C’è una scena nella serie TV The young pope di Paolo Sorrentino in cui il pontefice interpretato da Jude Law spiega quale sia il segreto per ottenere sempre più prestigio: nascondersi. Fa gli esempi di Banksy, Salinger, Mina e dei Daft Punk, sottolineando l’importanza dell’assenza e del potere che ne deriva. Oggi, in Ucraina, mentre la Russia continua a radere al suolo una nazione e Unione Europea e Stati Uniti supportano Kiev attraverso le sanzioni contro Mosca e l’invio di armamenti e fondi al governo del Presidente Volodymyr Zelensky, la guerra sta andando a vantaggio di chi ha deciso di agire nell’ombra, approfittando delle ripercussioni di questo conflitto per consolidare il suo potere politico ed economico: la Cina.
A Pechino non hanno bisogno di sporcarsi le mani in Ucraina per smuovere gli equilibri geopolitici. Se l’azione di Vladimir Putin è animalesca, brutale nella pianificazione e nei risvolti, la linea strategica del Presidente cinese Xi Jinping è lucida. Così diversi, ma così vicini: la partnership commerciale tra le due potenze era solida prima dell’invasione russa in Ucraina e non si è sfaldata nemmeno dopo il 24 febbraio. Poco prima dell’inizio dell’azione militare di Putin, Russia e Cina hanno firmato un accordo per la vendita di 100 milioni di tonnellate di carbone, per un valore di oltre 20 miliardi di dollari, con l’intenzione di arrivare a 250 nel 2024. Alcuni report dell’intelligence statunitense sostengono anche che la Russia abbia atteso la fine delle Olimpiadi invernali di Pechino per invadere l’Ucraina, così da non danneggiare mediaticamente l’evento del suo alleato. Un fatto è certo: dopo l’inizio delle ostilità, la Cina ha dialogato con ambasciatori statunitensi e con alte cariche internazionali, ma ha dimostrato più volte di parteggiare con la Russia.
Il 14 marzo si è tenuto in un albergo di Roma l’incontro tra il consigliere alla Sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jack Sullivan e il capo della diplomazia del Partito comunista cinese Yang Jiechi. Dopo un colloquio durato sette ore, dalla Casa Bianca hanno spiegato che i due Paesi avrebbero mantenuto i contatti, ma che qualsiasi tipo di supporto cinese alla Russia sarebbe risultato poco gradito. Poco più che convenevoli, visto che già il 26 febbraio la Cina si era astenuta (insieme a India ed Emirati Arabi Uniti) durante il voto sulla risoluzione dell’Onu che chiedeva di fermare le operazioni militari in Ucraina. Non avendo sortito gli effetti desiderati, il mese dopo l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si è riunita per chiedere “l’immediata cessazione delle ostilità da parte della Russia, l’accesso umanitario e la protezione dei civili, del personale medico, dei giornalisti e degli operatori umanitari”. Anche in quell’occasione, la Cina si è astenuta.
Quando il 7 aprile si è votato per sospendere la Russia dal Consiglio dei diritti umani di Ginevra, la Cina ha espresso voto contrario. Queste votazioni hanno rimarcato ancor di più il legame tra Russia e Cina, e dunque è sbagliato ricondurre le vicende attuali a una riesumazione della Guerra Fredda, non essendo soltanto un conflitto tra due blocchi – quello Atlantico a guida statunitense e quello che all’epoca era sovietico – ma uno scacchiere politico nel quale la presenza più ingombrante, quella cinese, trarrà vantaggio più di tutti dalla guerra in Ucraina. In primis perché la Russia si indebolirà per lo sforzo bellico e per le sanzioni ricevute in questi mesi, e poi perché gli affanni e i sacrifici dell’Occidente, soprattutto dell’Unione europea, segneranno comunque una probabile recessione economica.
