Come gli anni '10 hanno cambiato la nostra vita

La fine di una decade è un passaggio importante perché ci dà la possibilità di guardare al passato con una prospettiva più lunga rispetto all’usuale bilancio di fine anno. Ogni decennio, dopo la sua conclusione, è stato analizzato e riletto da studiosi ed esperti allo scopo di trovarvi una chiave di lettura unitaria, una peculiarità che ne definisse l’unicità. Dal 2010 a oggi abbiamo assistito a cambiamenti che hanno trasformato il linguaggio politico e il medium attraverso cui veniva veicolato; abbiamo visto l’ascesa di populismi retrogradi, ma anche l’avanzamento dei diritti civili in molti Paesi; siamo stati testimoni di movimenti, rivoluzioni e avanzamenti tecnologici che hanno cambiato la società per come la conoscevamo – e che probabilmente continueranno a farlo in futuro.

Questi, secondo noi, sono i 10 cambiamenti più rilevanti del decennio che si appresta a finire.

Il populismo e i movimenti anti-establishment

Il populismo, scrive il filosofo Slavoj Žižek, non è un movimento politico specifico, ma il politico nella sua forma più pura. L’ascesa dei populismi è un fenomeno complesso, un processo che ha interessato tutto il mondo, dagli Stati Uniti di Trump all’Ungheria di Orbán, e che ha sconvolto profondamente il nostro modo di intendere la politica. Figlio della crisi economica iniziata nel 2008 e ancor più dell’austerity che ha eroso il tessuto sociale delle classi inferiori, il populismo è stato spesso associato alla cosiddetta “fine delle ideologie”, anche se è innegabile che sia esso stesso un’ideologia che fa leva sul conflitto di classe, sull’insoddisfazione popolare e sulla crisi economica, insistendo sulla paura nei confronti di un “nemico” esterno, dal migrante all’Unione europea. La nascita di questo fenomeno in Italia è molto discussa: alcuni sostengono che il primo populista sia stato Silvio Berlusconi, anche se il momento più decisivo di questo fenomeno è rappresentato dalla nascita nel 2009 del Movimento Cinque Stelle e la sua successiva elezione alle politiche del 2013.

Meme e shitposting

In Italia i primi meme che sono arrivati al grande pubblico venivano da pagine Facebook come “Demotivational by Frullo” e “Il meglio di internet”, anche se le comunità di memers esistevano da molto tempo sui siti imageboard come 4chan e altri aggregatori come Reddit. Nessuno immaginava l’influenza che avrebbero avuto non solo sulla cultura visiva, ma anche sulla politica e la società intera. Meme come Pepe the Frog e NPC hanno avuto un ruolo fondamentale nell’ascesa di Trump e dell’alt-right. La pervasività dei meme e della cultura dello shitposting, prima considerata un argomento da nerd o facente parte della cultura pop, si è palesata nell’attacco terroristico di Christchurch, in Nuova Zelanda. L’attentatore Brenton Tarrant, poco prima di entrare in due moschee causando la morte di 51 persone, aveva postato su 8chan un manifesto suprematista con riferimenti a vari meme e copypasta. Nella diretta Facebook da lui stesso postata durante la strage ha esordito dicendo Subscribe to PewDiePie.

Il terrorismo

Se il decennio scorso è cominciato con il grande sconvolgimento dell’11 settembre ed è stato segnato dal lungo conflitto in Afghanistan (non ancora terminato), questa decade ha visto la nascita e l’espansione di due nuove forme di terrorismo: gli attacchi in Europa da parte del gruppo jihadista Al Dawla Al Islamiya fi al Iraq wa al Sham, noto come Daesh o Isis, e la diffusione negli Stati Uniti del cosiddetto “terrorismo domestico” di estrema destra. Gli attentati attribuiti e rivendicati dall’Isis in tutto il mondo hanno causato almeno 3.872 morti. In Europa gli obiettivi scelti sono stati soprattutto luoghi di svago e di divertimento: ristoranti, sale da concerto, mercatini natalizi, vie dello shopping. Il maggior numero di vittime, però, si è registrato in Medioriente.

Gli attacchi di terrorismo domestico che hanno interessato gli Stati Uniti, invece, sono un fenomeno riconosciuto solo di recente dalle autorità competenti. Dopo stragi come quella della chiesa afroamericana di Charleston, della sinagoga di Pittsburgh, del locale gay di Orlando e del centro commerciale di El Paso, l’FBI ha cominciato a prendere in considerazione la minaccia del terrorismo domestico, creando apposite task force, anche in vista della campagna elettorale del 2020.

