2008, l’opinione pubblica ha imparato a conoscere i limiti e le ripercussioni negative del capitalismo globalizzato. In questo panorama lo Stato non può più limitarsi a svolgere il suo tradizionale compito di garante di un’economia senza regole dominata dalla legge della finanza e del profitto. L’Italia è chiamata a intervenire attivamente nelle operazioni transazionali per proteggere i propri asset strategici, tra cui rientrano sicuramente le tecnologie e l’occupazione. Non serve dichiarare di voler revocare le concessioni ad Autostrade per l’Italia per far colpo sull’opinione pubblica. È necessario sedersi ai tavoli di negoziazione per tutelare e proteggere il nostro lavoro e le nostre competenze, priorità poco presente nell’agenda dell’attuale governo.

La società Magneti Marelli, eccellenza tecnologica italiana, è stata recentemente venduta al gruppo giapponese Calsonic Kansei Corporation. L’operazione è stata dettata dalla necessità di fare cassa per il gruppo Fca, ma ha comportato la perdita di importanti tecnologie e brevetti. Il governo avrebbe dovuto seguire da vicino la vicenda ed emanare i decreti attuativi per poter trattenere la tecnologia in Italia attraverso l’esercizio del cosiddetto golden power, che consente al governo di esercitare il suo potere nei confronti di un socio privato al fine di tutelare le società che svolgono attività di rilevanza strategica. Luigi Di Maio ha giustificato la decisione di non farlo con la mancanza di decreti attuativi idonei a consentire l’esercizio del golden power. Gli stessi decreti attuativi che avrebbe dovuto emanare il ministero che presiede.  

Le scarse capacità di gestione delle crisi da parte del governo gialloverde sono emerse anche con il caso Mercatone Uno, catena italiana della grande distribuzione di mobili. L’azienda, sull’orlo del fallimento già dall’anno scorso, è stata ceduta ad una società tutt’altro che solida, la Shenron Holding S.r.l. Nonostante le promesse di rilancio, il ministero dello Sviluppo Economico avrebbe dovuto vigilare sugli impegni presi con l’acquirente e aveva tutti i mezzi per farlo, ad esempio attraverso un comitato di vigilanza del ministero. I controlli non sono mai stati disposti e a fine maggio i 1800 dipendenti dell’azienda hanno scoperto il fallimento del proprio datore di lavoro tramite i social network. Annamaria Furlan, segretario generale della Cisl, ha definito la chiusura di Mercatone Uno “un fatto grave ed inquietante”. “Non si può scaricare su migliaia di lavoratori e sulle loro famiglie una gestione aziendale a dir poco scandalosa”, ha aggiunto la sindacalista. 

Annamaria Furlan

Il governo di Macron, identificato dai nostri Salvini e Di Maio come servo delle élite liberiste, aveva posto delle condizioni precise per la realizzazione della fusione tra Renault e Fca. Il nostro esecutivo sovranista, che dichiara tutti i giorni di fare solo gli interessi del popolo italiano, si è invece limitato a osservare passivamente l’operazione. Non possiamo permetterci di subire i processi transnazionali, ma dovremmo dirigerli o almeno indirizzarli in anticipo. Di questo passo rischiamo di relegare l’Italia a giocare un ruolo ininfluente sullo scacchiere politico ed economico, ancora più vulnerabile agli interessi di potenze come Stati Uniti, Russia e Cina. 

La narrazione sovranista si scontra ancora una volta con la realtà dei fatti, con i francesi che cercano di tutelare i loro interessi nazionali in maniera più incisiva rispetto al nostro governo. Viviamo in un mondo interconnesso e non lo cambieremo di certo con gli slogan delle campagne elettorali. Tutelare gli interessi nazionali è ancora possibile, ma servono lavoro, perseveranza, umiltà e competenze, caratteristiche che da tempo mancano in una politica che ha perso la prospettiva di una programmazione industriale pluriennale. La cattiva gestione delle vertenze aziendali rischia di pregiudicare anche le realtà produttive già consolidate. L’industria italiana sta andando incontro a un futuro pieno di incognite anche a causa dell’inerzia di questo governo, esattamente come il resto del Paese. 

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