Perché non ha senso colpevolizzare i giovani per la tragedia di Corinaldo
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Il ponte dell’Immacolata del 2018 ce lo ricorderemo negli anni per due motivi: ci ritornerà in mente come quel momento in cui, nel Ventunesimo secolo, il capo del gabinetto del ministero della Famiglia ha imputato al demonio le origini dei cambiamenti climatici; ma soprattutto, ci rimarrà il ricordo di una tragedia in cui, sempre nel Ventunesimo secolo, sei persone perdono la vita a un concerto di musica trap. Non ci sono vittime di prima e di seconda categoria, ma è normale che quando a morire sono cinque adolescenti tra i quattordici e i sedici anni – più una donna di 39, madre di quattro figli – l’onda d’urto del risveglio delle coscienze si fa sentire più forte. Ma non è solo l’età delle vittime a contribuire alla portata di questa vicenda, visto che non solo si tratta di un episodio collegato a un contesto di divertimento, e dunque generatore di incredulità “Si può morire per una serata in discoteca?”, ma è anche il risultato di una bravata, è il prodotto della sconsideratezza giovanile che si manifesta in uno spray al peperoncino. E poi, dulcis in fundo, c’è anche l’oggetto stesso dell’evento, l’artista che ha spinto tutti questi adolescenti ad ammassarsi in una discoteca di periferia solo per qualche minuto di intrattenimento, Sfera Ebbasta, così difficile da capire se hai superato l’età della scuola dell’obbligo.

La tragedia di Corinaldo, dunque, si districa tra una molteplicità di elementi che ne complicano notevolmente sia l’analisi che l’umana e inevitabile esigenza di “sbattere il mostro in prima pagina”, ovvero la sensazione soddisfacente e spesso illusoria di aver trovato un possibile colpevole. Quando ci furono i fatti del Bataclan fu tutto più semplice: c’era sì il paradosso di morire giovani durante un evento musicale, ma c’erano anche i carnefici in bella vista e alla domanda “Si può morire per un concerto?” si poteva rispondere con le bestie dell’Isis, il terrorismo, il fantasma di un cattivo lontano e feroce. Qua, invece, trovare una spiegazione è più complesso, perché implica la capacità di guardare dall’alto, di fare un quadro generale degli eventi e solo alla fine poter ricostruire, più o meno in modo fedele, quello che è successo. Ma le visioni d’insieme non fanno buoni commenti sui social, servirebbero post troppo lunghi e articolati, imparziali, lucidi, e quindi meglio focalizzarsi su un solo elemento e sfogare la propria rabbia – perché di certo non esiste tragedia che non generi un sentimento simile – anche se i dati a disposizione sono ancora incerti.

E così, nelle ore successive alla notizia, si sono diffuse interpretazioni disparate: c’è chi ha puntato il dito contro la discoteca, colpevole di aver venduto “il triplo” dei biglietti consentiti dalla struttura – notizia poi smentita – e quindi tirando in causa il problema della sicurezza; c’è chi ha focalizzato l’analisi sulla questione dello spray al peperoncino, del pericolo della detenzione di questo genere di oggetti che fanno tanto dibattito sul gun control statunitense. E poi, ovviamente, non poteva mancare l’analisi generazionale, il decadimento dei costumi di giovani che pur di vedere il loro idolo si accalcano come degli gnu pronti a schiacciare Mufasa, noncuranti della bassezza dello spettacolo che hanno di fronte e bramosi di svago. C’è anche la questione dell’orario e della presenza di Sfera Ebbasta alla discoteca “Lanterna azzurra” di Corinaldo, visto che il trapper al momento della tragedia si trovava a 90 chilometri dal luogo, impegnato in un altro evento e in procinto di spostarsi verso la meta. Di tutti questi spunti per un’analisi della vicenda, forse l’unico elemento che merita più attenzione è quello della sicurezza e del modo in cui le norme vengano effettivamente applicate. Ed è anche il più spinoso, se consideriamo il fatto che spesso e volentieri ci lamentiamo della chiusura di locali non a norma, difendendoli per il loro apporto alle attività culturali di un territorio, ma casi come questi ci dimostrano che anche le regole hanno il loro senso. Ma non è ancora chiaro neppure quanto sia responsabilità di un edificio non adibito a eventi di questa portata o quanto sia una banale ma terrificante conseguenza di un effetto a catena, della forza distruttrice di una massa che si sposta in modo anomalo. È davvero complicato, perché non è ancora del tutto comprensibile, e non c’è niente che innervosisca di più il genere umano che non avere una causa precisa a cui imputare un fatto inaspettato e orrendo. Ed ecco che all’esigenza di trovarla, chiunque, stampa compresa, dice cose a caso.

