Domenica scorsa, durante la manifestazione “Roma torna capitale” organizzata dalla Lega all’Eur, Salvini ha parlato sul palco della presunta affluenza eccessiva di stranieri nei pronto soccorso italiani. Ha poi allargato il discorso sull’interruzione di gravidanza (Ivg): “Delle infermiere del pronto soccorso di Milano mi hanno segnalato che ci sono delle donne che si sono presentate per la sesta volta per una interruzione di gravidanza. Non entro nel merito di una scelta che compete solo alla donna. Non è compito mio né dello Stato dare lezioni di morale o di etica a chiunque, è giusto che sia la donna a scegliere per sé e per la sua vita. Però non puoi arrivare a prendere il pronto soccorso come la soluzione a uno stile di vita incivile per il 2020”.
Salvini non perde occasione di sfoggiare la sua retorica da finto moderato. Afferma che non spetta a lui entrare nel merito delle scelte della donna, però lo scorso anno partecipava come ospite d’onore al congresso delle famiglie di Verona, manifestazione dichiaratamente anti abortista, e non ha mai nascosto la sua vicinanza agli ambienti pro life. Tuttavia, Salvini si è sempre tenuto a debita distanza dalla questione dell’Ivg, rilasciando sempre dichiarazioni vaghe e a volte contraddittorie. Il 27 marzo scorso, proprio alla vigilia del congresso veronese, il leghista Alberto Stefani proponeva alla Camera un ddl per disincentivare l’aborto con proposte decisamente discutibili come l’adozione del nascituro già durante la gestazione e il riconoscimento della soggettività giuridica dell’embrione. L’allora vicepremier aveva affermato che “divorzio, aborto, parità di diritti tra donne e uomini, libertà di scelta per tutti non sono in discussione”. L’impressione è che Salvini, pur dimostrandosi vicino agli ambienti tradizionalisti, sia consapevole che sia meglio non toccare un tema così sensibile. Nei fatti il leader della Lega dimostra di non avere competenze sulla realtà dell’aborto e sulla condizione femminile in Italia. Questo atteggiamento è ancora più insidioso di uno smaccatamente anti abortista, perché aumenta la disinformazione, colpevolizza il genere femminile e finisce col demonizzare una pratica che è garantita per legge.
Quando Salvini parla di donne che affollano il pronto soccorso per abortire non si capisce cosa intenda esattamente: il pronto soccorso non è il luogo in cui si svolge l’Ivg, che tra l’altro prevede un iter spalmato su più appuntamenti: come previsto dalla legge, si deve prima ottenere un certificato medico di gravidanza (che difficilmente rilascerà il medico di pronto soccorso) e, dopo la cosiddetta pausa di riflessione di una settimana, si svolge l’operazione nel reparto di ginecologia. Magari Salvini si stava riferendo alla contraccezione di emergenza, ma qualcuno dovrebbe spiegargli che non solo non si tratta di un metodo abortivo, ma anche che non serve nessuna prescrizione medica per le maggiorenni.
Inoltre, usare i toni duri del leader della Lega è ingiustificato: secondo l’ultima relazione del ministero della Salute sull’attuazione della legge 194/78, presentata il 31 dicembre 2018 e riferita ai dati del 2017, le interruzioni di gravidanza sono in calo. Dal 1982, anno in cui si è registrato il numero massimo di aborti nel nostro Paese, sono diminuite del 65,6%. Il trend positivo è favorito, secondo il ministero, proprio dall’abolizione dell’obbligo di ricetta della cosiddetta “pillola del giorno dopo” o “dei cinque giorni dopo” per le maggiorenni. Anche il tasso di abortività (cioè il rapporto tra interruzioni di gravidanza e nati vivi per anno) è in costante diminuzione, a riprova che l’aborto non è la causa della diminuzione delle nascite del nostro Paese, come sosteneva la premessa della proposta di legge leghista e come ribadito dallo stesso Salvini.
Per quanto riguarda la nazionalità delle persone che ricorrono all’Ivg, la relazione evidenzia come il numero delle donne straniere maggiorenni e minorenni, sebbene superiore alle italiane, sia anch’esso in calo. Il decremento interessa anche le donne provenienti da quelle che il ministero definisce “aree più povere del mondo”, come dimostrano i tassi di abortività che si stanno progressivamente allineando a quelli italiani. Secondo vari studi condotti dalla sociologa Lia Lombardi, la maggiore incidenza di abortività nelle donne straniere si spiega con la condizione di precarietà che vivono in quanto migranti, rappresentata dal disagio economico e sociale, dalle difficoltà comunicative e dallo status di irregolari. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, il più frequente ricorso all’Ivg da parte delle donne straniere dipenderebbe dal minore accesso alla contraccezione e non dalla scelta di usare l’aborto come una sorta di metodo contraccettivo alternativo, come sottintende Salvini.
