Espressioni come “lobby gay” o “propaganda gender” si sono insinuate nel dibattito pubblico e la loro esistenza è data per assodata anche nelle discussioni in Parlamento. Ma mentre si creava il panico per questa potentissima lobby – che per il momento non sembra aver ottenuto grandi vittorie politiche, perlomeno nel nostro Paese – un altro gruppo di pressione si guadagnava tutto lo spazio possibile per agire indisturbato in Europa: secondo Neil Datta, segretario dell’European Parliamentary Forum for Sexual and Reproductive Rights (Epf), i gruppi anti-LGBTQ+, anti-gender e antiabortisti che agiscono in Unione europea avrebbero ricevuto più di 700 milioni di euro in dieci anni per portare avanti la propria propaganda contro i diritti.
Il 25 marzo scorso il Parlamento europeo ha tenuto delle audizioni pubbliche per raccogliere informazioni sulle ingerenze estere nel finanziamento dei cosiddetti “gruppi anti-gender”, alla presenza del Comitato sui diritti delle donne e sull’uguaglianza di genere e del Comitato speciale sulle interferenze straniere nei processi democratici dell’Unione europea. Le audizioni si sono rese necessarie anche per la recente scoperta del ruolo che una di queste organizzazioni, Ordo Iuris, avrebbe avuto nelle ultime decisioni della Polonia riguardo ai diritti LGBTQ+ e riproduttivi, l’ultimo dei quali il recente divieto di aborto in caso di malformazioni del feto. Ordo Iuris è un “istituto di cultura legale” i cui giuristi sono stati coinvolti nella stesura della legge che tentò di vietare l’aborto nel 2016, nell’uscita della Polonia dalla Convenzione di Istanbul, nella creazione di due leggi sul divieto di educazione sessuale e di fecondazione in vitro e nella creazione delle famose “zone LGBT free”. Da un’indagine dell’Epf e come confermato da Datta in un’intervista a Dinamo Press, Ordo Iuris – il cui direttore Aleksander Stepkowski è portavoce della Corte suprema polacca, che ha emesso la sentenza che vieta l’aborto, e ne è stato brevemente anche presidente – farebbe parte dell’organizzazione internazionale ultraconservatrice Tradition, Family and Property, “un’organizzazione di laici cattolici americani preoccupati per la crisi morale che scuote i resti della civiltà cristiana”.
Nella relazione presentata in audizione al Parlamento europeo, e che sarà pubblicata a breve, è emerso che 54 gruppi anti-choice e anti-LGBTQ+ avrebbero ricevuto, dal 2009 al 2018, 702,2 milioni di euro in finanziamenti, il 62% dei quali provenienti da donatori privati dell’Unione Europea, il 27% della Federazione Russa, il 12% degli Stati Uniti e il restante di Paesi come il Messico e il Qatar. Per fare un paragone, l’International Lesbian and Gay Association ILGA Europe, spesso additata come “lobby gay” in quanto rete transnazionale di associazioni LGBTQ+, ha un budget annuo di circa 3 milioni di euro. Secondo l’Epf, questo nuovo attivismo anti-gender ha cinque caratteristiche: è in grado di costruire coalizioni transnazionali con obiettivi specifici (anti-LGBTQ+, antiaborto, eccetera); è espressione di nuovi orientamenti politici conservatori, di stampo populista, di estrema destra o alt-right; ha trovato nei social media una piattaforma di diffusione; è presente con membri di alto profilo all’interno delle istituzioni europee o negli stati membri ed è stata in grado di infiltrarsi nelle strutture di potere a ogni livello.
Tradition, Family and Property è la seconda lobby in Europa per finanziamenti, con 112 milioni e 500mila dollari spesi in dieci anni, mentre la prima è la Fondation Jérôme Lejeune, un controverso centro di ricerca sulla sindrome di Down, che secondo l’Epf avrebbe speso in iniziative antiabortiste più di 120 milioni di dollari, nonostante nel Registro per la trasparenza europeo dichiari di spenderne meno di 10mila euro l’anno. La fondazione ha anche un grande peso nella ricerca scientifica francese, in particolare nel campo delle cellule staminali, come denunciato da 146 scienziati che in una lettera a Le Monde hanno definito “caricaturali” le posizioni della fondazione.
