Rabbia e rancore sono i sintomi di una psicosi collettiva. E la politica li alimenta.
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Spesso ci chiediamo come sia possibile che il risentimento della pancia del Paese abbia portato delle forze populiste a governare. Additiamo l’ignoranza, l’impoverimento del discorso pubblico, lo spirito reazionario del nostro popolo. In fondo, pensiamo, in Italia ha governato per cinquant’anni la Dc, una forza che ha sempre mantenuto il baricentro su posizioni conservatrici. Eppure non ci rendiamo conto che sotto gli stati emotivi della popolazione si agita un baratro reale, un declino economico che investe ogni fascia sociale. Pensare all’Italia come a una nave che sprofonda non è un esercizio di retorica, ma significa mettere in metafora ciò che sta davvero accadendo all’economia italiana. L’Italia non ristagna, cambia di anno in anno, ma in peggio. Con essa tutti i cittadini che si trovano in difficoltà, desiderosi di appigliarsi a una narrazione di qualche tipo pur di dare un senso al declino generale.

È stato un anno di cambiamento, non perché si sia insediato il “governo del cambiamento”, come vuole la narrazione ufficiale dell’esecutivo gialloverde, ma perché gli italiani si sono scoperti più insicuri, poveri e rancorosi. Non poteva essere altrimenti in un 2018 vissuto per gran parte del tempo fra propaganda elettorale e incertezza di governo. A dominare il discorso pubblico sono stati i temi dell’immigrazione e della disoccupazione: la propaganda di leghisti e grillini ha materializzato lo spettro dell’”invasione”, così come quello del precariato cronico. Due spauracchi che hanno agito come tossine nel discorso pubblico, avvelenando la percezione degli italiani. Il rapporto annuale del Censis ci fornisce le coordinate di ciò che pensano, percepiscono e temono i cittadini. I segnali non sono confortanti, soprattutto per il livello di civiltà e benessere che dovrebbe essere proprio di una nazione europea. Il presidente dell’istituto, Massimo Valeri, ha dichiarato che “L’atteso cambiamento miracoloso promesso dalla politica non c’è stato, oltre la metà degli italiani afferma che non è vero che le cose siano cambiate sul serio.” Questa delusione si traduce nella ricerca di una causa tangibile: “Adesso è scattata la caccia al capro espiatorio: dopo il rancore, è la cattiveria che diventa la leva cinica di un presunto riscatto”.

Ci sono due considerazioni da fare: la prima riguarda i fattori economici che hanno predisposto il terreno per il germogliare di queste paure, la seconda riguarda l’uso strumentale che si fa della pancia del Paese. Da una parte è vero che per una larga fetta di italiani il futuro non sembra riservare possibilità di rilancio: la situazione economica non è rassicurante. In 17 anni il salario medio dei francesi è aumentato di 6mila euro l’anno, quello dei tedeschi di 5mila. Il paragone con la Penisola è impietoso: il salario degli italiani è aumentato mediamente di 400 euro l’anno, circa 32 euro spalmati su 13 mensilità. L’economia italiana, che proprio in questo trimestre perde lo 0,1% del Pil, rischia di andare in recessione.

C’è dunque un fondamento economico e reale nelle paure degli italiani, ma queste sono spesso ingigantite dalla propaganda politica che non esita a speculare sull’instabilità pur di raggranellare qualche consenso in più. Sul tema sicurezza, ad esempio, non si può negare che l’allarmismo e l’insicurezza della cittadinanza sia ingiustificato: nel solo 2017 i reati sono diminuiti del 10,2% rispetto all’anno precedente, mentre rapine e furti sono scesi rispettivamente del 37,6% e del 13,9%, in dieci anni si è dimezzato il tasso di omicidi.  Sul tema immigrazione, la percezione degli italiani è distorta: gli stranieri sono l’8% della popolazione, eppure per il 35% degli italiani si tratterebbe del 16,4%, per il  25,4% la percentuale sale addirittura a uno straniero su quattro cittadini. Si tratta di un caso unico in Europa: nessuna nazione europea presenta una percezione  distorta quanto la nostra.

Eppure l’esecutivo gialloverde, forse conscio che risanare la situazione economica va al di là delle proprie capacità, continua a puntare il dito sull’immigrazione, così che in questo clima di insoddisfazione siano accettate misure drastiche come il ddl sicurezza, e azioni violente come lo sgombero del Baobab. L’obiettivo è distogliere il Paese dalla diseguaglianza economica e fornire all’elettorato arrabbiato una facile narrazione da seguire. Se abbiamo vissuto il 2018 nella paura, il 2019 sembra prospettarsi non da meno, perché ci vogliono così: impauriti, precari, pronti a puntare il dito contro chi è più debole.

I dati sono chiari: in Italia c’è un problema di xenofobia. Il 71% degli italiani over 55 non vede di buon occhio l’immigrazione extraeuropea, così come il 78% dei disoccupati, che la crede la causa principale del proprio disagio. Questi sono i picchi più alti di un’ostilità diffusa, se prendiamo in considerazione tutte le fasce sociali e anagrafiche viene fuori una media sconfortante: il 63% nutre un giudizio negativo sull’immigrazione. Per gli italiani, le colpe degli immigrati sono le solite che abbiamo imparato a conoscere dalla propaganda razzista: il 58% è convinto sottraggano posti di lavoro, il 63% che rappresentino un peso per il welfare. Addirittura un italiano su quattro crede che l’immigrazione aumenti il rischio di criminalità, e tre su cinque immaginano che l’integrazione non potrà essere raggiunta neanche da qui a dieci anni.

