Riace era un miracolo. Ora è un paese fantasma.
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Case disabitate, botteghe chiuse, strade deserte e tanto silenzio. Gli ultimi giorni del 2018 per Riace sono stati un déjà-vu, un salto indietro di vent’anni a quando il paese era un piccolo borgo fantasma che si confondeva tra i tanti altri villaggi calabresi caduti in disgrazia.

La Calabria detiene il record nazionale negativo di nascite e ogni anno 10mila persone lasciano la regione: nei prossimi 50 anni saranno in 500mila ad averla abbandonata – circa il 25% della popolazione attuale. L’emigrazione non è un fatto nuovo, quanto piuttosto una costante del secondo dopoguerra. La diretta conseguenza è stata che con il passare del tempo molti villaggi dell’entroterra, centri dell’agricoltura e dell’artigianato locale, si sono trasformati in cittadelle fantasma. Dissesto idrogeologico e terremoti, ricorrenti in questa terra sfortunata, hanno fatto il resto. Questi paesi oggi tornano a vivere solo per qualche giorno all’anno, in occasione delle feste tradizionali, dei matrimoni e dei funerali. Per il resto sono gusci vuoti.

La Calabria in due scatti del progetto di ricerca visuale Racconti dallo Stretto (raccontidallostretto.it)

Gli esempi sono tanti. Laino Castello, disabitato dal 1982; Nicastrello, che ha progressivamente perso i suoi abitanti a partire dagli anni Sessanta; e poi Roghudi, Cirella, Cavallerizzo e molti altri. Alcune realtà stanno tentato di invertire questa rotta di desertificazione demografica: è il caso di Cleto, in provincia di Cosenza, dove un gruppo di ragazzi ha scelto di resistere e si adopera per ridare linfa, soprattutto attraverso eventi culturali, sportivi e gastronomici, a un villaggio che stava rischiando di scomparire. O Badolato, paese messo in vendita oltre trent’anni fa e oggi rinato grazie anche alla presenza straniera. Ma l’esempio perfetto di una rinascita che funziona, quello che ha fatto storia e che costituisce un modello anche a livello internazionale, è Riace. Trasformatosi da villaggio con poche migliaia di abitanti a uno schieramento di case vuote negli anni Novanta, il paese è tornato a vivere grazie alle politiche di accoglienza nei confronti degli immigrati portate avanti dal sindaco Mimmo Lucano. Anche l’economia locale, vent’anni fa praticamente ridotta a zero, si è rimessa in moto negli anni Duemila: botteghe, ristoranti e cooperative del posto hanno assunto quegli stessi stranieri che hanno contribuito al ripopolamento del paese in una vera e propria rivoluzione economico-sociale per il territorio.

Riace è rinata, Wim Wenders è andato in paese a girare un film, Fortune ha inserito il sindaco Mimmo Lucano tra le persone più influenti del mondo e un po’ in tutta Italia si è provato a replicare un modello di accoglienza che ha dimostrato di funzionare. Poi è arrivato Matteo Salvini. L’esistenza di un sistema di integrazione che dimostrasse che non solo la convivenza tra italiani e migranti è possibile, ma che anzi questi ultimi sono realmente una risorsa da valorizzare piuttosto che da discriminare, non compatibile con la nuova Italia del mandiamoli a casa loro e dei porti chiusi. Ed è così che un’inchiesta giudiziaria su alcune presunte irregolarità nell’affidamento dei servizi del paese e nella rendicontazione delle spese si è trasformata nell’arma in mano al ministero dell’Interno con cui cancellare dalla geografia italiana un modello che ha fatto accademia in tutto il mondo.

A ottobre Mimmo Lucano è stato arrestato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per aver affidato la gestione della raccolta rifiuti a due cooperative del posto che impiegavano immigrati senza passare da una gara d’appalto. Poi è arrivata la scarcerazione, accompagnata però dal divieto di tornare a Riace, un vero e proprio esilio. I pm hanno sottolineato come “A Riace, nonostante una gestione assai disordinata della rendicontazione dei fondi, i servizi sono stati sempre erogati, nessuno ha messo in tasca un centesimo e non ci sono stati illeciti”, ma negli ultimi giorni la Procura ha contestato al sindaco l’associazione per delinquere, affermando che “il sistema Riace, divenuto negli anni un modello, nasconderebbe in realtà un’associazione criminale, che avrebbe commesso ogni genere di illecito”.

Che l’inchiesta ai danni di Riace avesse un retrogusto politico lo sostenevano in molti già da tempo e il fatto che una parte del mondo politico, così come la società civile, abbia preso le difese del sindaco calabrese ne è una prova: le decine di manifestazioni e presidi di solidarietà nelle piazze italiane; le centinaia di persone che la notte di Capodanno, da tutta Italia e perfino dall’Europa, si sono recate in paese per stare al fianco dei suoi abitanti e dei commercianti; il sindaco di Milano, Beppe Sala, che ha sottolineato che “Lucano ha dimostrato come le migrazioni se gestite nel modo corretto possano essere una risorsa per il rilancio e la rinascita delle comunità locali”, approvando una mozione in Comune per conferirgli la cittadinanza onoraria nel capoluogo lombardo; la vicinanza del consiglio comunale di Bologna, con la preoccupazione “per le strumentalizzazioni propagandistiche seguite alla vicenda dell’arresto del sindaco di Riace”; e poi l’Onu, Saviano e perfino Sgarbi e Giovanardi che hanno espresso sdegno per quanto avvenuto nel paesino calabrese. Mentre un’Italia alternativa a quella dell’aiutiamoli a casa loro si mobilitava, la politica di governo metteva il dito nella piaga.

