Carlo Pietro Giovanni Guglielmo Tebaldo Ponzi, ragazzo ventunenne di origini pugliesi nato a Lugo di Romagna in provincia di Ravenna, sbarca a Boston nel novembre 1903, con meno di tre dollari in tasca e l’ambizione di guadagnarne un altro milione.
Charles, come si farà chiamare da lì in avanti, è un ragazzo sveglio, desideroso di vivere appieno il sogno americano. Impara l’inglese in fretta e trova lavoro come lavapiatti in un ristorante. Non lo preoccupa la fatica, si accontenta di dormire sul pavimento del locale e in pochi mesi diventa cameriere. Ma la smania per il denaro lo spinge a commettere piccoli furti dagli incassi giornalieri e imbrogliare i clienti sui conti. Licenziato una volta scoperto, non si perde d’animo e fugge in Canada nel 1907, a Montreal, per lavorare nella banca di Luigi “Louis” Zarossi. Il Banco Zarossi, però, non è un istituto qualsiasi. Promette infatti ai suoi correntisti, per la maggior parte emigrati italiani, tassi di rendimento superiori al mercato (il 6% contro il 3% medio), riuscendo così a fare incetta di risparmi.
Ponzi studia, analizza e alla fine intuisce la truffa messa in piedi da Zarossi: gli alti rendimenti promessi, in realtà, non sono frutto di alcun investimento particolare, ma vengono garantiti e coperti dai nuovi clienti. Uno schema piramidale semplice e attraente che nel breve periodo consente di accumulare grosse somme di denaro, ma che nel corso del tempo è destinato a implodere. Di fronte alle richieste improvvise di liquidità dei risparmiatori e alla contemporanea diminuzione dei nuovi clienti, Luigi Zarossi scappa in Messico portando con sé il denaro rimasto. Il Banco fallisce, Ponzi cerca di rimanere a galla falsificando l’assegno di un correntista, ma viene scoperto e arrestato.
Uscito di prigione, Charles nel 1911 prova a reinventarsi dando vita a un catalogo di annunci pubblicitari suddivisi per lavori e categorie, un antesignano delle Pagine Gialle. Il progetto non prende piede, ma un elemento attira comunque l’attenzione dell’italo-americano: un’impresa spagnola, infatti, richiede maggiori delucidazioni sulla pubblicazione facendo recapitare un apposito messaggio via posta ordinaria e inserendo nella missiva un buono di risposta internazionale, affinché il ricevente possa scambiarlo con un francobollo del proprio Paese e rispondere al mittente. Ed è proprio questo particolare a incuriosire Ponzi, che fiuta l’affare e avvia la sua carriera di fuorilegge finanziario. All’epoca, a seconda del Paese di origine, i buoni postali avevano un costo inferiore rispetto a quello dei francobolli con cui potevano essere scambiati.
Afferma lo stesso Ponzi in un discorso pubblico tenuto a Boston nel 1920: “Prendo un dollaro e con il cambio di oggi ottengo 18 lire italiane che mi bastano per comprare in Italia sessanta buoni di risposta internazionali che poi converto negli Stati Uniti per 3 dollari”. L’intuizione non è sbagliata e di per sé neanche illegale (rientra nel cosiddetto arbitraggio), Charles non perde tempo e fonda la Securities Exchange Company con l’obiettivo di raccogliere i risparmi dei tanti emigrati italiani arrivati negli Stati Uniti in quegli anni e acquistare così migliaia di buoni di risposta internazionali da diversi Paesi europei, promettendo ai singoli investitori un ritorno immediato e senza rischi.
Molti si fidano di quell’uomo affabile e sorridente, e in un primo momento gli affari sembrano funzionare. Ma proprio per evitare ipotetiche speculazioni su larga scala, il volume di buoni di risposta che si possono riscuotere nelle poste statunitensi è limitato per legge. Ben presto Ponzi si rende conto di non poter più garantire alcun profitto immediato ai nuovi investitori (che nel frattempo continuano ad aumentare attirati dai facili guadagni e dal passaparola), ed è in quel momento che riaffiora in lui l’esperienza del Banco Zarossi: usare i soldi dei nuovi investitori per ripagare i vecchi. Un meccanismo semplice e temporaneamente redditizio, a patto che l’arrivo di nuovi clienti sia costante e continuo. Emigrati, poliziotti, imprenditori, tutti sembrano fidarsi dei suoi investimenti e dei facili guadagni che promette, tanto che i giornali di Boston gli dedicano articoli e copertine mentre lui ostenta i milioni guadagnati passeggiando per le vie della città con un bastone dorato.
