I ragazzi a scuola vogliono parlare di genere e sessualità. Per quanto continueremo a impedirglielo? - THE VISION
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Tra le critiche dei conservatori all’ormai affossato ddl Zan uno degli articoli più presi di mira era il numero 7, che prevedeva l’introduzione di una Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia. Secondo i detrattori del disegno di legge si trattava, infatti, di un modo per introdurre la cosiddetta “ideologia gender” nelle scuole. Questa è, in effetti, una paura ricorrente tra i sostenitori della famiglia tradizionale che temono che ai ragazzi venga insegnato che il sesso biologico non è rilevante e che, in questo modo, i giovani possano essere spinti a diventare omosessuali o transgender. 

La scuola negli ultimi anni è quindi diventata terreno di questo scontro. Da un lato, le linee guida europee invitano a introdurre nelle classi italiane ore dedicate all’educazione sessuale e alla parità di genere con un approccio volto al rispetto e alla tutela dell’identità sessuale di ogni persona; dall’altro, gli esponenti politici più conservatori, le associazioni a tutela della famiglia tradizionale e per certi versi anche la Chiesa cattolica monitorano attentamente ogni progetto che tocchi tematiche legate al concetto di genere. L’Associazione Pro Vita e Famiglia, ad esempio, aggiorna ogni anno un dossier con le principali iniziative scolastiche “che si ispirano alla teoria di genere”. Il rischio, infatti, come si legge nel documento, è che “l’ideologia gender” venga presentata agli studenti “con il pretesto di educare all’uguaglianza e di combattere le discriminazioni, il bullismo, la violenza di genere o i cattivi stereotipi”. C’è quindi la preoccupazione fuori luogo che le menti dei ragazzi e  la loro sessualità ancora in fase di sviluppo possano essere “traviate”. Così, l’Italia è ancora uno dei pochi Paesi Europei che non prevede l’educazione sessuale nelle scuole, eppure, mentre la sinistra soccombe alle pressioni conservatrici, gli studenti si mostrano invece sempre più consapevoli e interessati alle tematiche di genere.

Molte delle istanze che, negli ultimi anni, hanno mobilitato gli studenti delle scuole superiori partono dalla necessità di smantellare stereotipi, norme di genere e luoghi comuni discriminatori. Le ragazze e i ragazzi di oggi sembrano fare molta più attenzione alla parità tra i generi e, in diverse scuole, hanno denunciato episodi di victim blaming. ​​”Troviamo scandaloso e irrispettoso nei nostri confronti che i prof ci costringano a cambiare i nostri vestiti piuttosto che cambiare le mentalità delle altre persone”, hanno scritto su Instagram qualche mese fa gli studenti del Liceo Artistico Statale Marco Polo di Venezia dopo che una professoressa aveva chiesto alle ragazze di indossare la felpa nelle ore di educazione fisica per non “distrarre i ragazzi”. Gli studenti non si oppongono più solo a un eccessivo moralismo nel dress code, ma individuano la componente di genere e le sfumature sessiste parlandone con cognizione di causa. Nel 2020 ha fatto discutere, per lo stesso motivo, il Liceo Socrate di Roma dove le allieve hanno protestato contro la vicepreside che aveva chiesto loro di non indossare gonne corte perché a qualche professore poteva “cadere l’occhio”. “Non è colpa nostra se gli cade l’occhio”, hanno scritto su un cartello invitando tutti a presentarsi a scuola in gonna il giorno dopo.

Non sono solo le ragazze a protestare per questi episodi, anche i loro compagni le sostengono. Proprio in questi giorni Repubblica ha pubblicato su Instagram un video del Liceo Righi di Roma in cui un ragazzo difende una compagna criticata da una professoressa per il suo abbigliamento: “Perché a me, che oggi sono vestito così, nessuno ha dato del gigolò’?”. Il ragazzo indossa degli indumenti tradizionalmente femminili: la gonna, infatti, è diventata un vero e proprio simbolo delle proteste degli studenti sulle questioni di genere. L’interesse dei ragazzi per le questioni di genere, però, non si limita a focalizzarsi su violenza di genere e pari opportunità. A partire da questi gesti simbolici, nascono discussioni più complesse su identità, espressione di genere e orientamento sessuale. Anche tramite il legame delle associazioni studentesche con il mondo universitario, poi, i ragazzi delle superiori entrano in contatto con tematiche che al momento sono al centro del dibattito anche negli atenei.

