“Io sto con chi si difende. La mia solidarietà al commerciante toscano, derubato 38 volte in pochi mesi: conti su di noi!”. È con queste parole che il ministro dell’Interno Matteo Salvini è intervenuto sulla vicenda dell’imprenditore aretino Fredy Pacini che ha sparato e ucciso un ladro entrato di notte nel suo negozio, dove dormiva per poterlo presidiare anche la notte. Salvini ha poi rincarato la dose twittando: “Prossimo obiettivo NUOVA legge sulla legittima difesa”.
Il gommista che “ha dovuto” uccidere il ladro (il trentottesimo, a suo dire) è ora indagato per eccesso di legittima difesa. In un’intervista a La Nazione, l’imprenditore si era sfogato denunciando 38 furti, per un totale di 40mila euro sottratti. Esasperato per le svariate aggressioni subìte negli anni, dopo l’incidente ha dichiarato di non aver sparato per uccidere ma solo per paura e d’istinto, mirando alle gambe del ladro e colpendolo all’arteria femorale.
La notizia delle 38 incursioni è stata smentita nel corso della giornata di ieri – e c’era onestamente da sperare che ci fosse dell’esagerazione – ma la sostanza non cambia: anche senza bisogno di decine di furti pregressi, questo fatto tragico pone effettivamente un problema di legittima difesa, e fa sorgere una domanda: se un piccolo imprenditore di gomme d’auto e biciclette è arrivato al punto di dormire in una rimessa di pneumatici per paura di subìre dei furti, com’è possibile che in quel paese, o nel paese più vicino, nessuna stazione dei Carabinieri o commissariato di Polizia abbia attivato un meccanismo di sorveglianza? Com’è possibile che nessuna istituzione sia riuscita a far sentire protetta questa persona? Non si tratta di un problema di giustizia, come pure è stato scritto, ma semplicemente di prevenzione ordinaria da parte delle forze dell’ordine.
A partire da questa vicenda è facile prevedere che si aprirà di nuovo il dibattito sulle armi da fuoco e sulla difesa del cittadino, e che qualcuno farà l’elogio di chi si fa giustizia da sé e del popolo che lo assolve. La verità è che quando le persone si sentono legittimate a usare un’arma per difendersi, vuol dire che il sistema non funziona. Non si può pensare di appaltare la sicurezza ai privati facendola diventare una questione di giustizia “fai da te”: ci deve pensare lo Stato, e deve farlo senza trasformarsi in uno Stato di Polizia.
Rischia invece di far presa sull’opinione pubblica un messaggio pericoloso: difenditi da solo se lo Stato non ti difende, sei legittimato a sparare, anche al costo di rovinare due vite, quella di chi ti è di fronte, e la tua. In cambio riceverai una telefonata dal ministro dell’Interno che solidarizza con te e dice di essere dalla tua parte. Peccato che sia proprio lui il volto istituzionale di chi avrebbe dovuto difenderti e impedire l’accaduto si verificasse.
Matteo Salvini è stato il primo a usare strumentalmente questa vicenda, da un lato per scaricare le responsabilità dello Stato, e dall’altro per portare l’attenzione sulla legge che vorrebbe in aula a gennaio e in vigore entro la primavera 2019, quella sulla legittima difesa. Mercoledì prossimo, il testo approvato in Senato il 24 ottobre scorso approderà in Commissione giustizia alla Camera. Al centro del dibattito – che si annuncia infiammato fra Lega e M5S, che vorrebbe invece ammorbidire il testo – c’è l’articolo 52 del codice penale, quello che regola la legittima difesa: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. La difesa dunque, secondo la normativa vigente, deve essere proporzionata all’offesa, altrimenti si rientra nell’ipotesi di eccesso di legittima difesa (art. 55).
Col nuovo disegno di legge si introdurrebbe invece una nuova norma per cui la difesa è sempre proporzionata all’offesa e dunque non c’è punibilità, proprio perché, chi respinge un’intrusione o agisce per la salvaguardia della propria incolumità o di quella altrui, sarà sempre ritenuto in stato di legittima difesa, quindi non punibile.
Salvini sostiene che con l’approvazione della legge chi spara non finirà neppure sotto indagine: “L’eccesso colposo di legittima difesa è il reato che andremo a cancellare”, ha detto ieri il ministro dell’Interno. Sull’episodio specifico, le circostanze del caso Pacini fanno in realtà tutte ipotizzare una legittima difesa anche con l’attuale legge in vigore, ma il dibattito politico e la propaganda infuriano a suon di slogan, anche se i processi per eccesso colposo di legittima difesa dal 2013 al 2016 sono stati solo cinque.
Il nuovo disegno di legge accentua la non colpevolezza di chi spara e quindi l’eventuale richiesta di archiviazione, ma chi apre il fuoco per difendersi rimarrebbe comunque indagato anche con la riforma. Quando muore una persona, nessuna legge può escludere l’accertamento giudiziario e quindi la possibilità di procedere alle indagini. In ogni caso, il testo sulla legittima difesa non potrà dare le risposte adeguate a vicende eccezionali come questa, né a tutti quei cittadini che hanno paura e chiedono di essere tutelati; il vero problema è l’assenza dello Stato.