Inoltre, solo il 3,4% delle donne straniere che richiedono un’Ivg ha già fatto ricorso alla pratica per più di tre volte. Quindi parlare in termini allarmistici di una folla di donne che si presenterebbe in pronto soccorso per la sesta interruzione è davvero irrealistico. Tra l’altro, la relazione del ministero mette a confronto la realtà italiana con altri Paesi, evidenziando come il dato sia minore rispetto a quello complessivo (che quindi tiene conto di autoctone e straniere) di donne con 3 o più esperienze abortive in Olanda (4,7%) e Spagna (4,5%).
A questo quadro, già chiaro, si aggiunge una considerazione fondamentale: che nei Paesi del Sud del mondo manchi consapevolezza sulla pianificazione familiare e sui diritti riproduttivi è un dato di fatto, ma per questo non si possono incolpare le singole donne di condurre degli “stili di vita incivili”. Non possiamo infatti ignorare le condizioni di specifica vulnerabilità che riguardano le donne migranti, sottolineate anche dal Rapporto Mondiale sulle Migrazioni dell’OIM, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Tra queste pesano la precarietà giuridica, la maggiore esposizione allo sfruttamento sessuale e lavorativo, nonché alla violenza di genere. L’indagine dell’Iss del 2009 sul percorso nascita delle donne migranti indicava come cause della mancata contraccezione l’ignoranza in materia, le difficoltà linguistiche e culturali e la violenza domestica, ma anche la scarsa propensione dei professionisti sanitari a trattare il tema della contraccezione durante la degenza in occasione del parto: solo il 17,1% delle straniere aveva ricevuto informazioni mediche su come evitare una gravidanza.
Bisogna anche ricordare che Salvini, con l’art. 21 del suo decreto sicurezza, ha introdotto il Daspo negli ospedali, impedendo l’accesso ai presidi sanitari a chi era già stato colpito dal Daspo urbano, misura spesso applicata in modo indiscriminato nei confronti di molti migranti che faticano a regolarizzare la propria condizione a causa dello stesso decreto. Già prima dell’approvazione della normativa targata Lega, molti stranieri irregolari erano restii a presentarsi negli ospedali pubblici, nonostante per i medici vi sia “il divieto di segnalare alle autorità lo straniero irregolarmente presente nel territorio dello Stato che chiede accesso alle prestazioni sanitarie”. Per questo timore moltissime donne straniere sono reticenti nell’usufruire della sanità pubblica (contrariamente a quanto sostiene Salvini) e alcune ricorrono all’aborto clandestino (sanzionato con multe fino a 10mila euro), preferendo rischiare la vita che venire rinchiuse nei Cpr o rimpatriate.
Nelle sue dichiarazioni alla manifestazione di Roma, Salvini inoltre auspica il pagamento da parte degli stranieri dei servizi sanitari, anche nel caso dell’interruzione di gravidanza. Questo non è in contrasto solo con la legge 194 – che il leader leghista dice di non voler toccare e che garantisce l’assoluta gratuità dell’aborto –, ma anche con la legge 40 del 1998 che prevede la gratuità delle prestazioni in tema di maternità, Ivg compresa.
Il leader leghista dimostra di non conoscere la situazione dei diritti riproduttivi nel nostro Paese, specialmente quelli specifici delle migranti. Le sue parole colpevolizzano in modo subdolo le donne, che si rivolgono all’Ivg come estrema ratio e non, come ha lasciato intendere lui, come se non avessero di meglio da fare.
Di certo le difficoltà di accesso al diritto all’interruzione di gravidanza non sono imputabili al numero comunque irrisorio di donne straniere che vi ricorrono. Il vero problema è che tutte, a prescindere dalla nazionalità, devono fare i conti con un personale medico al 70% obiettore, con le sfide pratiche e con lo stigma culturale ancora associato a questa pratica, gratuita e legale per tutte da più di 40 anni.
Se davvero vogliamo ridurre il numero degli aborti, dobbiamo favorire l’accesso alla contraccezione, come dimostra l’esperienza positiva della pillola del giorno dopo, e incentivare l’educazione sessuale nelle scuole. Ma intanto la Lega a Trento ferma un progetto di educazione che va avanti da cinque anni perché promuove “l’ideologia gender”, Salvini dice che farebbe “una faccia così” se una maestra parlasse di sesso a sua figlia e l’emendamento alla manovra del 2019 che prevedeva la gratuità dei contraccettivi per titolari di protezione internazionale e richiedenti asilo è stato bocciato. In linea con le decisioni del suo partito in tutta Italia, quella di Salvini si traduce in nient’altro che un’invettiva ostile a donne e migranti – quella sì – che non brilla per civiltà nel 2020.
Foto in copertina di Antonio Masiello