È giusto che lo Stato si arricchisca con il gioco d’azzardo e la lotteria? 

Gli italiani spendono oltre 100 miliardi di euro all’anno tra slot machine, schedine, bingo e giochi online e sono tra i primi al mondo come perdite pro capite dovute al gioco d’azzardo.  Nel nostro Paese si stampa circa un quinto dei biglietti di tutto il Pianeta da quando nel 2015 sono state istituite 20 nuove lotterie istantanee, completando un’offerta di circa 60 tipi di schedine. Sul totale dei giocatori, secondo l’Istituto Superiore della Sanità, oggi sono due milioni quelli da considerare a basso rischio ludopatia, un milione e 400mila a rischio moderato e un milione e mezzo problematici. Di questi, solo 12mila sono in cura presso specialisti, mentre il volume delle puntate continua a crescere anno dopo anno. Numeri allarmanti dei quali lo Stato è insieme vittima e complice.

Da una parte, infatti, finanzia campagne contro la ludopatia e aumenta le tasse – la strategia più usata per disincentivare il gioco –, già tra le più alte a livello europeo (il doppio di Francia e Regno Unito e quasi quattro volte Spagna e Germania) secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio. Nonostante i disincentivi, il governo italiano è quello che guadagna di più a livello europeo grazie al gioco d’azzardo. Da un lato si trova a gestire l’emergenza dell’aumento dei giocatori patologici e cerca di arginarlo con un fondo per la cura delle ludopatie (per il quale l’anno scorso sono stati sbloccati 100 milioni da usare per 2018 e 2019) e con il divieto per la tv generalista di pubblicizzare il gioco d’azzardo il qualsiasi forma. Dall’altro, la diffusione della ludopatia è legata, secondo il presidente della Consulta Nazionale Antiusura Maurizio Fiasco, al cambiamento delle modalità di vincita: se fino a 25 anni fa le opzioni erano frustrazione (la perdita) o gratificazione (la vittoria), “Adesso tutti i giocatori passano attraverso un’esperienza di gratificazione, perché fanno vincere qualcosa a tutti”. Questo meccanismo alimenta il desiderio di continuare a puntare, perché il giocatore patologico si libera momentaneamente dei propri problemi e le vincite – casuali e, sopra i 500 euro, sempre più rare – stimolano l’eccitazione che egli insegue. Dopo il breve periodo di euforia restano però i suoi problemi, aggravati dai danni economici e sociali subiti a causa della condizione di dipendenza.

In Italia il gioco d’azzardo è stato progressivamente regolamentato con l’introduzione di Superenalotto, sale bingo e scommesse, per poi diventare monopolio statale per contrastare il gioco illegale: è lo Stato a scegliere i biglietti da stampare, i giochi da proporre e l’ammontare dei premi e a guadagnare una quota su ogni puntata. Questo protegge dalle speculazioni, ma non sempre è accompagnato da adeguati controlli sul gioco illegale, che negli ultimi anni registra un costante aumento, sia nell’entità delle puntate che negli introiti per la criminalità organizzata. Inoltre, le schedine stanno diventando per i governi una fonte sempre più importante di entrate per sostenere la spesa pubblica: per esempio, nel 2016 le vincite sono state di circa 77 miliardi di euro, con un payout (l’effettivo guadagno per i vincitori) dell’80%, mentre il restante 20% (circa 19 miliardi) è stato spartito tra entrate erariali e fatturato degli esercenti. Complessivamente, per lo Stato il ricavo è stato di 10 miliardi di euro.

Questa facile fonte di guadagno dimentica del tutto la situazione in cui si trova il giocatore. Per lui la schedina o il gratta e vinci fortunati sono un’illusione: nei fatti due premi su tre coprono appena il costo del biglietto, concedendo una piccola gratificazione al giocatore che è così indotto a puntare ancora. Le possibilità di ottenere il premio massimo, invece, sono una su 5 milioni e 280 mila (lo 0,000013%) per “Nuovo Miliardario” e una su 2 milioni e 880 mila, (0,000035%) per “Turista per sempre”. Dal 2012 la legge obbliga i concessionari a riportare sui biglietti le reali probabilità di vincita, ma questa viene facilmente aggirata: se l’entità dei dati da riportare non può essere contenuta nelle dimensioni della schedina, questa può limitarsi a indicare la possibilità per il giocatore di consultare le note informative online. Di fatto, sui tagliandini delle lotterie istantanee si trovano al massimo informazioni parziali sulle possibilità di vincita, che per lo più accorpano diversi tipi di premio e risultano così più alte della realtà.

