Paragonare lo sgombero del Nuovo Cinema Palazzo e della sede di Forza Nuova a Roma è da fascisti - THE VISION
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Quello che è successo a Roma pochi giorni fa mette in luce uno dei problemi atavici del nostro Paese, e in particolare di chi lo governa: l’incapacità d’imparare dai propri errori. Lo sgombero del Nuovo Cinema Palazzo è un espediente brutale, che dimostra l’incapacità di gestire la questione delle occupazioni abusive, che riguarda la Capitale da oltre settant’anni, e per cui non si è mai trovata una quadra efficace e soddisfacente, sia per i cittadini che per le istituzioni. La soluzione-palliativo degli sgomberi, adottata ciclicamente dalle autorità, è spesso avvertita come aggressiva, anche perché come in questo caso spesso si parla di luoghi di cultura, riqualificazioni operate dalla cittadinanza là dove l’amministrazione abbandona e dimentica. Eppure questi cittadini vengono sistematicamente trattati come pericolosi estremisti.

All’alba del 25 novembre un blitz delle forze dell’ordine ha quindi sgomberato il Nuovo Cinema Palazzo, uno dei centri culturali nevralgici per il quartiere di San Lorenzo, dopo che 15 blindati hanno assediato piazza dei Sanniti. Per il Cinema Palazzo si sono mobilitati studenti, residenti, intellettuali: chi vive Roma o ha avuto modo di frequentare un quartiere così intriso di storia conosce bene l’importanza di questo luogo per i suoi abitanti. Lo sgombero, ordinato dalla prefettura ed eseguito dalle forze dell’ordine, è stato fatto “coincidere” – con una non troppo velata e rischiosa narrazione degli “opposti estremismi” – con quello di alcuni locali occupati da esponenti di Forza Nuova in Via Taranto, per cui invece non ci sono stati particolari manifestazioni di cordoglio da parte della popolazione.

Il motivo è semplice: la natura delle due occupazioni era molto diversa, e riuscire a decifrare le differenze che intercorrono tra queste due “esperienze” permette a uno sguardo critico, al di là degli schieramenti politici, di fare delle valutazioni e agire di conseguenza. E invece no: un luogo di cultura come il Nuovo Cinema Palazzo è stato equiparato ai locali occupati in Via Taranto, a San Giovanni, che da oltre un anno ospitavano un pub abusivo, con tanto di vendita di alcolici, listino prezzi, e discutibili celebrazioni in onore di terroristi. I locali occupati dagli esponenti di Forza Nuova, inoltre, erano di pertinenza dell’Ater (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale), un ente pubblico economico che si occupa di promuovere, realizzare e gestire interventi di edilizia pubblica. Un’ubicazione singolare in uno degli stabili dell’ente di riferimento per l’assegnazione di case popolari, che l’aveva reso tra le sedi più significative ed economicamente produttive di Forza Nuova e dei suoi esponenti romani, tra cui spiccano figure come l’attuale leader Roberto Fiore, o il suo braccio operativo, Giuliano Castellino, ultimamente salito alla ribalta per le sue posizioni negazioniste e la sua partecipazione alla manifestazione dei No Mask a Roma.

Caso diametralmente opposto è quello del Nuovo Cinema Palazzo, edificio storico di piazza dei Sanniti, nel cuore di San Lorenzo, originariamente chiamato Cinema Teatro Palazzo, protagonista fin dagli inizi del Novecento di una stagione culturale di pregio, prima di essere trasformato in accademia di biliardo e poi in sala Bingo, per poi essere destinato nel 2010 all’ubicazione di un casinò dalla discutibile validità legale. Il 15 aprile del 2011, però, cittadini, artisti e studenti, ma anche attivisti dei movimenti della casa ed esponenti della sinistra radicale capitolina, hanno riaperto l’edificio alla comunità, occupandolo e rendendolo luogo d’incubazione culturale, un ruolo che il Nuovo Cinema Palazzo è riuscito a ritagliarsi nel tessuto sociale politicamente impegnato di San Lorenzo, fornendo occasioni di dialogo oltre alle divisioni interne degli stessi movimenti che hanno orbitato intorno alla struttura. Sul palco del Nuovo Cinema Palazzo si sono svolti festival di teatro, musica e letteratura e tra gli ospiti, nel corso degli anni, sono figurate personalità importanti, del calibro di Stefano Rodotà, Paolo Maddalena o David Harvey, per citarne solo alcuni.

