Se dovessimo riassumere il 2017 e questa prima metà del 2018 in un tema di ansia collettiva, sono due le parole che verrebbero immediatamente in mente: George e Soros.
Incubo dell’estrema destra occidentale, accusato di finanziare l’instabilità politica ed economica di svariati Paesi, o di aver ideato un elaborato piano per dominare un mondo in cui un bambino ha “sei papà, tre mamme, diciotto bisnonni e sei cugini” e “cambia sesso in base a come si alza la mattina”, negli ultimi anni George Soros (al secolo György Schwartz), miliardario di origini ungheresi, è diventato per molti la personificazione del male assoluto. Un uomo che, sempre secondo Matteo Salvini, “da anni spende milioni per fare in modo che l’Italia diventi METICCIA.” Motivo ricalcato da Viktor Orbán in tutta la sua campagna elettorale, che l’ha definito “uno speculatore finanziario che attacca l’Ungheria”. L’ultima vittoria elettorale di Orbán, lo scorso 8 aprile, ha fatto esultare le destre di mezzo mondo, e, coerentemente all’affiatata partnership che lo lega al demagogo ungherese, il leader del Carroccio ha festeggiato la notizia del trionfo, twittando: “L’Ungheria ha votato con il cuore e con la testa, ignorando le minacce di Bruxelles e i miliardi di Soros.”
La figura di Soros, per tutto ciò che rappresenta – è progressista, internazionalista, il 29° uomo più ricco al mondo e, dettaglio non ancora irrilevante, ebreo (da pronunciare così) – ha fornito il capro espiatorio perfetto, da immolare di fronte a una platea di elettori di estrema destra e a cui imputare ogni responsabilità degli attuali mali politici, sociali ed economici. Il magnate ha iniziato a essere sottoposto a pubblico scrutinio dopo le operazioni finanziarie che portarono la lira e la sterlina a uscire dal Sistema Monetario Europeo, e grazie alle quali si stima che guadagnò 1,1 miliardi di dollari. Era il 16 settembre del 1992, giornata passata alla storia con il nome di Mercoledì Nero. I suoi investimenti, influenzati fin dai tempi degli studi alla London School of Economics dalla filosofia di Karl Popper, l’hanno portato ad avere un patrimonio netto pari a 8 miliardi di dollari.
Il pensiero di Popper, con il concetto di società aperta, ha influenzato in modo importante anche la sua opera filantropica, iniziata nel 1979 con l’istituzione di borse di studio per l’istruzione universitaria dei neri sudafricani. Il primo esemplare della sua rete di Open Society Foundations, oggi diramata in 120 Paesi, ha aperto nel 1984 in Ungheria, nazione in cui ora si pensa di vietare l’accesso del magnate – a rendere questa ipotesi possibile sarebbe la doppia cittadinanza di Soros, ungherese e americana – e di bandirne le organizzazioni. Le sue fondazioni oggi finanziano svariate Ong e si occupano di battaglie civili e sociali che vanno dai diritti umani allo stabilimento e il mantenimento dello stato di diritto, dai diritti LGBT alla garanzia di una stampa liber, fino all’accesso a un’istruzione adeguata. Il patrimonio delle Open Society Foundations corrisponde attualmente a circa 18 miliardi di dollari, facendone la terza organizzazione filantropica al mondo. Lo stesso Viktor Orbán, che vede in Soros la propria nemesi, ha potuto frequentare l’Università di Oxford per un anno proprio grazie a una borsa di studio finanziata dal magnate. Fatto piuttosto coerente, se si pensa che persino il suo attuale successo politico è stato garantito da Soros e da tutto ciò che rappresenta.
La destra americana si preoccupa dei suoi finanziamenti alla campagna di Hillary Clinton, per le sovvenzioni alla ACLU (l’Unione Americana per le Libertà Civili), dimenticando per un attimo il potere esercitato dai fratelli Koch con la loro associazione Americans for Prosperity. Alcuni si sono addirittura spinti a dire che gli incidenti di Charlottesville sono stati una contorta iniziativa manipolata da Soros. I conservatori macedoni, invece, hanno formato un nuovo gruppo chiamato SOS: Stop Operation Soros. Operazione che nel 2014 ha finanziato vari centri per il trattamento dell’epidemia di ebola che aveva colpito l’Africa occidentale, mentre nel 2016 ha stanziato un’ingente somma di denaro (10 milioni di dollari) per limitare il picco di hate crime seguiti all’elezione di Trump.
Le Open Society Foundations e le Ong finanziate negli anni da Soros vanno a colmare un vuoto nei servizi e nel supporto delle minoranze e dei dimenticati dallo Stato, storicamente appartenuto alla sinistra e ora in parte appannaggio delle destre populiste di tutto il mondo (se escludiamo le minoranze, ovviamente). Il fatto che un individuo come Soros, con il suo patrimonio e la conseguente influenza politica, si dedichi a cause come quella dei diritti umani, spaventa la destra, che si trova in una fortunata congiuntura storica in cui può dire di badare ai diritti dei delusi, dei frustrati e degli scontenti. Le organizzazioni non governative suppliscono a funzioni ormai trascurate dallo Stato o non gestibili da una comunità internazionale incartata nella burocrazia. In questo senso, è significativo che la crisi dei migranti abbia scatenato una nuova ondata di accanimento contro le Ong e, di nuovo, contro Soros.
L’opera del tycoon e delle organizzazioni da lui supportate, internazionaliste e progressiste, si contrappone in un’antitesi perfetta alle posizioni delle destre populiste di oggi e a una visione del mondo dominata dai nazionalismi e dalle istanze identitarie. Queste organizzazioni operano con un’efficacia e una coordinazione garantita anche da finanziamenti esterni – tra cui quelli di Soros – che porta le destre all’isterismo, consapevoli, forse, di aver trovato pane per i propri denti. In un articolo di Business Insider, Soros è stato paragonato al test di Rorschach: per i progressisti è semplicemente un uomo molto – molto – ricco che supporta apertamente numerose cause in cui loro per primi credono, mentre per la destra è uno spettro infausto, complice, se non artefice, della manipolazione dell’ordine mondiale – e per la destra estrema è una sorta di Protocollo dei Savi di Sion 2.0. In un curioso ribaltamento di ruoli, la sinistra si trova a simpatizzare per un uomo che concentra una parte discreta di potere politico ed economico, demonizzato al contrario dalle destre populiste.
In un generale outsourcing involontario delle funzioni statali, appaltate a fondazioni come quella di Open Society, la battaglia politica vera della destra è combattuta contro una sinistra altra, incarnata in modo quasi provvidenziale da George Soros. In uno scenario, o in un sistema economico ideale, non dovrebbero però esistere figure come lui, così come non dovremmo ritrovarci a parteggiare per organizzazioni e individui che fungono da sinistra in absentia, portando avanti le cause di formazioni politiche nella migliore delle ipotesi “latitanti”.
Nel folklore ebraico medievale, la figura del golem, una sorta di gigantesco mostro di argilla, ha avuto di volta in volta significati ambivalenti: o benevolo protettore o enorme minaccia fuori controllo, come nel caso del golem di Praga. L’ottantaseienne ungherese è rappresentato perfettamente da questa figura, a seconda che lo si guardi da destra o da sinistra. Un personaggio da cui siamo stati tutti ammaliati, del resto, facendo ancora una volta il gioco delle destre ultranazionaliste e dimenticandoci che, di nuovo, George Soros in parte sta rimediando alle mancanze di strutture statali sempre più in ritirata.