Diritti LGBTQ+ e femminismo

Negli ultimi 10 anni, i diritti LGBTQ+ hanno fatto enormi passi avanti, anche grazie all’attivismo dei movimenti queer in tutto il mondo. Oggi 27 Paesi nel mondo permettono il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Nel 2014, Cipro ha depenalizzato l’omosessualità, eliminando cosìl’ultima legge rimasta in Europa contro questo orientamento sessuale. Parallelamente, dal 2012-2014 in poi, si è cominciato a parlare di “quarta ondata femminista”, segnata da grandi momenti come il Gamergate, il #MeToo, il movimento Time’s Up e la Women’s March on Washington. Tuttavia, nonostante la grande popolarità acquisita dal femminismo in questa decade, recentemente varie Ong hanno cominciato a parlare di “backlash” dei diritti delle donne. Il sorgere di politiche autoritarie in tutto il mondo, infatti, ha messo in pericolo il diritto all’aborto e alcuni diritti LGBTQ+, in particolare quelli delle persone trans.

La lotta contro il cambiamento climatico

Seppure non sia esattamente una novità, il cambiamento climatico è diventato un tema centrale nel dibattito politico e sociale, specialmente grazie al Cop21 e ai Fridays For Future. Nel dicembre del 2015, alla Conferenza sul Clima di Parigi, 195 Paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima, il cui obiettivo principale è di mantenere l’innalzamento delle temperature sull’1,5°C in più rispetto ai livelli preindustriali. Da allora, i politici progressisti di tutto il mondo (prima tra tutti Alexandria Ocasio Cortez e più recentemente la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen) hanno iniziato a pensare a un piano per la riconversione energetica e l’azzeramento delle emissioni inquinanti. Una svolta attesa e necessaria che ha un bisogno urgente di misure concrete. Certamente, nell’attenzione che la politica metterà sul tema ambientale continuerà a ricoprire un ruolo fondamentale la pressione di milioni di giovani che, unendosi allo sciopero per il clima di Greta Thunberg, stanno chiedendo che venga rispettato il loro diritto ad avere un futuro.

Movimenti

I movimenti politici degli ultimi 10 anni hanno avuto un ruolo fondamentale nell’offrire alla politica una risposta netta all’annosa dicotomia tra diritti civili e sociali: quali contano di più negli anni Dieci del Ventunesimo secolo? Entrambi. Nel 2011, nel cuore finanziario del mondo è nato Occupy Wall Street, un gruppo ambientalista e anticorruzione che chiede la fine del capitalismo predatorio e delle diseguaglianze economiche; nel 2013 gli afroamericani, e non solo, si sono uniti nel Black Lives Matter per protestare contro gli abusi delle forze dell’ordine e le discriminazioni ancora troppo diffuse nel Paese; nel 2014 è stata la volta della rivoluzione degli Ombrelli, un movimento politico emerso durante le proteste per il suffragio universale a Hong Kong, evolutosi nelle rivolte di quest’anno contro l’ingerenza cinese sull’ex colonia britannica; nel 2017 si è diffuso in tutto il mondo il movimento femminista #MeToo contro le molestie sessuali e la cultura dello stupro; in Francia, nel 2018, i gilet gialli si sono uniti sui social network e sono scesi in piazza per protestare contro la cecità del governo di fronte alla diseguale distribuzione dei costi della carbon tax, un primo tentativo di svolta verde dell’Hexagone.

Rivoluzioni

Non solo movimenti di protesta ma anche vere e proprie rivoluzioni, che hanno cambiato gli assetti di potere in diversi Paesi del mondo, specialmente in Medio Oriente, una porzione di mondo dilaniata dai conflitti armati, sociali, religiosi ed economici. Tutto è simbolicamente partito nel 2010, quando Mohamed Buazizi, un giovane ambulante tunisino, si è dato fuoco in segno di protesta contro gli abusi di potere delle forze dell’ordine, innescando manifestazioni di dissenso contro la corruzione e il dispotismo del regime di Bem ‛Alī. Una settimana dopo, anche le piazze egiziane si sarebbero riempite di cittadini e con l’inizio del 2011 le proteste sarebbero arrivate (seppur con esiti ed entità molto diversi e spesso violenti) in Marocco, Giordania, Bahrein, Arabia Saudita, Oman, Libia, Siria e Yemen. Ad accomunare questi movimenti, tanto da farli rientrare in un’unico fenomeno noto come Primavera araba, la giovane età e l’approccio non violento dei manifestanti, il ruolo dei social media, la spontaneità delle rivolte.