Il gioco, intanto, si diffonde in modo esponenziale per effetto dell’espansione di giochi online ed estrazioni durante eventi live. Dall’anno scorso cresce anche il prelievo erariale dello 0,50% su slot di tipo Awp (quelle che normalmente si trovano in bar e tabaccherie) e Vlt (le videolottery più “avanzate” delle sale slot, dove si fanno giocate più alte) che, stando alle stime, nel corso del 2019 ha fruttato all’Erario quasi 240 milioni di euro in più. Anche per le schedine sono diverse le strade con cui il premio finale cala rispetto alle cifre promesse. Innanzitutto, la “tassa sulla fortuna” decurta tutti i premi significativi, a prescindere dall’importo del biglietto: portata dal 6 al 12% (all’8%, invece, per il Lotto) nel 2017, dal 2020 arriverà al 20% sulle vincite superiori a 500 euro per le schedine e al 20% sulle vincite superiori a 200 euro per le Vlt. 

Infine, il payout finale già con il maxiemendamento alla manovra finanziaria 2019 approvato a gennaio era stato portato per le slot machine Awp dal 70% al 68% e ora farà i conti con aumenti graduali della tassazione nel 2020 e 2021 che lo porteranno al 65%. Per le Vlt, invece, la riduzione del payout minimo scenderà ulteriormente dall’84% all’83% con l’entrata in vigore della nuova Legge di Bilancio 2020.

Oltre alle tasse – che non necessariamente fungeranno da deterrente, ma sicuramente impoveriranno i giocatori – le ultime iniziative per disincentivare la ludopatia riguardano le norme contenute nel Decreto dignità sotto forma di divieti di pubblicità a giochi e scommesse, con sanzioni del 5% del valore del contratto di sponsorizzazione e da 100mila a 500mila euro in caso di violazione del divieto durante spettacoli dedicati ai minori. Peccato che questo non valga per le lotterie con estrazione in differita e che le linee guida dell’Agcom abbiano sottolineato diversi casi di deroga a quei divieti, per esempio per i contratti già stipulati. Inoltre non vengono considerate pubblicità le informazioni fornite riguardo a quote, jackpot, probabilità di vincita, puntate minime ed eventuali bonus. I provvedimenti per disincentivare il gioco, quindi, non sembrano destinati a essere incisivi, se si considera anche che le società di scommesse possono essere indicizzate gratuitamente sui motori di ricerca. Rimangono altri dubbi sull’efficacia del decreto, per esempio su chi sia responsabile nel far rispettare i divieti, su alcune sovrapposizioni con le norme preesistenti e sulla difficoltà di stabilire chi ha infranto la normativa. Gli aumenti delle tasse non solo non sono una vera iniziativa anti-azzardo, ma oltre a non fare nulla per la dipendenza dei giocatori riescono anche ad aumentare quella delle finanze pubbliche, che con le ultime normative si aspettano guadagni aggiuntivi per circa 300 milioni di euro.

La dismissione delle slot Awp di vecchia generazione, da sostituire con le nuove Awp-R in grado di favorire verifiche come l’età del giocatore, è stata rimandata di un anno, come già accaduto a fine 2018. Sono congelate anche misure come l’introduzione di alcune blande misure di controllo (come la verifica dell’età tramite tessera sanitaria) e di dissuasione (l’introduzione, presso i terminali, di alert sul rischio di ludopatia) e l’intensificazione dei controlli sulle slot illegali. Commentando la proroga alle concessioni, un anno fa Maurizio Fiasco ha detto: che si tratta di “Un colpo d’ascia assestato al tentativo di edificare un sistema di regole che rispetti la salute pubblica e l’integrità delle persone. Penso che non si siano resi conto della gravità dell’atto”.

Resta da chiedersi se allo Stato convenga davvero mantenere vivo il gioco d’azzardo. Le previsioni del 2018 erano di raccogliere complessivamente 23,6 miliardi di euro nel corso del 2019. Con l’approvazione e l’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2020, le entrate statali dovrebbero crescere di altri 300 milioni. Non bisogna cedere all’illusione che l’intera cifra significhi un guadagno per lo Stato. Innanzitutto ci sono i costi sociali delle cure mediche per le ludopatie e la diminuzione della capacità lavorativa di chi sviluppa una dipendenza, spesso aggravata da debiti e ricatti degli usurai. I ludopatici diventano le vittime più evidenti di un circolo vizioso dove lo Stato si trova a usare proprio parte dei ricavi del gioco d’azzardo per arginare una patologia sempre più diffusa, ma ancora sottovalutata, come dimostrano le poche persone in cura. A fronte di 23 miliardi di entrate, le amministrazioni si trovano a spenderne anche 5 o 6 miliardi di euro l’anno per fronteggiare i costi sociali di questa emergenza. Una cifra che sarebbe molto più alta se si decidesse di fornire assistenza alle oltre quattro milioni di persone a rischio in Italia. Questo, e non i guadagni del gioco d’azzardo, dovrebbe essere il primo bilancio a preoccupare i governi italiani.

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