Quello dell’imprenditore di Monte San Savino non è il primo caso in cui qualcuno ha impugnato una pistola e ha sparato, esasperato da rapine o tentate rapine ai danni della propria azienda. Il tabaccaio Franco Birolo nel Padovano, il benzinaio Graziano Stacchio nel Vicentino, il titolare di un’osteria Mario Cattaneo nel Lodigiano sono stati coinvolti in vicende molto simili rispettivamente nel 2012, nel 2015 e nel 2017. Per difendere la loro proprietà hanno sparato a quelli che tentavano di rapinarli, uccidendoli e ritrovandosi a dover pagare decine di migliaia di spese legali, sia che siano finiti a processo sia che siano rimasti soltanto nel registro degli indagati. Oggi, le persone hanno paura, è un fatto. Gli imprenditori denunciano uno stato di esasperazione per i continui furti o le tentate rapine; su Facebook è nata spontaneamente una pagina che raccoglie migliaia di iscritti in sostegno di Pacini: “Io sto con Fredy” è l’hashtag del momento e sono tanti i messaggi di solidarietà nei confronti del gommista. Eppure, nel 2017 i reati sono diminuiti del 10,2% rispetto all’anno precedente, mentre rapine e furti sono scesi rispettivamente del 37,6% e del 13,9%.
In questo clima di esasperazione e senso di abbandono da parte delle istituzioni, si fanno sempre più spazio una cultura e una visione del mondo per cui il derubato si può fare giustizia da sé, e il popolo diventa giudice, che assolve o condanna in base alle circostanze. In uno Stato civile non può funzionare così. E la vicenda di Fredy Pacini lo dimostra: il primo a soffrire dell’azione compiuta è – e resterà in futuro – proprio questo piccolo imprenditore. Più che spendersi in messaggi di solidarietà, Salvini dovrebbe ricordarsi il ruolo della carica che ricopre: sono le forze di Polizia che avrebbero dovuto tutelare l’imprenditore. Per prima cosa Salvini avrebbe dovuto chiedere a qualche suo collaboratore di chiamare il Questore di riferimento e accertare se dal commissariato di zona fosse stato svolto il lavoro di competenza per risalire a eventuali responsabilità e per capire perché, dopo tante denunce, nessuno fosse ancora riuscito a prendere i ladri. Salvini dovrebbe spiegare perché quel gommista è stato costretto ad accamparsi nel suo esercizio per difendere i suoi beni da una serie interminabile di furti. È lui a dover rispondere di come sia possibile che nessuno si sia mai accorto di nulla. Dimenticandosi delle funzioni del suo Ministero, dichiara invece, a reti unificate: “Una persona che si rende conto di aver tolto la vita a qualcuno è una persona che non vive bene. Ma ti pare normale che un padre di famiglia con le moglie e le figlie dorma in un capannone, dorma in negozio, dorma in ufficio? Quindi l’obiettivo è ridurre le rapine, però se li becchi li metti dentro. Oggi c’è il far west. Se quest’uomo alle 4 della mattina si vede entrare due tizi che sfondano le vetrate col passamontagna e il piccone e che vanno verso di lui, lei cosa fa? E quindi lo devo pure processare? Con tutto il dramma che ha avuto e che avrà?”
Salvini da una parte avalla e alimenta il concetto sbagliato che la giustizia possa processare a priori le persone – innocenti fino a prova contraria – e dall’altro crea confusione, perché in presenza di un morto nessuna legge può escludere l’accertamento giudiziario dei fatti accaduti. Perdipiù, le forze dell’ordine non sono riuscite a “beccare” nessuno da “mettere dentro”, almeno per quanto riguarda la vicenda Pacini. Infine, Salvini parla di Far-west e delega ai cittadini la sicurezza che lo Stato stesso dovrebbe garantire, facendone unicamente una questione di legittima difesa. Ma il vero Far-west è quello in cui bisogna farsi giustizia da soli e assolvere ai compiti che lo Stato rinuncia ad assolvere.
Qualsiasi nuova misura sul diritto alla difesa non può sostituire un’azione delle forze di polizia: uno Stato che promuove una sorta di giustizia privata ha perso in partenza; uno Stato che abdica a un suo dovere dicendo “Io non riesco, fatelo voi’, mentre per Legge, per Costituzione, per patto sociale, deve assumersi l’onere e l’onore di difendere i propri cittadini, cessa di essere Stato proprio in virtù del fatto che acconsente ad azioni contrarie all’essenza stessa dello Stato di diritto. La difesa di quest’ultimo si attua soltanto rivendicando i propri compiti, che competono allo Stato e non possono essere delegati a nessun altro. Tantomeno ai cittadini. Quello sì che sarebbe il Far-west.