Aggiornamento pubblicato il 3 aprile 2019 alle ore 12:35: Nella sentenza di annullamento del divieto di dimora a Riace, la Cassazione ha scritto che non risultano prove che dimostrino che Domenico Lucano abbia assegnato alcuni appalti senza rispettare le procedure corrette. Secondo la Cassazione le accuse di truffa mosse a Mimmo Lucano dai magistrati calabresi sono basate su argomentazioni contraddittorie e illogiche. Non ci sono evidenze nemmeno a sostegno dei presunti matrimoni di comodo che il sindaco sospeso avrebbe organizzato per favorire l’immigrazione clandestina. Ci sono invece elementi di “gravità indiziaria” del fatto che Lucano abbia favorito la permanenza in Italia della sua compagna, ma a questo riguardo è necessario considerare la relazione affettiva che lega i due.
Aggiornamento pubblicato il 2 ottobre 2018 alle ore 11:13. La Guardia di finanza ha arrestato e posto ai domiciliari il sindaco di Riace, Domenico Lucano, con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e illeciti nell’affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. L’arresto è stato fatto in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Locri su richiesta della Procura della Repubblica. Sono cadute tutte le contestazioni più gravi inizialmente ipotizzate dalla procura di Locri, fra cui malversazione, truffa ai danni dello Stato e concussione, e in un passaggio del provvedimento del gip di Locri si legge che “La gestione dei fondi è stata magari disordinata, ma non ci sono illeciti e nessuno ha mai intascato un centesimo.” Al sindaco e alla compagna, Tesfahun Lemlem, destinataria di un divieto di dimora, viene contestato di aver forzato le procedure per permettere ad alcune ragazze di restare in Italia, attraverso matrimoni di comodo. Per il momento non si sa quanti siano gli episodi contestati.
È il primo luglio del 1998 quando un barcone carico di curdi arriva sulle coste calabresi a pochi chilometri da Riace. Scappano da guerre e persecuzioni che vanno avanti da decenni, ci sono donne, bambini, anziani. Il sindaco di Riace Domenico Lucano, detto Mimmo, è tra i primi ad accoglierli. Insieme alla Croce Rossa e ad alcuni compaesani si adopera nella distribuzione di coperte, cibo e nella ricerca di un luogo dove portare queste persone stremate. Vengono così trasferite nella Casa del pellegrino, un rifugio del paese gestito da un’associazione religiosa. La data di quello sbarco è ancora oggi impressa nella memoria collettiva. Non tanto perché l’arrivo di migranti fosse considerata una notizia: sebbene oggi il governo parli degli sbarchi come di un’emergenza degli ultimi anni causata dai “buonisti”, nella realtà dei fatti i numeri di venti anni fa non si discostano da quelli odierni. Nel 1998 ci sono stati oltre 38mila arrivi di immigrati in Italia – nei primi sei mesi del 2018 siamo a 16mila. Se ancora oggi non ci si è dimenticati di quell’evento è, piuttosto, perché è proprio a partire da lì che è nato e si è sviluppato il più importante modello di accoglienza locale italiano.
Mimmo Lucano oggi è il sindaco di Riace, e nel 2016 è stato inserito da Fortune nella classifica delle 50 persone più influenti al mondo. È lui il regista del modello Riace, che da quel 1998 a oggi ha dimostrato come l’accoglienza e, soprattutto, l’integrazione siano possibili. A pochi mesi dallo sbarco, Lucano fonda Città futura, realtà che sin dall’inizio si è impegnata nell’accoglienza degli immigrati stranieri facilitando il loro coinvolgimento nella vita locale, tramite il lavoro e l’istruzione. Oltre a questo, l’associazione ha ridato vita a un paese ormai spopolato, attraverso la promozione di attività economiche e turistiche. Riace, ai tempi, era infatti una città semi-fantasma. “Le case erano vuote e l’economia locale era paralizzata,” spiega Lucano. Da lì la scelta di mettere a disposizione degli immigrati le decine di abitazioni abbandonate dai proprietari, così da ripopolare il paese e farlo ripartire economicamente. Nel 1998 gli abitanti di Riace erano 900, oggi sono oltre duemila: la popolazione è più che raddoppiata, e se di stranieri se ne contano circa 400, i restanti nuovi arrivati sono cittadini italiani che hanno scelto di tornare in un villaggio che proprio grazie all’integrazione è stato capace di ripartire, salvandosi dalla deriva a cui era destinato.