Ci sono poi forti sospetti che la Cina fosse già stata informata con un discreto anticipo dei piani di invasione russi in Ucraina. Non a caso, quando sono arrivate le sanzioni contro la Russia e diversi Stati, compresa l’Italia, si sono mossi per cercare alternative alla fornitura di gas russo, la Cina si è mossa immediatamente per dare sostegno al suo partner. Si è giunti quindi a un accordo tra Gazprom, colosso energetico russo statale con il monopolio dell’esportazione di gas, con la compagnia energetica cinese Cnpc per la progettazione del gasdotto Soyuz Vostok, che attraverso la Mongolia trasporterà in Cina fino a 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno. A questo va aggiunto il gasdotto Power of Siberia, che già dal 2019 fornisce gas alla Cina. Il legame tra le due potenze è stato ulteriormente rafforzato dalle parole di Le Yucheng, viceministro degli Esteri cinese che ha incontrato a Pechino l’ambasciatore russo Andrey Denisov: “Non importa come la situazione cambierà, la Cina rafforzerà la cooperazione strategica con la Russia per promuovere un nuovo modello di relazioni internazionali e una comunità con un futuro condiviso per il genere umano”.
Un altro punto chiave nella strategia cinese riguarda Taiwan. La nazione insulare è riconosciuta soltanto da 14 Paesi nel mondo, con la Cina che non ha mai approvato la sua indipendenza, considerando l’isola una provincia che prima o poi verrà riannessa. La guerra in Ucraina serve alla Cina anche per spostare l’attenzione su un altro versante, mentre vengono avviate esercitazioni militari e aerei militari cinesi violano lo spazio aereo taiwanese. Non è una faccenda locale, considerando che gli Stati Uniti hanno preso degli impegni per la difesa di Taiwan in caso di attacco, come confermato dalle parole di Biden alle quali sono seguite quelle di Pechino, che suonano come una minaccia: “Su Taiwan nessun margine per compromessi”.
Con gli Stati Uniti impegnati a sostenere l’Ucraina con stanziamenti in denaro e con l’invio di armi, la Cina potrebbe approfittarne ed emulare l’invasione di Putin per rompere ancor di più gli equilibri geopolitici con un’azione militare contro Taiwan, per annetterla. Perché l’interesse di Pechino per la guerra in Ucraina è relativo: non le importa la sorte del Donbass o dell’intera nazione, e nemmeno la prospettiva in seguito a una vittoria o a una sconfitta dei russi. Ciò che riguarda la propria politica è invece avere un intero Pianeta destabilizzato per poter attuare i propri piani in silenzio, lontano dal clamore mediatico. Come scritto in un editoriale dall’analista geopolitico Dario Fabbri, volto di La7 per la guerra in Ucraina, “l’estendersi delle ostilità distrae grandemente gli Stati Uniti, li allontana dall’Indopacifico, ovvero dal quadrante più strategico per Pechino”.
Fabbri ribadisce anche i vantaggi che la Cina trarrà dall’indebolimento russo: “Nei prossimi mesi, a fronte di una parziale chiusura da parte dell’Occidente, Putin volerà in Cina per piazzare quegli idrocarburi, oltre al grano, di cui vive il suo Paese”. La Cina dunque non sta agendo da diretta protagonista durante l’attuale conflitto in Ucraina, ma sta seminando quel che presto raccoglierà in termine di potere d’acquisto, posizioni che le permettono di avere maggiore potere di trattativa con diversi Stati e per eventuali azioni militari ai suoi confini e nelle zone limitrofe, come con Taiwan. Il tutto agendo dietro le quinte. La Cina non si vede, non si sente, è un’entità intangibile che ha allargato a dismisura il suo potere. E così nel silenzio intreccia i suoi legami in Africa e Asia con l’intento di creare una nuova Via della seta attraverso l’invio di soldati e funzionari in diversi Stati del continente.
Fa però parte della filosofia cinese, tanto nella politica interna che estera, mantenere il più possibile basso il livello del clamore. Se il male perpetrato dalla Russia è più viscerale, quello della Cina si riconduce a un piano ragionato, a un’analisi dei pro e dei contro. È un’azienda-dittatura che vive per accrescere il suo potere di mercato a costo di sostenere assassini e di allontanarsi da qualsiasi forma anche solo lontanamente vicina alla democrazia. Il cinismo e il potere di sviare l’attenzione fa sì che sia proprio la Cina a essere la seria candidata a vincere una guerra che non la riguarda direttamente, ma che per vie traverse la sta rafforzando a scapito dell’Occidente.