L’italiano prova una diffidenza diffusa verso il diverso: il 69,7% non vorrebbe i Rom come vicini di casa, il 69,4% chiede più protezione dai pericoli della vicinanza con sacche sociali disagiate, come quelle degli alcolizzati e dei tossicodipendenti. Nell’ultimo anno sono accaduti molti episodi di xenofobia, di cui la strage di Macerata dello scorso febbraio è stata solo la manifestazione più evidente. Non sono solo i post degli esponenti della Lega a essere intasati di insulti e minacce di morte verso chi “arriva con i barconi”. Anche la nostra quotidianità è spezzata da episodi di intolleranza che solo qualche anno fa non avremmo creduto potessero manifestarsi. Ricordiamo che la scorsa estate, in spiaggia, è stato aizzato un cane contro un ambulante di colore, o pochi mesi fa un ventinovenne ghanese è rimasto paralizzato in seguito a un pestaggio in autobus. Alla luce dei dati, possiamo confermare che non si tratta di episodi isolati, che al contrario sono espressione concreta del clima del Paese e della percezione falsata della cittadinanza.

Secondo il Censis, le paure degli italiani hanno caratteristiche patologiche. Nel rapporto si parla esplicitamente di “sovranismo psichico” come risposta alla xenofobia latente e al disagio sociale: “È una reazione pre-politica con profonde radici sociali, che alimentano una sorta di sovranismo psichico, prima ancora che politico“. Per questo la paranoia e la ricerca del capro espiatorio “diventano la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiegano in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare”. L’italiano crede di essere impoverito, e soprattutto di vivere nell’immobilismo: il 56% afferma che la situazione economica è uguale se non peggiore rispetto al passato. Solo il 23% dei cittadini è convinto di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore dei genitori, un dato ben al di sotto della media europea – che si attesta al 30% – e sensibilmente inferiore rispetto a quello di altri Paesi. In Germania il 33% crede di vivere nel benessere, in Svezia e Danimarca, in quanto a situazione economica, si dichiara soddisfatto oltre il 40% della popolazione, praticamente il doppio dei nostri connazionali.  Da una parte è vero che l’Italia versa in una situazione economica pericolosa, e che essa si traduce in difficoltà tangibili nella vita dei cittadini. Ma è pur vero che, a renderci così inclini al cinismo, ci spinge anche un dispositivo propagandistico senza eguali nella storia repubblicana. I partiti di governo hanno vinto le elezioni facendo leva sulla paura e moltiplicando l’eco dei loro messaggi attraverso i social. Una fitta rete di bufale, proclami e trovate pubblicitarie che hanno convinto l’italiano a sfogare i sentimenti più reconditi, credendo di essere nel giusto.

La sfiducia si traduce in rancore non solo verso lo straniero, ma anche nei confronti di quegli organismi sovranazionali che sono percepiti come espressione del potere delle élite, prima fra tutti l’Unione europea. La fiducia nell’operato dell’Ue è mediamente salita: oggi il 42% dei cittadini europei dichiara di credere nell’Ue, a fronte del 31% che ci credeva nel 2014. Ma è pur vero che quattro anni fa imperversava la crisi economica, e a oggi solo i Paesi la cui economia ha visto una crescita sostanziale del Pil – come Irlanda e Finlandia – hanno registrato una conseguente risalita della fiducia nei valori europei. Di contro, i Paesi che in questi anni hanno avuto una situazione economica stagnante, registrano un clima di ostilità: fra questi ci sono Italia, Francia, Regno Unito, Spagna e Grecia. Un dato che va nella stessa direzione della paura per la disoccupazione: i cittadini europei si dicono pensierosi per il precariato nel 44% dei casi, gli italiani (con il 69%) e i greci (con l’83%) sono preoccupati in percentuale molto superiore alla media.

Nel 2016 il Censis ci restituiva l’immagine di un Paese affetto da immobilismo cronico, in cui i giovani hanno un reddito inferiore del 26,5% rispetto ai loro coetanei di venticinque anni fa. L’instabilità economica ha generato il rancore: nel 2017 il 59% degli italiani era sfavorevole all’immigrazione, fra cui il 72% delle casalinghe e il 63% degli operai. Oggi le statistiche inquadrano una Penisola incattivita, in cui il rancore è sfociato in vera e propria cattiveria. In generale è il futuro a essere visto con un misto di paura e delusione: più di un terzo della popolazione – il 35,6% – si dichiara pessimista, a questa fetta si aggiunge un 31,3% che si dice incerto. Due italiani su tre credono che gli anni a venire saranno duri, perché il 2018 non ha riservato loro buone prospettive. L’operato del governo non sembra regalarcene di migliori: i leghisti evocano un modello di società securitaria in cui la legalità diviene un dogma anche superiore alla giustizia e la legittima difesa appare come la panacea di tutti i  mali. I grillini si spendono in improbabili operazioni economiche in cui il massimo del benessere è ricevere 780 euro spendibili per generi di prima necessità, alla faccia della parola “reddito”.

Se siamo stati rancorosi fino ad ora, e oggi siamo incattiviti, i prossimi anni il nostro umore sarà ancora più nero, e dal livore passeremo alla disperazione. Su questi sentimenti faranno leva i partiti che vogliono governarci, cercando di indirizzare il rancore nella direzione che più gli fa comodo, sempre più vicina a spauracchi di comodo, e sempre più lontana dai problemi reali. L’importante è mascherare l’incapacità a intraprendere politiche a lungo termine, mentre l’italiano, in preda alla distorsione percettiva della propaganda, si ammanta di cinismo perché crede di essere assediato.

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