Camminando per Riace è un susseguirsi di botteghe, attività, iniziative fondate sull’inclusione. C’è il laboratorio del vetro e del rame, dove eritrei e italiani lavorano fianco a fianco ridando linfa all’artigianato locale, o quelli del legno, della ceramica e della lana. Altri migranti sfruttano la conoscenza della lingua per fare da traduttori e mediatori culturali, mentre anche la manutenzione delle strade, delle aree verdi e la gestione dei rifiuti è in mano a un team multietnico. Se molte iniziative di questo tipo in giro per l’Italia mascherano forme di sfruttamento, chiedendo agli immigrati un lavoro “volontario” e non retribuito, a Riace il lavoro è tale a tutti gli effetti, stipendiato. Il team del sindaco Lucano ha infatti messo in piedi un sistema alternativo per utilizzare i fondi stanziati dal governo per l’accoglienza dei rifugiati. Sono stati creati due strumenti finanziari ad hoc, attraverso cui superare l’approccio meramente assistenzialista dell’accoglienza. Le “borse lavoro” costituiscono una paga fissa versata dall’amministrazione comunale alle cooperative che a loro volta la girano alle persone immigrate impiegate nelle botteghe da loro gestite, sotto forma di salario. I “bonus” sono invece una sorta di coupon spendibili sul territorio comunale, così da dare potere di acquisto agli immigrati e allo stesso tempo stimolare i consumi e dunque l’economia locale. Tutto questo è stato reso possibile grazie alla testardaggine di Mimmo Lucano, oggi al terzo mandato da sindaco, e allo sforzo quotidiano delle persone accanto a lui. Grazie alla validità del modello di accoglienza e al successo che già stava mostrando nelle sue prime fasi, il governo italiano nei primi anni duemila si è convinto a concedere un programma di finanziamento all’amministrazione di Riace. È così che si è passati in breve tempo da un contesto in cui le scuole rischiavano di chiudere a uno in cui il flusso di studenti tornava a crescere. Da un deserto economico dove l’artigianato locale stava scomparendo a un centro lavorativo sempre più dinamico. Da una terra desolata e caratterizzata da case vuote e decadenti al ripopolamento di interi isolati, che hanno restituito un’anima al villaggio.
Il modello Riace fa parte del sistema Sprar (Sistema nazionale per richiedenti asilo e rifugiati). L’accoglienza in Italia opera su due livelli: c’è il sistema degli hotspot e dei Cas (Centri di accoglienza straordinaria), nati per sopperire alla mancanza di posti nelle strutture ordinarie di accoglienza o nei servizi predisposti dagli enti locali. Questa fase è gestita dalle prefetture locali, che seguono le direttive del Ministero dell’Interno. La seconda fase di accoglienza è invece quella relativa al sistema Sprar, una forma unicamente italiana basata sull’adesione volontaria dei Comuni a progetti di accoglienza sul territorio. Il modello Riace fa parte di questo secondo livello, sebbene non sia l’unico: i dati di luglio evidenziano che oltre 1200 comuni italiani hanno aderito al sistema con diversi progetti. Quella di Riace è però senza dubbio una delle realtà più strutturate ed è anche per questo che nel corso degli anni ha fatto il giro del mondo. Papa Francesco, qualche tempo fa, ha lodato il sindaco Lucano esprimendo “ammirazione e gratitudine per il suo operato intelligente e coraggioso a favore dei nostri fratelli e sorelle rifugiati”. Nel 2009 in paese è arrivato il regista Wim Wenders, che ha girato un documentario sulla vita del villaggio e durante una cerimonia a Berlino ha dichiarato: “La vera utopia non è la caduta del muro, ma quello che è stato realizzato in alcun paesi della Calabria, Riace in testa”.
Oggi l’ingresso nel Comune è segnato da un cartello: “Benvenuti a Riace, città dell’accoglienza”. Una capitale dell’inclusione che, sotto gli attacchi ripetuti della politica e della burocrazia, ha però rischiato più volte di smettere di essere tale. Prima ci si è messa la criminalità organizzata locale: l’auto del sindaco bruciata, la porta del ristorante gestito dalla cooperativa colpita con proiettili, fine destinata anche all’ingresso della sede di Città futura. Poi le intimidazioni velate della politica, su tutte quelle del ministro dell’Interno, Matteo Salvini: “Per me il sindaco di Riace è uno zero,” ha dichiarato a giugno. Ma i veri problemi hanno riguardato la questione dei fondi. Da anni, infatti, i soldi del programma di finanziamento governativo non arrivano nelle casse dell’amministrazione locale e le attività vanno avanti a credito. “Dal maggio 2016 non riceviamo un euro dalla Prefettura, per lo Sprar invece non arrivano fondi da un anno,” ha spiegato Mimmo Lucano. Senza quei fondi, c’è il rischio che finiscano in strada 165 rifugiati e circa 80 operatori. Altri problemi potrebbero poi riguardare anche i cittadini – italiani – di Riace che hanno fornito beni, prevalentemente alimentari, e da più di un anno non si vedono pagato il credito accumulato, a causa proprio del blocco dei finanziamenti.
