In Italia l’allarme sui “bambini transgender” è un fenomeno carsico. Se ne torna a parlare intensamente una volta all’anno, spesso a causa di articoli di giornale che creano un panico ingiustificato: se n’è parlato nel 2018, quando Panorama dedicò la copertina alla “Baby Trans Generation”, con un reportage molto criticato anche dagli stessi intervistati; poi nel 2019, quando l’Aifa inserì un farmaco per bloccare la pubertà tra i medicinali rimborsabili, raccontato da molte testate come “la pillola che fa cambiare sesso ai bambini”; poi nel 2021, quando D La Repubblica pubblicò la serie di articoli “Viaggio ai confini del gender”, in cui si parlava di una vera e propria “epidemia” di adolescenti transgender e di detransitioner, pentiti della transizione. Lo scorso anno è stata la volta della carriera alias, il profilo burocratico scolastico che permette agli studenti di avere documenti con il nome d’elezione anche senza la rettifica anagrafica.
Ora al centro della scena c’è nuovamente la triptorelina, un farmaco che viene utilizzato per bloccare la pubertà nei minori con disforia di genere. La Società psicoanalitica italiana (Spi) ha infatti inviato una lettera alla presidenza del Consiglio e al ministro della Salute Orazio Schillaci in cui “esprime grande preoccupazione” per quella che viene chiamata “sperimentazione in atto”. Alla lettera hanno immediatamente risposto la Società italiana di psichiatria e l’Ordine degli psicologi, che hanno invitato a evitare “approcci ideologici”; a loro si sono aggiunte altre sette società scientifiche – la Società italiana di endocrinologia, la Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica, la Società italiana di genere, identità e salute, la Società italiana di pediatria, la Società italiana di andrologia e medicina della sessualità e l’Osservatorio nazionale sull’identità di genere – che in una lettera congiunta hanno parlato di “sconcerto” per la posizione della Spi.
La triptorelina viene prescritta agli adulti per curare patologie come l’endometriosi o alcune forme di cancro, oppure ai bambini per fermare una pubertà precoce. In diversi Paesi, tra cui l’Italia, è stato consentito il suo utilizzo off label (cioè per scopi diversi da quelli autorizzati) per fermare lo sviluppo puberale in adolescenti che non si riconoscono nel genere assegnato alla nascita, concedendo loro più tempo per prendere una decisione sul proprio corpo prima dei cambiamenti dovuti all’età. Si tratta di una procedura reversibile e temporanea, anche se l’utilizzo dei bloccanti è al centro di molte polemiche. Chi è contrario sostiene non vi siano abbastanza studi scientifici in merito e che non si conoscano a fondo gli effetti a lungo termine. La discussione è stata alimentata anche da un lungo e complicato processo che ha interessato la clinica inglese Tavistock, denunciata da una donna che aveva assunto i bloccanti della pubertà e si era sottoposta a una mastectomia e che incolpò la clinica di non averla adeguatamente informata sulle possibili conseguenze di tali procedure. Anche se nel 2021 la Corte d’Appello dell’Alta corte di giustizia ha dato ragione alla Tavistock, il servizio sanitario inglese ne ha ordinato la chiusura. Essendo l’unico centro per minori transgender del Regno Unito, la clinica aveva grossi problemi organizzativi e lunghe liste d’attesa che, secondo gli ispettori, portavano troppo velocemente alla prescrizione dei bloccanti.