A fine luglio del 1920 l’analista finanziario ed editorialista del Wall Street Journal Clarence Barron studia il “caso Ponzi” e ne smaschera la truffa: per garantire i guadagni promessi, l’italo-americano dovrebbe possedere 160 milioni di Buoni di risposta internazionale, ma in circolazione in tutto il mondo ve ne sono soltanto 27mila. Le somme di rendimento versate agli investitori di lunga data non possono quindi che essere garantite dal denaro portato dai nuovi clienti che decidono di fidarsi delle promesse di Ponzi Il 10 agosto gli agenti federali chiudono la Securities Exchange Company, il 13 Charles viene arrestato e a partire dal 15 le Poste statunitensi modificano i tassi di conversione, rendendo sconveniente anche a livello teorico l’arbitraggio orchestrato da Ponzi. Nel novembre 1920 viene condannato a scontare cinque anni di carcere in una prigione federale, ma verrà rilasciato dopo tre anni e sei mesi.
In pochi mesi lo schema “Ponzi-Zarossi” ha truffato 40mila persone facendo accumulare al suo attuatore una fortuna calcolata tra i 15 e i 20 milioni di dollari (250 milioni di dollari attuali). Nonostante la morte in povertà e solitudine avvenuta in un ospedale di Rio de Janeiro nel gennaio 1949, la sua intuizione truffaldina non è scomparsa con lui. Sono stati tanti, infatti, gli emuli di Ponzi, affezionati alla struttura piramidale ancorata a guadagni immediati e interessi garantiti. Tra i più celebri c’è il broker e magnate statunitense Bernard Madoff, morto lo scorso 14 aprile nel carcere federale di Butner, dove stava scontando una condanna a 150 anni.
Nato nel 1938 in un quartiere ebraico del Queens, Madoff comincia la sua attività negli anni Sessanta, investendo 5mila dollari guadagnati come bagnino nella creazione di un’agenzia di consulenza finanziaria. Grazie ai suoi modi affabili e convincenti, in pochi anni conquista la fiducia di facoltosi investitori a cui prospetta rendimenti annui fissi del 10-12% a prescindere dall’andamento del mercato. I clienti aumentano e la sua agenzia cresce. Agli inizi degli anni Ottanta fonda la Bernard L. Madoff Investment Securities e stabilisce i propri uffici al diciottesimo e al diciannovesimo piano della Lipstick Tower di Manhattan.
Alla base del suo successo si trova però l’applicazione più elementare dello schema Ponzi: i rendimenti promessi non sono altro che le quote dei nuovi clienti, mascherate da un ipotetico metodo “split-strike conversion” di cui però non rivela mai i dettagli. Al diciassettesimo piano della Lipstick Tower si trova il cuore operativo della truffa, con il centro funzionale da cui partono le lettere che attestano agli investitori i guadagni (fittizi) e i relativi rendimenti. Un meccanismo che proietta Madoff alla presidenza del Nasdaq di Wall Strett, garantendogli così un ulteriore attestato di affidabilità. Nella sua rete cadono uomini dello spettacolo (da Steven Spielberg a Kevin Bacon) e anche banche di investimento (Unicredit, Santander, Royal Bank of Scotland), per un totale di 37mila persone in 136 Paesi del mondo.
La crisi dei mutui subprime in corso tra 2007 e 2010 e le conseguenti richieste di ritirare immediatamente gli investimenti, fanno però scoppiare la bolla: la carenza di nuovi ingressi rende impossibile restituire in poco tempo gli oltre sette miliardi di dollari richiesti dai clienti. L’impero di Madoff implode e manda in fumo tra i 17 e i 20 miliardi di dollari in contante, con una perdita stimata di presunta ricchezza che secondo il New York Times sfiora i 65 miliardi.
Passano gli anni e nell’era delle criptovalute lo schema Ponzi rialza la testa ancora una volta. Nel gennaio del 2018 chiude Bitconnect, piattaforma per scambiare bitcoin dove il profitto promesso sarebbe garantito dal reclutamento di nuovi investitori, riproponendo ancora una volta, secondo le accuse, uno schema vecchio un secolo e che però non sembra tramontare mai. Che si tratti di criptovalute o di buoni di risposta internazionali, la pericolosità e l’efficacia della truffa inventata da Zarossi e perfezionata da Ponzi sta tutta nella sua semplice intuizione di base: in qualunque epoca la necessità, la speranza, la disperazione o la semplice avidità, garantiranno migliaia di vittime potenziali a chiunque prometta loro metodi magici per ottenere guadagni facili e immediati.