C’era una volta la roccaforte sicura di Berlusconi, la regione che gli consentiva una caterva di voti grazie all’appoggio dei Cuffaro o dei Lombardo di turno. In Sicilia nel 2001 il centrodestra prese 61 collegi su 61. Cappotto, e centrosinistra a mani vuote. Qualche mese fa il “patto dell’arancino” è riuscito ad arginare l’ondata grillina, facendo vincere Nello Musumeci alle regionali, seppur con l’acqua alla gola. È risaputo, tra elezioni regionali e nazionali le sfumature sono diverse. E così, quando nel fuorionda alla manifestazione finale del centrodestra, il trio Fitto-Meloni-Salvini preannunciava un trionfo in pompa magna del Movimento 5 Stelle al Sud, hanno dato sfoggio di notevoli capacità divinatorie. Infatti, la Sicilia è diventata la terra a cinque stelle per antonomasia.
Tanto da poter parlare di rivincita, dopo la sconfitta recente di Cancelleri. Il M5S raggiunge percentuali da Democrazia Cristiana, portandosi a casa (con molta probabilità, in attesa dei dati ufficiali) 28 collegi uninominali su 28 (19 alla Camera, 9 al Senato) e superando il 48%.
C’è da considerare il dato dell’astensione, il più alto in Italia: in Sicilia l’affluenza è dieci punti sotto la media nazionale. Notevole il 6% della Lega, che fino a qualche anno fa mai avrebbe sognato simili percentuali: d’altronde, per anni alcuni esponenti della Lega hanno apostrofato i meridionali con epiteti e parole poco gradevoli; c’è chi mantiene una memoria storica, mentre altri hanno probabilmente preferito dimenticare, salendo sul carro della guerra agli immigrati. Forza Italia registra un 20% che supera il voto a livello nazionale, ma suona più come un rigor mortis senza futuro. Inutile sottolineare il crollo verticale del centrosinistra, e addirittura la figura barbina di Grasso, che racimola un misero 5% nella sua Palermo, arrivando quarto. Dati e numeri appaiono però freddi di fronte alla questione principale: il fatto che un siciliano su due abbia sposato la causa grillina e, soprattuto, la sua carica anti-establishment.
La Sicilia non versa in condizioni facili a livello economico, sociale e di prospettive per il futuro – per essere onesti si potrebbe facilmente dire che è molto vicina al baratro. Una regione in cui la disoccupazione raggiunge valori oltre il doppio della media europea è probabilmente quella dove il voto “di pancia” raggiunge i picchi più alti. Si è arrivati persino a un livello superiore: si vota con l’intestino, con le viscere, è la rabbia che parla, che sbraita, prende una matita ed entra al seggio. Il richiamo del “tutti a casa” è stato forte, inutile negarlo. Così come le strampalate tesi sul reddito di cittadinanza. Il M5S ha attinto dai delusi di destra e di sinistra, dai giovani che non avevano mai votato, dagli anziani che non ce la fanno più e dagli urlatori da bar. Come nel resto d’Italia, qualcuno potrebbe asserire. Sì, ma altrove c’è stato un ulteriore segmento del populismo (il fattore Lega, che ha ottenuto risultati al di là delle aspettative al Nord). In Sicilia, invece, il populismo, per questioni storiche ben evidenti, non poteva sfiorare le rive leghiste, e ha quindi trovato residenza sotto la bandiera grillina. Soprattutto perché quella bandiera ha potuto vantare la sua estraneità dal sistema gattopardiano.
La Sicilia è l’emblema delle piazze, dei bar nei paesini, dei vecchi sulle panchine e dei giovani che non trovano lavoro e son costretti a cercarlo altrove. In tutti questi casi la disperazione trova terreno fertile nella presunta verginità politica. Il “non dimenticatevi del Sud” – tipico mantra del passato – si è trasformato in un trambusto di speranze, di ultimi tentativi, che ha amplificato un sentimento largamente diffuso di malcontento. Non contano più i programmi, le proposte, i percorsi dei candidati: conta far meno schifo degli altri. Meno del PD e di un Crocetta fallimentare, meno delle mancate promesse berlusconiane, meno del “polentone” Salvini che un tempo si tappava il naso quando parlava del Sud. I Cinque Stelle non hanno macchie legate alla Sicilia (se si escludono gli scandali per le firme false di Palermo) e rappresentano l’identikit perfetto del nuovo che avanza. Non scontenta nessuno, visto che l’esposizione è minima. Gli immigrati? Non esiste una posizione stabile, ma un cerchiobottismo senza costrutto. Uscire dall’Euro? Un giorno sì, un giorno forse, un giorno boh, chiediamo l’aiuto a casa. La politica estera? Ma cosa può mai importare ad un pensionato dell’entroterra siculo che fa la fame?
Il Movimento 5 Stelle è la chimera che si poggia sulle classi disagiate, è la ruspa che va bene anche al Sud, è l’insieme di tutti gli insulti da bar divenuti un partito. Per anni i cittadini hanno cercato un buon meccanico: c’era chi faceva la cresta sul prezzo, chi non distingueva un pistone da una marmitta, chi rubava anche i cerchioni. Hanno dunque preferito affidarsi a una figura esterna – un panettiere, un fioraio, un postino – per carenza di altri meccanici sul mercato. Perché tanto il panettiere è onesto, il fioraio non mi ruba i cerchioni e il postino ha la loro stessa rabbia. Le competenze sono secondarie, conta portare a casa il pane, garantire un lavoro ai figli. Conta tentarle tutte e ribaltare un sistema, in una regione che si intende di scatolette di tonno.
È finita l’era dei Cuffaro, dei Lombardo, delle manovre estreme di Berlusconi per conquistare la Trinacria. È cominciata l’era del diciottenne che si informa su Internet e convince i nonni a votare il M5S. Ma a ben vedere, il voto siciliano rappresenta altro: se è vero che la Sicilia è il laboratorio politico dell’Italia, questo risultato è la perfetta rappresentazione di ciò che sarà il futuro della nostra politica, e cioè la non-politica. Perché i politici fanno schifo, sono casta, rubano, mangiano e fregano gli elettori. Adesso potrebbe essere giunto il tempo anche per gli altri di godere di certi privilegi.
Tutte le fotografie sono state scattate da Francesco Faraci e fanno parte del suo ultimo progetto “Atlante umano siciliano”, in anteprima per The Vision. Segui Francesco su Instagram.