Un esempio è la cosiddetta “Carriera Alias” per le persone trans adottata da più di trenta atenei e da un numero sempre più grande di licei. Si tratta di una procedura burocratica per permettere alle persone che non si riconoscono nel sesso loro assegnato alla nascita ma che non hanno ancora potuto cambiare i documenti di venire identificate a scuola con un nome diverso da quello anagrafico per evitare di dover fare coming out forzatamente o casi di misgendering, cioè l’atto di parlare di una persona trans utilizzando articoli, desinenze e pronomi non corrispondenti alla sua identità di genere. A novembre il Liceo Ulisse Dini è stato occupato dopo che la preside aveva negato l’attivazione della Carriera Alias a un ragazzo trans, la stessa richiesta è stata presentata al Liceo Artistico Ripetta di Roma, al Liceo Classico Cairoli di Varese, al Tito Livio di Padova, al Telesio di Cosenza e in molti altri istituti. Spesso sono gli stessi studenti discriminati a far valere le proprie posizioni trovando supporto nei compagni e in molti casi, dopo le proteste, i dirigenti hanno aperto un dialogo e la Carriera Alias è stata inserita. 

La componente della condivisione risulta molto importante nell’avvicinamento dei ragazzi a queste tematiche e passa anche attraverso i social media. Ad esempio, il caso del Liceo Valentini-Majorana in provincia di Cosenza, occupato dal 3 febbraio a causa di pesanti accuse di molestie sessuali, è scoppiato proprio su Instagram. Un’ex alunna ha creato una pagina per raccontare la sua esperienza e raccogliere testimonianze anonime, da lì gli studenti si sono mobilitati e ora è in corso un’inchiesta. I social, oltre a dare ai ragazzi la possibilità di entrare in contatto con testimonianze dirette che, fino a pochi anni fa rimanevano irraggiungibili, sono un luogo di dibattito sulle questioni di genere. Durante la discussione del ddl Zan, ad esempio, si sono susseguiti hashtag e campagne di solidarietà, influencer con seguito enorme come Fedez e Chiara Ferragni parlano di diritti LGBTQ+ o diffondono video contro il victim blaming. Ci sono trend TikTok contro la violenza di genere e dirette su Twitch per parlare di identità e orientamento sessuale. Su Instagram è facile imbattersi in attivisti che testimoniano le loro lotte per i diritti delle donne e della comunità LGBTQ+, ragazzi trans che raccontano il loro percorso, pagine che decostruiscono la maschilità egemone, progetti di educazione sessuale e profili contro le molestie sessuali. Insomma, avvicinarsi a questi temi e scoprire che esistono libri e corsi di laurea che se ne occupano è diventato decisamente più facile di anni fa.

Chiara Ferragni e Fedez

Forse anche per questo capita che siano i ragazzi stessi a chiedere ad attivisti e associazioni di tenere delle lezioni nelle loro classi. “Dittatura Gender a scuola! Drag queens, identità di genere, gay sex education: ecco le ‘lezioni’ in programma in assemblea di istituto!”, ha twittato Giorgia Meloni a febbraio 2020, dopo che gli alunni del Liceo di Scienze Umane Laura Bassi di Bologna si erano organizzati per parlare di affettività e identità sessuale. “Vorremmo coinvolgere gli studenti e mobilitarli in tutta Italia per delle ore obbligatorie di educazione sessuale e soprattutto di educazione sentimentale”, avevano ribattuto i rappresentanti di istituto. “Quello che si fa fatica a capire è che non esiste un modo per prevenire che i ragazzi e le ragazze vengano in contatto con informazioni legate alla sessualità in ogni suo aspetto”, hanno detto a The Vision le fondatrici dell’associazione Virgin & Martyr che si occupa di diffondere, anche sull’omonima pagina Instagram, consapevolezza sulle tematiche di educazione sessuale, socio-emotiva e digitale. “I ragazzi vogliono imparare a conoscere il loro corpo, identità, emozioni, relazioni e tanto altro, in un modo aggiornato, non giudicante e vicino a loro”. Raccontano che ogni settimana su Instagram ricevono decine di domande di ragazzi e ragazze che non sanno a chi rivolgersi, oltre a inviti a parlare nelle loro scuole.

Giorgia Meloni

Al momento, però, non è facile per dirigenti e professori prendersi la responsabilità di invitare dei professionisti a parlare di temi legati anche solo lontanamente a orientamento sessuale e identità di genere: la stessa Virgin & Martyr è stata segnalata su Facebook dal senatore della Lega Simone Pillon per “indottrinamento a senso unico”. “Di solito”, conferma il team di V&M, “docenti e presidi ci supportano, specie se si parla di temi come consenso, violenza di genere e stereotipi. Quando invece i ragazzi vorrebbero parlare di identità sessuale incontriamo più reticenze (spesso anche da parte dei genitori) perché sono temi di cui sanno poco e per questo fanno paura”. Del resto, persino nelle Linee Guida nazionali pubblicate nel 2015 dal Miur è espressamente inserito un riferimento alla presunta ideologia gender, nonostante la dicitura non abbia alcuna valenza ufficiale. Di fatto in questo modo si assecondano le istanze fuorvianti dei conservatori, nonostante il tentativo di tenere i ragazzi lontani da qualsiasi argomento che attenga a genere e sessualità sia anacronistico oltre che dannoso, dato che li priva di nozioni fondamentali per il loro sviluppo. I ragazzi hanno dimostrato di avere molto chiare le loro necessità, ora tocca a Governo e Parlamento agire.

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