La scuola italiana ha svariati problemi, tra mancanza di fondi, edifici fatiscenti, tetti che crollano in testa agli studenti e professori sospesi per mere ragioni politiche. A questi si aggiungono i dibattiti che la scuola si porta dietro da decenni, senza venirne a capo. Uno dei principali riguarda l’ora di religione, che non può essere né abolita né sostituita con una materia più ampia come “storia delle religioni” per un gioco di equilibri tra due Stati: l’Italia e il Vaticano.
Negli anni alcuni politici e comitati civili hanno tentato di modificare certe imposizioni, ad esempio nel 2019 una mozione depositata al Senato chiedeva di abolirla e di sostituirla con un’ora di educazione civica. La mozione, depositata da Riccardo Nencini, segretario nazionale del Partito Socialista Italiano, e firmata da Emma Bonino e da diversi altri parlamentari, prevalentemente del Pd e del M5S, nasceva dall’appello di Carlo Troilo, dirigente dell’Associazione Luca Coscioni. Troilo spiegava che l’obiettivo era quello di raggiungere la laicità dello Stato. Come specificava, non si trattava di “un obiettivo antireligioso, ma anzi profondamente rispettoso della libertà religiosa e di espressione”. Nel testo della mozione si faceva riferimento anche al cortocircuito per cui i professori di religione vengono scelti dalla Chiesa (in quanto non partecipano al concorso pubblico come gli altri) ma pagati dallo Stato. Si citava poi il fatto che i cattolici praticanti in Italia sarebbero in realtà solo il 30%, con percentuali ancora più basse tra i giovani. Per comprendere l’importanza di questo tema è necessario fare capire come si sia arrivati alla presenza, o all’imposizione, dell’ora di religione a scuola. Ovvero capire che non si parla di fede e spiritualità, ma di accordi politici.
Con l’Unità d’Italia venne introdotto, attraverso il regio decreto n.315 del 1861, l’insegnamento della materia “religione e morale”. La Breccia di Porta Pia comportò diversi mutamenti in Italia, tra cui la fine del potere temporale del Papa, e gli effetti furono tangibili anche in ambito scolastico. Nel 1870, infatti, la religione a scuola fu ridimensionata, con la possibilità di studiarla soltanto su esplicita richiesta dei genitori dell’alunno. Negli anni seguenti vennero soppresse le facoltà teologiche di Stato e abolita la figura del “direttore spirituale” nei licei. Nel 1888 venne ufficialmente cancellato l’insegnamento della religione, con la seguente motivazione: “Lo Stato non può fare, né direttamente né indirettamente, una professione di fede che manchevole per alcuni sarebbe soverchia per altri”. Poi arrivò il fascismo, e tutto cambiò.
Il primo passo fu il decreto del 1923 di Giovanni Gentile, dove venne reso obbligatorio l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari. Il piano di Mussolini era quello di ottenere i favori della Chiesa, e si tradusse nei Patti Lateranensi del 1929. Fu la riconciliazione tra l’Italia e la Santa Sede dopo anni di allontanamenti, e produsse diverse conseguenze: in primis, venne fondato lo Stato della Città del Vaticano, la Chiesa ottenne risarcimenti milionari e il cattolicesimo divenne ufficialmente religione di Stato in Italia. Il concordato portò inevitabilmente all’ora di religione obbligatoria anche nelle scuole medie inferiori e superiori, come “fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica”.
Dopo la caduta del fascismo, la Costituzione fu scritta mettendo in rilievo la laicità dello Stato, ma decenni di Democrazia Cristiana mantennero salda la presenza della religione nelle scuole. Anche in questo caso si trattava di un equilibrio politico, con il partito scudocrociato strettamente influenzato dalla Chiesa. Dopo anni di dibattiti, il compromesso arrivò in seguito al concordato del 1984: “La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado”, ma senza l’obbligatorietà. È su questi accordi che si basa l’odierno insegnamento della religione: ogni settimana un’ora e mezza nelle scuole materne, due nelle primarie, una nelle scuole medie inferiori e superiori, con la possibilità degli studenti di non prenderne parte. Per quest’ultimi sono disponibili insegnamenti alternativi, ovvero attività didattiche e formative durante le ore di religione, con professori di altre materie o chiamati appositamente per quel compito. Questi insegnamenti alternativi sono legati “all’approfondimento di quelle parti dei programmi più strettamente attinenti ai valori della vita e della convivenza civile”. In pratica ci si avvicina a quell’educazione civica che la recente mozione propone di introdurre per sostituire l’ora di religione. Per raggiungere quell’obiettivo ci sono però paletti che rendono pressoché impossibile la realizzazione.
