Celibato sacerdotale obbligatorio e sacerdozio femminile sono questioni dibattute ormai da decenni, ma tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, in occasione del Sinodo dell’Amazzonia, si è parlato molto dell’eventualità che la Chiesa Cattolica aprisse agli uomini sposati già diaconi la possibilità di essere ordinati sacerdoti e alle donne quella di accedere al diaconato. L’assemblea vescovile voluta da papa Francesco, infatti, era rivolta in particolare alle piccole comunità cattoliche presenti in zone sperdute della foresta amazzonica: in quelle aree la mancanza di sacerdoti fa sì che l’85% dei villaggi debba rinunciare alla messa settimanale mentre alcune comunità non vedono un sacerdote per mesi o anni e sono costrette ad arrangiarsi come possono. Il fenomeno del calo delle vocazioni, del resto, non riguarda solo l’Amazzonia: secondo i dati dell’Agenzia Fides i sacerdoti sono in continua diminuzione specie in Europa e in America, mentre i diaconi permanenti (a cui è consentito sposarsi), continuano ad aumentare. Per questo, la possibilità di aprire il sacerdozio agli uomini sposati, o desiderosi di sposarsi, e alle donne – come avviene in molte confessioni protestanti – potrebbe risolvere il problema e dare nuova linfa al ministero ecclesiastico. Papa Francesco aveva mostrato una certa disponibilità al dialogo sul tema del diaconato femminile, mentre i vescovi del Sinodo si erano esposti favorevolmente su un’apertura ai sacerdoti sposati. Il Papa, però, nel documento conclusivo del Sinodo ha lasciato cadere la questione, dando prova di una mancanza di volontà da parte della Chiesa di rispondere alle problematiche sollevate da sacerdoti e fedeli.
Questa posizione risulta particolarmente anacronistica confermando un atteggiamento che vede la sessualità e il corpo, specialmente se femminile, in contrasto con l’elevazione spirituale. Si tratta di un atteggiamento difficile da comprendere anche per i cattolici praticanti, dal momento che, in entrambi i casi, non si basa su dettami espressamente previsti dai Vangeli, non attiene al messaggio spirituale e filosofico di Cristo e non è definito da un dogma. Il celibato obbligatorio dei sacerdoti è stato ufficialmente stabilito dal Concilio Lateranense IV tenutosi nel 1139 e confermato poi nel 1563 dal Concilio di Trento, anche se alcuni Padri della Chiesa come Giustino (100-163 d.C ca.) indicano che l’ascetismo sessuale era già praticato dai cristiani dei primi secoli. Inoltre i concili di Elvira (306 d.C.) e di Cartagine (390 d.C.), pur non vietando espressamente il matrimonio, richiedono ai chierici di astenersi dai rapporti coniugali in quanto “custodi della purezza” e in modo da dedicarsi pienamente alla vocazione. Nonostante questo, molti apostoli e Padri della Chiesa – compreso san Pietro, considerato il primo Papa – erano sposati, e la stessa posizione di san Paolo è suscettibile di diverse interpretazioni, dato che nella Prima lettera a Timoteo si raccomanda “che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta”. La Chiesa occidentale, però, a differenza di quella orientale, ha imposto l’obbligo di celibato come legge canonica a partire dall’esempio di Gesù in vita: dal punto di vista teologico Cristo è “sposo della Chiesa” e il sacerdote che lo impersona deve rispecchiare lo stesso tipo di unione e potersi così dedicare ai fedeli senza distrazioni o impegni legati alla coppia o alla famiglia.
Il principio dottrinale “Sacerdos alter Christus” è anche alla base di una delle argomentazioni che negano la possibilità alle donne di accedere al sacerdozio. Come si legge nella dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede Inter insigniores del 1976, infatti, le donne non potrebbero “impersonare” nella celebrazione eucaristica Gesù, che era un maschio. Altre argomentazioni presenti nel testo, poi, sono l’assenza delle donne dal Cenacolo nell’Ultima Cena e il fatto che nessuna delle seguaci di Gesù – compresa sua madre Maria – sia stata inclusa tra gli apostoli. La tesi che però viene principalmente sostenuta dalla Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 1994, con cui Giovanni Paolo II ha espresso il “no” definitivo al sacerdozio femminile, è ancora una volta la Traditio perpetuo serbata, ossia la “Tradizione della Chiesa” considerata una fonte di “diritto divino” dall’ordinamento canonico e sulla quale l’uomo non può legiferare.
Per le donne rimarrebbe quindi aperta solo la possibilità di accedere al diaconato (che esclude la possibilità di presiedere la messa), non espressamente vietato da Giovanni Paolo II. Le aperture a una maggiore partecipazione della donna, però, finora sono state molto limitate. Come scrive la teologa Serena Noceti, le affermazioni sul coinvolgimento delle donne nel servizio pastorale sono spesso vaghe “espressioni di auspicio” che mirano a individuare “settori di attività più adeguate alla figura femminile”. Inoltre le posizioni dei padri conciliari tradiscono non di rado stereotipi di genere e non riconoscono “l’influsso di una cultura patriarcale e androcentrica nella determinazione della forma delle relazioni intraecclesiali e nell’organizzazione di ruoli e funzioni”. Così, anche se oggi la Chiesa riconosce in linea teorica la parità tra donna e uomo come ribadito anche da Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Mulieris dignitatem, gli squilibri di potere dettati dal genere sono palesi e non emerge una chiara volontà di superarli. Anche papa Francesco, per ora, si è limitato a istituire una commissione di studio per il diaconato femminile e ad aprire alle donne alcune posizioni decisionali e i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato, di fatto ufficializzando la prassi già esistente di concedere alle donne di leggere le letture o svolgere alcuni servizi durante la messa.