In Italia, la somministrazione della triptorelina per la disforia di genere è stata autorizzata nel 2018, quando il Comitato nazionale per la bioetica diede un parere positivo al quesito dell’Aifa. L’autorizzazione, e il successivo inserimento nella lista dei farmaci erogabili dal Ssn l’anno successivo, fu accompagnata da grande allarmismo, che negli anni è stato alimentato sia dalle vicende della Tavistock (seguite con attenzione dai giornali cattolici e di destra), sia dal panico mediatico sui bambini transgender che si è diffuso negli Stati Uniti e nel Regno Unito negli ultimi cinque anni. Il Washington Post ha calcolato che lo scorso anno negli Stati Uniti sono state proposte 155 leggi che in qualche modo limitano i diritti delle persone transgender; nel 2018 erano state soltanto 19. Molte di esse hanno a che fare con i minori, tra divieti di trattare temi LGBTQ+ a scuola e leggi che criminalizzano dottori e genitori per la somministrazione di terapie su bambini e adolescenti, inclusi i bloccanti della pubertà. Nel Regno Unito da anni è in corso una battaglia sull’aggiornamento della legge sulla rettifica dei documenti, che non si vorrebbe più far dipendere dalla diagnosi medica. Una legge simile è stata appena approvata dal parlamento scozzese dopo cinque anni di dibattiti ma, con una mossa che potrebbe aprire una crisi diplomatica senza precedenti, il governo britannico l’ha bloccata. In teoria, il governo ha il potere di bloccare una legge del parlamento scozzese solo in casi di eccezionale gravità che attentano alla sicurezza nazionale o alla stabilità del Paese. Contestualmente alla chiusura della Tavistock, il servizio sanitario inglese ha anche modificato le linee guida per il trattamento della disforia di genere nei minori transgender, prendendo le distanze dal cosiddetto “approccio affermativo” (che include la transizione sociale, ovvero cambiare il nome, i pronomi e l’aspetto esteriore senza interventi medici, nonché i bloccanti della pubertà) e prediligendo la psicoterapia. Nel frattempo, gli adolescenti che erano ancora in lista d’attesa per la Tavistock non hanno mai ricevuto, e non sanno se mai riceveranno, alcun tipo di terapia medica né psicologica.
La discussione sui bloccanti della pubertà spesso va oltre la letteratura scientifica, arroccandosi su prese di posizione ideologiche che finiscono con l’ignorare le esigenze dei minori in questione. Se è vero che al momento non esistono studi sugli effetti a lungo termine dei bloccanti, trattandosi di un intervento di recente introduzione, ciò non significa che si può fare cherry picking e ignorare sistematicamente gli studi che ne suggeriscono l’efficacia, ad esempio quelli sulla riduzione del rischio suicidario e della depressione. La lettera della Società psicoanalitica italiana da un lato invita alla cautela, ma dall’altro utilizza un termine che non è affatto neutro quando parla di queste terapie come di una “sperimentazione” ai danni dei bambini, che verrebbe condotta “elude[ndo] un’attenta valutazione scientifica accompagnata da un’approfondita riflessione sullo sviluppo psichico [che] suscita forti perplessità”. Come hanno risposto le diverse società scientifiche nella lettera congiunta, non si può parlare di sperimentazione per un farmaco autorizzato dall’Aifa. La lettera inoltre sottolinea alcune informazioni inadeguate riportate nel documento della Spi, tra cui spicca una definizione errata di “disforia di genere”. “Il compito dei professionisti”, conclude la lettera “è proprio quello di diffondere una cultura legata alle tematiche di salute transgender basata sulle evidenze scientifiche e non sull’ideologia”.
In questo momento politico particolarmente delicato, la lettera della Spi rischia di trovare terreno fertile. Il governo ha già incontrato gli esponenti dei movimenti anti-gender che stanno battagliando contro la carriera alias e la ministra della Famiglia Eugenia Roccella, vicina agli ambienti del femminismo gender critical, è da sempre molto attenta al tema dei detransitioner. Nel 2020, su L’Occidentale scrisse un articolo sul caso Tavistock in cui parlava di “manipolazione dei corpi dei minori” e di recente è tornata a parlarne sul suo profilo Facebook invitando a “lasciare in pace i minori”. I media sono già riusciti a creare la narrazione secondo cui c’è un “boom di cambio di sesso”, lasciando intendere che intraprendere la transizione sia la nuova moda tra gli adolescenti. Tuttavia si tratta di una narrazione irresponsabile e allarmistica, innanzitutto perché non fa alcuna distinzione tra blocco della pubertà, transizione sociale e transizione medica, ma anche perché polarizza il dibattito su questioni che riguardano in primis il benessere della popolazione transgender e poi gli specialisti. Già questa narrazione mediatica è difficile da contrastare, ma se a essa si dovesse aggiungere il supporto del governo, anche in Italia presto potremmo trovarci immersi in un dibattito polarizzato dalla propaganda politica e paradossale, in cui, in nome della protezione dei minori, si lascerà che bambini e adolescenti continuino a soffrire.