Per arrivare a questo cambiamento infatti non basta un decreto ministeriale o una qualsiasi legge, poiché andrebbe rivisto il concordato tra lo Stato e la Chiesa del 1984, a tutti gli effetti un “trattato internazionale”, secondo l’articolo 7 della Costituzione. Per rivedere un trattato con uno Stato straniero (e il Vaticano lo è) è necessario un accordo bilaterale, quindi il parere positivo della Santa Sede. Un vincolo non indifferente, considerando che il Vaticano non avrebbe alcun vantaggio a eliminare l’ora di religione dai programmi scolastici italiani.
I governi di qualsiasi colore politico non sembrano avere alcuna intenzione di fare un torto alla Chiesa. Anzi, molti politici – Matteo Salvini in primis – hanno introdotto all’interno delle proprie strategie elettorali comunicazioni destinate a entrare nelle grazie del mondo religioso. Brandire il rosario (in modo inappropriato) e presenziare ai vari congressi delle famiglie ne sono un valido esempio.
Anche nel centrosinistra c’è una forte corrente teodem strettamente legata alla CEI che frena eventuali ventate progressiste del partito. L’errore che si compie quando si discute sull’insegnamento della religione a scuola è proprio quello di ridurlo a una questione politica. Di fatto lo è, perché le sedi preposte per eventuali modifiche sono politiche; eppure molti tendono a dimenticare un elemento fondamentale, ovvero la laicità dello Stato italiano. Chiedere di rimuovere l’ora di religione non è un atto eretico o una battaglia antireligiosa, ma addirittura dovrebbe trovare il supporto anche di chi nutre una sentita fede. Questo perché è possibile essere credenti e contemporaneamente portare avanti ideali di laicità. I due aspetti non sono antitetici. Il percorso della fede non deve subire un’imposizione, essendo personale, intimo nelle sue sfaccettature e, in teoria, distante dall’indottrinamento. Inoltre viviamo in un Paese dove sono sempre di più i cittadini di religioni diverse da quella cattolica. Non a caso una delle proposte alternative è quella di sostituire l’ora di religione con quella di storia delle religioni. D’altronde lo stesso papa Francesco ha più volte parlato di fratellanza tra religioni diverse, invitando al dialogo e al rispetto.
È vero che l’ora di religione è già facoltativa, ma i dati mostrano alcune verità dalle quali è difficile fuggire. Dal 1984, per anni la stragrande maggioranza degli studenti ha deciso di partecipare all’ora di religione, e soltanto nell’ultimo decennio il numero è sceso sotto il 90%. L’ultimo rilevamento dice che il 79% degli studenti ha seguito l’insegnamento religioso. Il dato dei “non avvalentisi” invece, secondo l’Ufficio statistica del Miur, è maggiore al Nord, soprattutto in regioni come Valle D’Aosta (41,6% di esenzioni) e Toscana (37,4%). Al Sud, invece, soltanto l’8,5% decide di abbandonare l’aula durante l’ora di religione. I numeri pendono ancora a favore dell’insegnamento religioso anche per motivi sociali: per un bambino non è facile decidere di “non fare come gli altri”, e lo stesso dicasi per i genitori, che preferiscono lasciare il figlio nel gruppo di maggioranza, per non farne una pecora nera. Fortunatamente con gli anni questi stereotipi sono in calo, soprattutto nei licei, grazie anche alla presenza sempre più rilevante di studenti stranieri che non seguono le ore di religione. Anche questo è un motivo per abolirle: evitare di creare distinzioni tra studenti e di dividere le classi. Soprattutto in età infantile, è una dinamica che frena l’aggregazione e genera distanze.
Nessuno nega l’importanza della religione nella Storia, nemmeno gli atei. Non è un caso se, qualche anno fa, è stata indetta una campagna per favorire lo studio della Bibbia a scuola come testo di studio pari alla Divina Commedia o all’Odissea, in quanto fondamentale per conoscere le radici dell’uomo e della civiltà. Tra i firmatari ci sono Umberto Eco, Margherita Hack, Massimo Cacciari e Gustavo Zagrebelsky, oltre ad altre personalità non di certo legate al mondo cattolico e, anzi, nella maggior parte dei casi convintamente atee. Il problema dell’ora di religione va però oltre il concetto stesso di religione.
È dunque necessario ribadire l’importanza della laicità dello Stato, che dovrebbe valere anche e soprattutto nella scuola pubblica. Rispettare il cattolicesimo e tutte le religioni senza però imporre un indottrinamento, capire che coltivare la fede non esclude una visione più ampia della società e del mondo, e che quindi anche i credenti dovrebbero spingere per avere un’altra materia in sostituzione dell’insegnamento religioso – che sia educazione civica, informatica, musica o economia. È altrettanto inevitabile il realismo di fronte al fatto che queste proposte resteranno tali, per lo meno fino a quando resisteranno gli accordi tra la Chiesa e lo Stato italiano. Ovvero tra due nazioni, dove la prima sembra sempre tenere in scacco l’altra.