Ciclicamente, qualche commentatore – che sia un giornalista o un utente a caso su Facebook – si affaccia dal suo antro per ricordarci che destra e sinistra non esistono più, o che – in fondo – ormai sono la stessa cosa. Sì, il centrosinistra italiano è allo sbando e c’è un vuoto di rappresentanza – più una voragine, direi. Se però la sinistra latita, è anche vero che la destra fa la destra su alcuni temi che rimarcano la distinzione ideologica tra i due poli. In Italia, come nel resto del mondo, la destra tende ad aggrapparsi alla muscolarità dello Stato trasformando le forze dell’ordine nelle proprie milizie per contrastare il dissenso, mettere a tacere le proteste o, in alcuni casi estremi, creare una vera e propria repressione. Se noi Italiani pensavamo di aver toccato il fondo con la Repubblica delle banane, il governo più di destra dal secondo dopoguerra è riuscito a istituire la Repubblica dei manganelli.
No, questo articolo non sarà il festival dell’ACAB o una sassaiola contro le forze dell’ordine. Essendo però dei corpi legati agli esecutivi in carica, in particolar modo al ministero dell’Interno, ogni azione segue le direttive dei piani alti e ci fa capire il modus operandi delle forze politiche al potere. Fratelli d’Italia e Lega hanno da sempre imbastito la loro propaganda sul pugno duro. Matteo Salvini, per esempio, sia dall’opposizione che dagli scranni del governo, si è battuto per la militarizzazione delle nostre città, per l’utilizzo di nuovi dispositivi come il taser e per quelle politiche molto Texas-friendly che spingono a usare sicuramente più il bastone della carota. Non contento, lui stesso si è più volte vestito da carabiniere o da poliziotto, comportamento tra l’altro astrattamente punibile, ai sensi dell’attuale testo dell’articolo 498 del Codice Penale, con sanzione amministrativa. Farsi fotografare con la divisa delle forze dell’ordine è, nel suo ordine di idee, un modo per infondere sicurezza al cittadino. E d’altronde gli elettori di destra dimostrano di gradire questo atto di forza da sceriffo all’italiana. Hanno un po’ meno simpatia per la Guardia di Finanza, ma la destra ha pensato anche a questo con promesse di continui condoni.
Se il rapporto di Salvini con la Polizia è quasi macchiettistico – come quando fece in modo che il figlio facesse un giro sulle moto d’acqua dei poliziotti; quello del governo attuale ha tratti più legati all’autoritarismo. Un esecutivo che si instaura e come prima mossa decide di contrastare la temutissima deriva dei rave, fino quasi a scomodare mezzo esercito, lascia intendere che il prosieguo della legislatura possa assumere i contorni dello Stato di Polizia. E così, effettivamente, è stato. Da quando Giorgia Meloni è al potere si contano più manganellate in piazza che riforme. E spesso a farne le spese non sono certo dei facinorosi con il passamontagna e le mazze chiodate, ma donne e uomini di ogni età capitati nella manifestazione “sbagliata”. A quanto pare, però, con questo governo quasi tutte lo sono. Che sia una protesta degli studenti contro il ministro Valditara o un corteo a sostegno del popolo palestinese, l’ordine sembra essere sempre lo stesso: mazzate alla cieca. Nei giorni scorsi è successo a Bologna e a Napoli in occasione di manifestazioni pacifiche sotto le sedi della Rai, in seguito al comunicato letto da Mara Venier in cui l’azienda solidarizza con lo Stato di Israele. I video parlano chiaro: nessuna carica violenta dei manifestanti, al primo avvicinamento sono partiti i manganelli. Risultato: sangue e teste aperte.
Se persino la frase “Viva l’Italia antifascista” urlata alla prima della Scala ha fatto scomodare la Digos, viene da chiedersi quale sia lo stato della nostra libertà democratica. Anche perché il doppio standard è sempre dietro l’angolo: ordine e disciplina con liceali e universitari, lasciapassare con centinaia di neofascisti radunati tra saluti romani e croci celtiche. Con quel sentore di premierato alle porte, sembra che sia stata sdoganata anche la mancanza di rispetto verso il Presidente della Repubblica. Manifestazione Pro Palestina a Milano, la novantaquattrenne Franca Caffa si lamenta per il trattamento dei carabinieri e invoca le parole di Mattarella sulla pace a Gaza. Un carabiniere le risponde: “Con tutto il rispetto signora, non è il mio presidente”. Attonita, la signora gli chiede: “Mi scusi, ma allora lei di che Paese è?”. La risposta sembra il manifesto dello stravolgimento costituzionale voluto da Meloni per depotenziare il Quirinale: “Non l’ho votato, non l’ho scelto io, non lo riconosco”.