Alla fine del decennio una simile ondata rivoluzionaria ha investito un’altra porzione di mondo, il Sud America, anche se storici e analisti sono ancora restii a definirla una Primavera latina. Cileni, peruviani, brasiliani, boliviani, ecuadoregni e haitiani hanno fatto sentire la loro voce contro le sperequazioni sociali e le politiche di austerità, subendo spesso repressioni molto violente.

Il Whistleblowing e le fughe di notizie

Tra gli eventi più rilevanti del decennio ci sono state le fughe di notizie a opera dei whistleblowers, importanti non solo per l’apertura dei casi, ma anche per il trattamento ricevuto dai whistleblowers stessi. A partire dal 2010 il sito di informazione WikiLeaks, fondato da Julian Assange, ha cominciato a rilasciare una serie di documenti riservati sulle attività americane nelle guerre in Afghanistan e in Iraq. Assange è stato arrestato per la seconda volta nell’aprile del 2019 nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove si trovava in qualità di rifugiato politico. Anche Chelsea Manning, principale informatrice di WikiLeaks, scarcerata dopo 7 anni, è tornata in prigione nel maggio scorso per essersi rifiutata di testimoniare davanti al grand jury. Nel 2013, l’ex tecnico della CIA Edward Snowden portò alla luce i programmi di sorveglianza di massa del governo statunitense. Oggi vive a Mosca. Tutti questi casi (compresi anche i più recenti dei Panama Papers e di Cambridge Analytica) mettono in luce la complessità del rapporto tra interesse pubblico, privacy e giornalismo.

Edward Snowden

Smartphone e social media

È vero, Simon, il primo smartphone, è stato commercializzato nel 1993; tra gli status symbol degli anni Novanta c’è senza dubbio il BlackBerry; Facebook, Myspace (e Duepuntozero) sono del 2004 e già alla fine dello scorso decennio si parlava di nomofobia. Tuttavia, smartphone e social network negli ultimi dieci anni hanno conquistato non solo la nostra quotidianità, ma anche il lavoro e la politica, mettendo in crisi la nostra stessa capacità di concentrazione, i sistemi democratici e persino i diritti umani, come la privacy. Oggi il 35% delle persone al mondo possiede uno smartphone – e nel 2025 potrebbe essere l’80%; 2,45 miliardi sono gli utenti di Facebook, 1 miliardo sono iscritti a Instagram e in soli tre anni Tik Tok ha raggiunto il mezzo miliardo. È aumentato il tempo che passiamo online (in Italia raggiungiamo una media di 87 ore al mese, sempre più da mobile e principalmente sui social) e questo ha traslato buona parte della comunicazione politica proprio sulle piattaforme private, eliminando il tradizionale ruolo di filtro della stampa. Infine, dal punto di vista neuroscientifico, diversi studi hanno confermato l’impatto negativo e tendente a generare dipendenza dello scrolling infinito, tanto che alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, stanno pensando di vietarlo.

Streaming

Chiunque abbia una connessione internet ricorda il 19 gennaio 2012 come una data tragica: il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d’America chiuse Megaupload, ma soprattutto Megavideo. Si concluse così l’epoca dello streaming illegale, permettendo però l’incredibile espansione di piattaforme come Netflix, Hulu, Prime Video e molte altre. Anche in campo musicale lo streaming ha ormai eliminato tutti i supporti fisici (con l’eccezione del vinile) e sancito il predominio dell’industria, soprattutto grazie a Spotify. Quello che cambia non è solo il modo di fruire dei prodotti audiovisivi (ad esempio facendo binge watching), ma anche i contenuti e i formati dei prodotti stessi. Nell’ultimo decennio le serie tv – che ormai vengono quasi tutte rilasciate in un unico momento, cosa che nel 2013 il New York Times salutava come una rivoluzione – hanno fatto parlare di morte del cinema. Ma anche la musica è cambiata: la lunghezza media di una canzone nella Billboard Hot 100 è di 20 secondi più breve rispetto a 5 anni fa, con una durata di circa 3 minuti e mezzo. Questo è dovuto al fatto che gli artisti guadagnano in base al numero di stream, quindi una canzone più breve verrà riprodotta più volte, garantendo un profitto maggiore.

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