Così, una storia drammatica e sicuramente anche evitabile, diventa lo spunto di riflessione per comprendere i nostri giovani che a quanto sostiene Antonio Polito sul Corriere della sera, stanno subendo una “mutazione antropologica”. Dunque, a contribuire alla natura disgraziata di questa combinazione di elementi, si aggiunge anche l’intramontabile vizio di attribuire alla perdita di valori e al disgregarsi delle nuove generazioni in atti sempre più futili la causa della tragedia. C’è poi chi contrappone i vizi e i divertimenti della propria giovinezza a quella dei ragazzi di oggi: del resto, come si può morire per un concerto di musica di merda? Fossero stati almeno i Rolling Stones a suonare. Mentre qua, a Corinaldo, una massa informe di adolescenti si è riversata sotto al palco per sentire un tizio che canta di droga e di soldi con l’autotune. E non ci si riesce proprio a spiegare perché un ragazzino di quindici anni possa idolatrare un personaggio simile, che dice queste cose, che promulga certi messaggi. Sembra come se a un certo punto ti dessero una licenza per poterti lamentare delle cose che non capisci, seguendo uno schema ereditato da secoli di borbottii e scuotimenti di capo. Come se arrivati a una certa età, fosse inevitabile usare l’espressione “i giovani d’oggi”, accompagnandola con un paragone rispetto a un’epoca d’oro, rispetto a una forma vera di divertimento e di vita che invece è stata sostituita dal degrado e dalla miseria culturale.

E quindi, adesso si sono accorti anche gli editorialisti del Corriere della sera che esistono Sfera Ebbasta, la trap, e che, incredibile, la droga gira ancora, e ai giovani piace persino farne uso. Paolo Crepet a Domenica In si indigna e dà la colpa non solo ai gestori del locale ma anche a Sfera Ebbasta che veicola messaggi sbagliati, sui social centinaia di commenti che trasudano tutto il fastidio per questo personaggio così eccentrico e sfacciato. Così, tutti provano a capire chi sia questo fantomatico ragazzo di Cinisello Balsamo con milioni di follower che come un incantatore di serpenti induce minorenni a riempire a tappo i locali nonostante lui non sia nemmeno là. E anche stavolta, come Totò che in Capriccio all’italiana vuole tagliare via tutte le tracce di disobbedienza e malcostume dai capelloni hippy, i “grandi” fanno muro rispetto a ciò che non capiscono e ciò che interpretano come sintomo di inferiorità morale, perdendo un’occasione preziosa di guardare in faccia il presente, compresi – ebbene sì – i loro errori da genitori. Sfera Ebbasta è un artista per ragazzini, tanto da stare sulla copertina del Cioè: è la declinazione più commerciale e spendibile di un genere che oggi sta evidentemente vivendo il suo massimo splendore, la trap. È bravo come tutti quelli bravi a fare numeri grossi, è accattivante, furbo, divertente, o come recita lui stesso è appunto una popstar. Tanto ammaliante da sedurre addirittura qualche adulto che per fare la parte di chi invece i giovani li capisce bene si mette dalla parte di questi adolescenti incompresi a cantare di “culi senza cellulite” e di ordinare ragazze su JustEat come un piatto di pasta.