A Milano, ieri, sotto la targa dedicata alla giornalista russa Anna Politkovskaya, alcune persone hanno deposto dei fiori alla memoria di Alexei Navalny, oppositore di Putin a cui è toccata una sorte simile a quella di Politkovskaya, sebbene gli accertamenti siano ancora in corso. I presenti, una dozzina di uomini e donne, sono stati tutti identificati dagli agenti della Digos, giunti sul posto, nonostante non stessero nemmeno manifestando. Il ministro Piantedosi, che fa riferimento a un partito, la Lega, che ha siglato e rinnovato un accordo con Russia Unita di Putin, ha commentato: “Le identificazioni non comprimono le libertà”. Val la pena segnalare, allora, che in uno Stato di Diritto un intervento del genere viene percepito, al contrario di quello che sostiene il ministro, come repressivo se non intimidatorio. Ogni cittadino dovrebbe avere la serena certezza di essere libero di deporre una corona di fiori senza essere tracciato dalla polizia e dallo Stato, costretto a mostrare i propri documenti. Anche qui, il sospetto è che un Viminale vicino al principale partito russo – e non è un’illazione, ci sono i documenti a darne conto – abbia poco gradito l’omaggio a un dissidente russo appena fatto fuori in circostanze poco chiare.
La visione della destra diventa ancor più esplicita quando i soprusi arrivano dall’estero. Abbiamo tutti in mente le immagini di Ilaria Salis a Budapest legata a mani e piedi e tirata come un cane in tribunale. Viktor Orbán però è un fedele alleato di Meloni e Salvini, e invece di proteggere una nostra cittadina il governo ha deciso di giustificare i metodi ungheresi. La nostra premier ha minimizzato: “Non è nostro costume, sono certo immagini che impattano ma in altri Stati sovrani funziona così”. Salvini è arrivato addirittura al bullismo di Stato, definendo “assurdo” il fatto che Salis sia un’insegnante e accusandola di aver assaltato un gazebo della Lega nel 2017, vicenda per cui è stata assolta. Meloni e Salvini sono gli stessi politici che per anni hanno portato avanti battaglie per la salvaguardia dei due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di aver ucciso due pescatori in India. A prescindere dall’entità dei due fatti, appare evidente come questi ultimi siano stati difesi in quanto fucilieri della marina mentre Salis stia subendo la macchina del fango in quanto attivista antifascista.
Anche quando si parla di fascismo, spesso si fa confusione con un termine che non è esclusivamente associato al partito di Mussolini, ma all’uso spropositato della forza bruta, del potere che schiaccia i dissidenti. Negli Stati Uniti, dove Mussolini l’hanno visto solo in cartolina o nei vecchi filmati dell’Istituto Luce, si usa il termine “fascismo” proprio quando la polizia discrimina, picchia o addirittura uccide dei cittadini – in prevalenza afroamericani. Di conseguenza, se il nostro governo viene accusato di usare metodi “fascisti” non è per il timore che “Faccetta nera” possa risuonare in tutte le scuole, ma perché nell’accezione moderna ci si riferisce a comportamenti di vessazione che vedono le forze dell’ordine usate come teste d’ariete contro ogni forma di protesta.
Le forze dell’ordine, infatti, agiscono per ordine del governo di turno, non sono dei fanatici a briglia sciolta che si svegliano e decidono di manganellare dei ragazzi a caso. E se la tendenza di questi mesi sembra delineata – bloccare sul nascere le proteste, anche quelle pacifiche, più con le cattive che con le buone – è perché le direttive dell’esecutivo in carica vanno in questo senso. I tristemente noti fatti del G8 a Genova del 2001 sono anche il frutto dell’incapacità del governo Berlusconi e dell’allora ministro dell’Interno Claudio Scajola di gestire l’evento internazionale e, contemporaneamente, contenere le iniziative dei manifestanti senza ricorrere alla peggiore forza repressiva. E se all’epoca le proteste soffocate con inaudita violenza erano più compatte e articolate, adesso il diritto di manifestare viene compromesso in qualunque situazione in cui lo stesso rappresenti un’opposizione alle scelte di governo, e si interviene, così, indistintamente.
È una caratteristica genetica della destra: più militari, più armi, più violenza anche per placare una non-violenza. Come la Storia ci insegna, nessuno Stato di Polizia ha fortificato la democrazia di un Paese. Se l’intento della destra è quello di seguire questa direzione, il pericolo è che la nostra indignazione venga sedata sul nascere. In piazza, con un colpo di manganello ben assestato in testa. Fascismo, appunto, e l’Italia non può permettersi questa deriva, perché l’ha già vissuta sulla sua pelle in passato, con conseguenze devastanti. Inoltre, l’auspicio è quello di non diventare come le “altre nazioni sovrane” citate da Meloni, dove “funziona così” e la violenza è diventata “un costume”. Non siamo ancora l’Ungheria, ma con questo governo rischiamo di diventare una succursale di Budapest o una sua imitazione in scala più larga.