Tutto nasce da questioni burocratiche. Nel 2016 un ispettore della Prefettura di Reggio Calabria compila una relazione sul modello di accoglienza del paese, dando una valutazione negativa per criticità negli aspetti amministrativi e organizzativi. È in quel momento che inizia la crisi di Riace, che passa dal blocco dei finanziamenti e dall’iscrizione del sindaco nel registro degli indagati per abuso d’ufficio, concussione e truffa aggravata. Si parla di errori nella rendicontazione delle attività di accoglienza e si contestano le modalità di erogazione dei soldi agli abitanti stranieri del paese – il sistema delle borse lavoro e dei bonus. Eppure è la stessa Prefettura di Reggio Calabria che in due ispezioni successive – datate inizio 2017 ma diffuse solo nel febbraio del 2018 – ribalta la sua relazione precedente. “Si ritiene che l’esperienza di Riace sia importante per la Calabria e segno distintivo di quelle buone pratiche che possono far parlare bene della regione,” è scritto nelle conclusioni, dove si richiede anche il versamento all’amministrazione locale degli arretrati in acconto. Negli ultimi mesi a Riace è arrivata Ada Colau, sindaco di Barcellona, ed è arrivato anche Roberto Saviano, che ha sottolineato l’importanza di tenere in vita un sistema che ha rivelato il valore dell’accoglienza. Li hanno seguiti Luigi de Magistris, Laura Boldrini, Pippo Civati, e anche la Rai, che ha girato qui una serie tv da mandare in prima serata, poi sospesa. Il motivo è che “7-8 milioni di persone avrebbero visto che l’integrazione è possibile,” spiega Lucano, e questo non va bene. Chi non si è visto a Riace è invece il governo: né Matteo Salvini, che ha detto che si recherà a Riace solo quando cambierà sindaco, né il ministro del Lavoro Luigi di Maio. E, ovviamente, non si sono visti i finanziamenti, che restano tuttora bloccati. È per questo che Mimmo Lucano a inizio agosto ha intrapreso uno sciopero della fame, con i riflettori mediatici e istituzionali che sono tornati ad accendersi sul paesino della Locride. A fine agosto qualcosa sembra essersi mosso: “Da Roma ci hanno detto che presto i fondi per i progetti potrebbero essere sbloccati,” ha esultato Lucano. Salvini ha però gelato l’entusiasmo, dichiarando di non saperne nulla.
La sensazione è che il processo a Riace sia un processo all’accoglienza che funziona. Difficile da affiancare alla dialettica del “Mandiamoli a casa loro”, degli immigrati che delinquono e che vengono in Italia a far nulla e a lamentarsi per il wi-fi. Da un lato ci sono le immagini e i racconti di una realtà del Sud Italia rigenerata proprio grazie all’impegno e all’attivismo dei migranti, dall’altro i fondi bloccati, le relazioni negative sbandierate e quelle positive tenute nascoste per oltre un anno. “È lecito ipotizzare che il definanziamento faccia parte di una precisa strategia politica tesa a demonizzare un modello di accoglienza, che contraddice con fatti e risultati riconosciuti a livello internazionale le quotidiane prediche di certa politica,” ha tuonato il segretario della Camera del Lavoro di Reggio Calabria – Locri, Gregorio Pititto. Il Vice Presidente dell’Asgi, Gianfranco Schiavone, analizzando le carte con cui la Prefettura di Reggio Calabria ha contestato il sistema Riace dice: “La nostra opinione è che le osservazioni critiche che a questo progetto vengono fatte siano di minimo rilievo. Sono osservazioni di carattere procedurale e formale, che esistono, ma che non hanno nulla a che vedere con la qualità del servizio”. Eppure, piccoli vizi procedurali sono stati sufficienti per bloccare l’erogazione dei fondi e nonostante le successive relazioni positive e lo sblocco di alcune tranches – l’ultima avvenuta a fine agosto – i soldi continuano a non arrivare. La sezione di Catanzaro di Magistratura Democratica, intanto, ha smontato le criticità del modello Riace sollevate nel 2016 dalla Prefettura.
Mentre si attende l’esito del processo a Mimmo Lucano e l’invio dei fondi con cui si potrà tornare a pagare chi nell’ultimo anno ha lavorato a credito, il sistema di accoglienza di Riace non si ferma. “Noi continuiamo a garantire assistenza, scuole, laboratori, quest’anno abbiamo persino inaugurato la fattoria didattica,” spiega il sindaco. Nel corso degli anni Riace ha accolto oltre 6mila persone da venti Paesi diversi, che hanno dato un contributo alla rinascita del villaggio. Lo stress però è tanto, a volte viene il desiderio di mollare tutto. Ma ancora oggi, forse il momento più duro della storia recente del villaggio, sembra che sia la voglia di resistenza a prevalere. “In Italia è in atto una deriva di umanità,” ha detto di recente Mimmo Lucano. Quella delle navi tenute in mare per giorni, con bambini, donne e malati a bordo; o delle fake news istituzionali per alimentare il clima d’odio. In questo contesto cupo, Riace è un’isola felice, un modello da emulare e che non può scomparire. Foto in copertina di Gianfranco Ferraro