La sindaca Virginia Raggi ha celebrato i due interventi di sgombero con esibita intransigenza, tanto perentoria da risultare pretenziosa, specialmente perché proveniente da chi, nel maggio del 2016, incontrava le realtà del Nuovo Cinema Palazzo. Le ritrattazioni del giorno dopo non bastano, e anzi formalizzano il cambio di rotta veicolato unicamente dalle polemiche generate dalle sue precedenti dichiarazioni. Mettere sullo stesso piano due esperienze così diverse è un grave errore per l’amministrazione. La gravità delle affermazioni della Raggi, che su Twitter aveva scritto: “A Roma le occupazioni abusive non sono tollerate. Torna la legalità”, hanno il loro peso, specialmente perché a sancire la differenza tra lo sgombero di Via Taranto e quello del Nuovo Cinema Palazzo – oltre che per innumerevoli ragioni sociali e culturali che abbiamo citato – c’è una sentenza risalente al 15 febbraio del 2012, in cui era stata riconosciuta la legittimità dell’occupazione, dopo che già nel maggio del 2011 era arrivata la prima archiviazione alla denuncia per “invasione di edificio”, dove il Pubblico Ministero aveva ridefinito i termini di occupazione in quanto “Si è trattato di un’introduzione momentanea tendente ad esprimere il dissenso dalla destinazione dell’ex cinema a sala giochi”, una sentenza che, a nove anni dalla sua emanazione, ha fatto il suo corso, ma che è di certo indicativa del valore sociale di quest’esperienza. Una vicenda legale complessa, che aveva visto anche l’attivazione di un tavolo di trattativa con la proprietà – da anni in conflitto con gli abitanti di San Lorenzo – attraverso la mediazione della Prefettura, per farne uno spazio condiviso con le istituzioni, progetto apparentemente affondato, alla luce degli eventi e delle ultime, preoccupanti notizie, in merito alle destinazioni proposte dalla proprietà, tra le quali svetta quella della realizzazione di un teatro diretto da Vittorio Sgarbi, una pietra tombale sull’associazionismo e sul ruolo di socialità dal basso che il Nuovo Cinema Palazzo ha avuto in questi anni per San Lorenzo. Per non parlare dell’ipocrisia formale di una mossa del genere, che mal cela il tentativo rocambolesco di acquietare i detrattori della legittimità – o quantomeno sulla opportunità – dello sgombero.

Lo sgombero del Cinema Palazzo è l’ultimo tassello di un ampio mosaico che ha visto la capitale – nel corso di settantadue anni, dalla Prima Repubblica fino giorni nostri – protagonista di occupazioni, sgomberi e lotte per la casa, in un tessuto sociale proletario che ha lasciato la sua forte eredità a una coscienza ancora vivida nei romani. Andando oltre alle esperienze culturali: a Roma c’è un’emergenza abitativa che dura da più di cinquant’anni. I numeri certi dei richiedenti però non sono pervenuti, a febbraio di quest’anno erano circa 13mila le famiglie in graduatoria per le case popolari. Stando invece a una relazione del dipartimento di Urbanistica del comune, con dati aggiornati all’inizio del 2019 (prima della pandemia), le famiglie in emergenza abitativa sarebbero state 57mila, un totale di circa 200mila persone.

La testimonianza storica di questo fenomeno è in gran parte affidata alle mani della fotografia, in particolare negli scatti di artisti come Tano D’Amico, giornalista e fotoreporter siciliano approdato a Roma alla fine degli anni Sessanta, diventato celebre per le sue foto emblematiche delle rivolte studentesche, i cortei femministi e le lotte per la casa che imperversavano a cavallo degli anni Settanta. Una “guerra ai poveri”, per citare lo stesso fotografo, che veniva ritratta negli sguardi di donne, uomini e bambini, alla strenua difesa del loro diritto di abitare – anche abusivamente – quelle case, in mancanza di valide alternative, perché la casa è, appunto, un diritto. Sono immagini forti, di uomini alcune volte in lotta aperta, con tanto di vittime, come accaduto per gli sgomberi di San Basilio nel settembre del 1974, dove venne ucciso il diciannovenne Fabrizio Ceruso, o quelli del 1975 a Casal Bruciato, Immagini ancora vivide e tristemente attuali, specialmente se confrontate a quelle più recenti degli sgomberi in via Cardinal Capranica, a Primavalle, fortemente voluti dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, e che hanno lasciato in strada 250 persone per le quali non è stata trovata alcuna soluzione dignitosa: la metà di queste sono a oggi in un centro di accoglienza, l’altra metà si è dispersa e ha cercato altre soluzioni di fortuna. Si tratta di un bilancio terribile che pone l’accento sull’incapacità dell’amministrazione a gestire quella che è una vera e propria emergenza.

Sulla legittimità delle occupazioni c’è un lungo e spinoso dibattito, tra chi manifesta solidarietà per la legittimità della proprietà privata di un immobile e chi invece sottolinea la virtuosità delle occupazioni a fronte dell’uso che ne verrebbe fatto o dell’eventuale abbandono. Gli sgomberi, le lotta per la casa, così come per la ricerca di luoghi d’aggregazione e poli culturali sono al centro della polemica nella Capitale da decenni, si sono radicati nella cultura di massa, impressi nei volti di coloro che ne furono e ne sono tuttora protagonisti. Eppure, la sensibilità delle amministrazioni sembra essersi sempre più allontanata da queste cause, in un movimento di controtendenza verso quel processo di sviluppo culturale e sociale che in un un sistema democratico dovrebbe porre tutti sullo stesso piano.

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