Il terzo finanziatore in Europa è l’oligarca russo Vladimir Yakunin, attraverso il fondo d’investimento Istoki, nato nel 2013 per “rafforzare i fondamenti spirituali della società russa e l’educazione morale basata sui principi ortodossi”. Il fondo che, secondo il proprio comunicato stampa, in tre anni ha ricevuto donazioni per 800 milioni di rubli (poco meno di 9 milioni di euro), per l’Epf avrebbe speso in Unione europea circa 90 milioni 625mila dollari in dieci anni. Una delle sue iniziative principali è la St. Andrew Foundation, che tra le altre cose promuove il programma antiabortista “Sanctity of Motherhood” (santità della maternità), diretto dalla moglie di Yakunin, Natalia Yakunina. Sanctity of Motherhood risultava tra gli sponsor del World Congress of Families che doveva tenersi a Mosca nel 2014, la stessa manifestazione che si è ripetuta anche a Verona nel 2019.
Secondo le ricerche dell’Epf, a finanziare le iniziative anti-gender ci sono anche diversi miliardari americani, come la famiglia DeVos. Dick DeVos, miliardario del Michigan con un passato nel marketing multilivello, e la moglie Betsy DeVos, ex segretaria all’Istruzione nell’amministrazione Trump, secondo il Guardian sarebbero “donatori regolari di gruppi di destra” e avrebbero fornito più di 500mila dollari al Michigan Freedom Fund, che organizzò l’assalto al campidoglio del Michigan ad aprile dello scorso anno contro le restrizioni per la pandemia di Covid-19. C’è poi Robert Mercer, co-fondatore di Cambridge Analytica e del social network Parler, utilizzato dai sostenitori di Trump e temporaneamente chiuso dopo i fatti di Capitol Hill, nonché di Breitbart News, il sito di estrema destra diretto per un periodo da Steve Bannon. E, naturalmente, i fratelli Koch, tra i più potenti finanziatori conservatori degli Stati Uniti, dai gruppi antiabortisti al negazionismo sul cambiamento climatico.
Secondo il sito di inchiesta openDemocracy, i gruppi della destra cristiana statunitense sostenuti da questi miliardari avrebbero speso circa 90 milioni di dollari in Europa tra il 2007 e il 2018, più che in Africa e in Asia. Uno dei gruppi più attivi è l’Alliance Defending Freedom (Adf), i cui avvocati sono intervenuti in numerosi casi nei tribunali europei riguardanti i diritti riproduttivi o LGBTQ+, come quello di un medico che in Norvegia ha negato per motivi religiosi l’impianto di una spirale anticoncezionale, o di una pasticceria irlandese che si è rifiutata di scrivere un messaggio a favore del matrimonio egualitario su una torta. Nel 2017, l’Adf ha anche spinto per un referendum costituzionale in Romania per ridefinire la famiglia come il prodotto di un matrimonio tra un uomo e una donna.
Anche l’American Center for Law and Justice, di cui è consigliere capo l’avvocato di Donald Trump Jay Sekulow, opera in modo simile. La divisione europea dell’associazione, nella persona di Gregor Puppinck, ha inviato alla Corte costituzionale polacca un documento il giorno prima della già citata sentenza che ha vietato ogni forma di interruzione di gravidanza, per ribadire che il diritto internazionale dei diritti umani non prevede quello di aborto. Puppinck è anche tra i firmatari di una lettera di Ordo Iuris scritta in previsione della nuova carta che sostituirà la Convenzione di Istanbul. La cosa paradossale è che l’European Center for Law and Justice ha pubblicato un controverso report secondo cui la Corte europea per i diritti umani sarebbe manipolata dagli interessi di George Soros, Amnesty International e Human Rights Watch.
Come ha spiegato Neil Datta durante le audizioni, nonostante l’Unione europea abbia istituito il Registro per la trasparenza per monitorare le attività delle lobby, tracciare la provenienza e la destinazione di questi fondi – la cui quantità è sicuramente sottostimata – è molto difficile, specialmente quando arrivano dall’estero. Ciò su cui invece non c’è alcun dubbio è la vasta articolazione e il potere che questi gruppi sono in grado di esercitare in Europa, arrivando a interferire con le leggi dei singoli Stati, come dimostra il caso della Polonia.