Una delle manifestazioni in favore di Domenico Lucano il giorno del suo arresto, Roma, 2 ottobre 2018

A novembre è stato approvato il decreto sicurezza di Matteo Salvini, che tra le altre cose ridimensiona il sistema di seconda accoglienza Sprar, finalizzato all’integrazione grazie a percorsi di studio e programmi di inclusione lavorativa – e di cui faceva parte, tra gli altri paesi coinvolti, proprio Riace. Centinaia di persone incluse nei circuiti dell’accoglienza si sono ritrovate in mezzo alla strada, a conferma che più che una lotta garantista contro gli illeciti di ogni tipo, l’accanimento governativo sulla vicenda Riace fa parte di un disegno più ampio di demolizione del sistema italiano dell’accoglienza che funziona. Tra le tante pecche della gestione italiana dei migranti, infatti, lo Sprar costituisce un’isola felice, un modello di inclusione studiato anche all’estero. La tassa sui money transfer, l’esclusione degli immigrati regolarmente residenti in Italia dai circuiti del reddito di cittadinanza, l’abolizione della carta famiglia per gli extra-comunitari, le discussioni recenti sull’introduzione di una tassa sul volontariato, sono stati poi ulteriori capitoli dell’operazione di criminalizzazione dello straniero portata avanti dal governo gialloverde al fianco della crociata anti-Riace.

Gli effetti di questo caos giudiziario-istituzionale, di una filosofia della “disaccoglienza” e dell’esclusione divenuta ideologia di Stato, hanno demolito la nuova Riace. Il sindaco non è più in città, mentre una buona parte degli abitanti del paese – immigrati regolari – è stata trasferita altrove. Le botteghe, i servizi ecologici, le cooperative si sono trovate da un giorno all’altro senza manodopera: gli esercizi commerciali hanno oggi le serrande abbassate, i prodotti restano invenduti nei retrobottega, quel viavai di turismo solidale che faceva la spola a Riace si è interrotto e a rimetterci, in fin dei conti, sono stati anche quei negozianti e quei cooperanti italiani che nell’ultimo ventennio avevano contribuito in modo virtuoso alla sostenibilità del sistema. In ogni bottega, infatti, lavoravano un migrante e un riacese, a dimostrazione che le opportunità offerte da questo modello non andavano solo a beneficio degli stranieri, ma anche degli italiani del luogo.

L’energia di Riace si è trasformata d’improvviso in quell’apatia comune a tanti altri villaggi del sud Italia. Chi aveva messo le radici nel paese, raggiungendo un equilibrio economico e sociale grazie al lavoro e alle reti relazionali costruite in questi anni, si è trovato d’improvviso strappato dalla propria casa per la sola colpa di essere straniero. Come nel caso di Ahmed, ragazzino siriano che frequentava la scuola del paese e aveva lì i suoi amici e che ora è stato trasferito in una nuova città, dove il suo percorso di integrazione dovrà ricominciare da capo. Come lui, tanti altri ragazzini hanno dovuto lasciare il villaggio negli scorsi giorni, tanto che la scuola è stata chiusa per il numero ormai insufficiente di studenti.

Riace, 2017

Come spiega un cittadino di Riace a Repubblica, “Oggi Riace è abitata da poche persone, perlopiù anziane, e ricorda sempre più la Riace di prima, quando ancora doveva iniziare l’esperienza dell’accoglienza”. Da villaggio globale, oggi il piccolo centro calabrese si sta trasformando nuovamente in villaggio fantasma, da cui vengono espulsi gli immigrati qui residenti da lungo tempo, ma insieme quegli italiani che hanno lavorato fino a ora nell’ambito dell’accoglienza e che da qualche settimana, grazie al Salvini-pensiero, si ritrovano senza un’occupazione. “Riace era un presepe, con un messaggio anche estetico bellissimo”, spiega Mimmo Lucano. “Adesso invece è il silenzio, il vuoto. Che cosa farà lo Stato in una terra dove è difficilissimo trovare delle soluzioni per il futuro?”. Quell’abbandono in cui sta rischiando di cadere Riace rischia infatti di portarsi dietro conseguenze tragiche.  “L’abbandono crea zone franche per la criminalità,” sottolinea Vito Teti, professore di Antropologia culturale dell’Unical. “La capacità di costruire un nesso positivo tra spopolamento, immigrazione e accoglienza rappresentata dalla figura di Lucano e dal modello Riace riportano alla ribalta una terra spesso marginalizzata, a torto, che questa volta diventa metafora di qualcosa di estremamente positivo, di veramente antagonista”.

Oggi a spingere nella direzione contraria è la personale guerra di Salvini allo straniero, all’integrazione, all’accoglienza, accompagnata dalla totale noncuranza rispetto a quella che è una delle principali problematiche italiane: lo spopolamento del Mezzogiorno. Mentre si smantella Riace e si rischia di mandare nuovamente in disgrazia villaggi che proprio grazie alla presenza di stranieri sono stati in grado di rinascere, ecco che sembrano rivelate le vere intenzioni di Salvini e di chi ne segue il pensiero, al di là dei tornaconti elettorali: Prima gli italiani, ma soprattutto Prima il nord.

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