Tutto questo scatena critiche che non arrivano solo da voci esterne alla Chiesa: fa riflettere il fatto che a chiedere un cambiamento siano anche teologi e teologhe, sacerdoti, vescovi e associazioni di donne cattoliche. Le argomentazioni portate non sono solo di tipo sociale, ma anche di ordine biblico, storico, giuridico e teologico, in dialogo e non in aperto scontro con la Chiesa. Nonostante questo, però, il Vaticano rimane sordo alle richieste di quello che lui stesso definisce “Il Popolo di Dio”. Secondo il teologo svizzero Hans Kung l’obbligo di celibato è espressione del rapporto conflittuale del clero con la sessualità ed è “in contraddizione con il Vangelo e l’antica tradizione cattolica” oltre a essere una delle cause del fenomeno degli abusi sessuali da parte dei chierici. “Gesù e Paolo sono stati sì esempio di celibato a servizio degli uomini”, scrive, “ma lasciando ai singoli la piena libertà a riguardo. Pietro e gli altri apostoli erano sposati nell’esercizio del loro ufficio. Questa rimase per molti secoli una condizione ovvia per i vescovi e i presbiteri ed è mantenuta fino a oggi in oriente anche nelle chiese unite a Roma, come in tutta l’Ortodossia, quanto meno per i preti”.
In Germania, dove il mondo cattolico è particolarmente progressista su questi temi, è il vescovo e presidente della Conferenza episcopale tedesca Georg Bätzing a dichiarare che “non sarebbe un danno per la Chiesa se ci fossero anche sacerdoti sposati” e a sostenere che “La questione delle donne nella Chiesa è la domanda più urgente che abbiamo nel futuro”. Sempre in Germania molte donne cattoliche si sono organizzate in un vero e proprio movimento per chiedere a Roma un ripensamento strutturale del ruolo della donna al di là degli schemi patriarcali. Nel 2019 è nato Maria 2.0, che ha organizzato manifestazioni e scioperi di protesta con eco mondiale, al punto che l’8 marzo 2020 dodici organizzazioni femminili internazionali hanno indetto per il mese di maggio – il mese della Madonna – lo Sciopero globale delle donne cattoliche (Catholic Women Strike). Tra i suoi obiettivi ci sono l’apertura del sacerdozio e delle posizioni decisionali alle donne, la riforma dell’insegnamento della chiesa sulla sessualità “perché rifletta la complessa realtà dell’esperienza vissuta”, una maggiore inclusività verso le categorie marginalizzate e una lotta comune agli abusi sui minori da parte del clero. “La pazienza delle donne è andata oltre ogni limite”, spiega a tal proposito la teologa, patrologa ed ex monaca benedettina Selene Zorzi, “e, se è vero che il grado di civilizzazione di una società si misura dalla condizione della donna, la Chiesa cattolica deve trovare ora un nuovo assetto”. Tutto questo è sostenuto anche da argomentazioni storiche e teologiche come quelle portate dalla teologa Cloe Taddei nel suo libro Anche i cagnolini. L’ordinazione delle donne nella Chiesa cattolica. La studiosa ripercorre e smonta passo passo le tesi a sostegno dell’esclusione femminile, analizza il ruolo delle donne nelle prime comunità cristiane e l’antico rito di ordinazione delle diacone nella Chiesa bizantina, ma soprattutto sottolinea come Gesù, con la sua guida basata sul mettersi al servizio del prossimo e il suo messaggio rivolto all’umanità tutta senza distinzioni di sorta, abbia di fatto sovvertito le logiche patriarcali piuttosto che incentivarle.
Il punto dunque è che tanto l’obbligo di celibato quanto il ruolo marginale femminile all’interno della Chiesa cattolica risultano in aperto contrasto con lo spirito di carità e di amore verso il prossimo alla base del pensiero cristiano, rendendo la posizione del Vaticano sempre più incoerente e difficile da sostenere. Come fa notare il vescovo irlandese Willie Walsh, se per alcuni sacerdoti il celibato è un valore, altri faticano a vivere soli, e questo influisce sul loro ruolo di guide spirituali e provoca “isolamento emotivo e psicologico”. Da qui fenomeni come l’alcolismo e la depressione tra i sacerdoti, gli abusi e il problema dei figli “illegittimi” dei preti. La Chiesa quindi appare sorda davanti alla richiesta di riconoscere la pari dignità tra esseri umani e la necessità umana dei propri ministri di essere amati e creare una famiglia, valori di cui essa stessa dovrebbe essere promotrice. Una posizione che la fa apparire sempre distante da buona parte dell’opinione pubblica e anche da un numero sempre più ampio dei suoi stessi fedeli.