Sfera Ebbasta, in pratica, è la manifestazione più evidente non di un declino della gioventù che usa codeina ed eroina come fossero Fanta e Coca-Cola, ma di un sentimento e un modo di pensare e vivere il presente che a quanto pare sfugge a chi vede solo un branco di rincitrulliti discotecari. È l’ostentazione parossistica di soldi, lusso, gioielli, Rolex che si mischiano a colori pastello, rosa come un confetto, allo stesso tempo sia delizioso che pacchiano come neanche i peggiori parvenu degli Emirati Arabi sanno essere. E così anche la sua musica, scanzonata e giocosa come un carillon del luna park ma anche molto pesante e carica, piena di parole che non si capiscono nemmeno bene, piena di riferimenti interni e di vocaboli idiosincratici che se non sei dentro a quel mondo non puoi proprio afferrare. Si inneggia al denaro, si usano i marchi dei vestiti come icone da venerare, si cavalca l’onda della retorica del self-made man che è partito dal basso e ora ce l’ha fatta, può farsi la dentiera di diamanti e mandare bacini a tutti gli hater invidiosi. E questo, “gli adulti” che si indignano, dovrebbero capire un po’ meglio che cosa significa: non che i nostri giovani d’oggi sono un branco di decerebrati che sa usare solo gli smartphone e fumare spinelli perché sono, fondamentalmente, dei cretini, ma che non sono altro che lo specchio di tutto quello che è stato fatto prima. Ci siamo voluti avventurare in questo ciclone di consumismo senza freni, abbiamo voluto cavalcare l’idea di poter possedere qualsiasi cosa, di essere prima di tutto degli acquirenti e poi, magari in un secondo momento, degli soggetti pensanti, fino al punto di esaurire tutte le riserve e lasciarci sprofondare in questo perenne ritornello che ci ricorda che siamo senza lavoro e senza futuro. E allora perché ci stupiamo che ai quattordicenni piacciano le collane d’oro di Sfera Ebbasta e i suoi versi sfacciati e la sua retorica da sopravvivenza nella giungla? Sfera Ebbasta è la cosa più vicina a un anestetico a basso costo per le incertezze e le pressioni di questo momento storico, non c’è proprio nulla di anomalo nel suo successo. E ai vostri figli piace drogarsi o ascoltare persone che raccontano di farlo perché questo è il presente, che vi piaccia o meno.

La vicenda di Corinaldo non ha nulla a che fare con la musica di Sfera Ebbasta, disastri simili possono succedere in qualsiasi occasione, pure al concerto dei Pooh. Ma ciò che è successo ci ha dato l’occasione di spiare nella cameretta di un teenager qualsiasi, e incredibile, abbiamo trovato delle cose che non capiamo. Invece di mettersi a discutere su quanto le generazioni passate fossero più sane perché non ascoltavano cantanti che parlano di droga – cosa peraltro falsa visto che persino i Beatles lo facevano – e di come i giovani d’oggi siano il ritratto della vacuità, sarebbe bello se per una volta riuscissimo a non sprofondare nella solita contrapposizione da “ai miei tempi qui era tutta campagna”. Invece di indignarsi per lo spettacolo osceno e incomprensibile di un ventiseienne che gira di discoteca a discoteca per cantare un paio di pezzi in playback davanti a un fiume di adolescenti esaltati dall’opulenza e dallo sfarzo diffuso attraverso quintali di stories su Instagram, se proprio vogliamo prendere spunto da questa tragedia per interrogarci sullo stato delle cose, domandiamoci cosa porta un ragazzino a essere tanto affascinato da un immaginario simile. E forse, sorpresa, potremo anche scoprire che questa cosa di dire che una generazione è persa va avanti da generazioni.

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