La pandemia di Covid-19 e la caduta del secondo governo Conte hanno messo in ombra un evento già definito storico: il 16 gennaio è iniziato il maxi-processo più importante dai tempi di quello contro Cosa Nostra del 1986.
Il processo Rinascita Scott è la fase conclusiva della più grande operazione mai messa in campo nel contrasto per arginare la ‘Ndrangheta, per un totale di 438 capi di imputazione, 325 imputati e 600 avvocati. L’aula bunker, inaugurata a dicembre, è stata costruita a Lamezia Terme riconvertendo un capannone dismesso. La Calabria non aveva una struttura adeguata per ospitare un processo di queste dimensioni e si era parlato di trovare un’altra sede, ipotesi accantonata in favore della forza simbolica di allestire il più grande processo contro la ‘Ndrangheta nella terra dove è nata. Nel 2019 è stato calcolato che l’organizzazione criminale guadagni 24 miliardi di dollari l’anno, una cifra che supera il fatturato di multinazionali come Deutsche Bank o McDonald’s e corrisponde al 4% del Pil italiano. Delle multinazionali non condivide soltanto i guadagni miliardari, ma anche la capacità di operare in tutto il mondo tramite affiliati o intermediari.
Nonostante la minaccia che rappresenta per l’Italia e per tanti altri Paesi, il richiamo esplicito del nome della ‘Ndrangheta è stato inserito nell’articolo 416-bis del codice penale sulle associazioni di tipo mafioso soltanto nel 2010, ma le testimonianze sulla sua attività risalgono al Regno delle due Sicilie. Nel Giornale di viaggio in Calabria del 1792 il funzionario borbonico Giuseppe Maria Galanti parlò di “una picciola combriccola di giovinastri scapestrati che commettono violenze col fare uso di armi da fuoco. La giustizia è inoperosa perché senza forza e senza sistema. Le persone maligne si fanno miliziotti”. Nell’arco dei secoli la piccola combriccola ha preso la forma di un’organizzazione diffusa in modo capillare e in grado di infiltrarsi nei nodi strategici di politica e pubblica amministrazione, favorita da uno Stato spesso assente, appunto “senza forza e senza sistema”.
Le emigrazioni all’inizio del Ventesimo secolo hanno portato la ‘Ndrangheta, all’epoca nota anche come Picciotteria, a espandersi dalla Calabria in tutto il mondo, in particolare negli Stati Uniti, in Canada e in Australia. Il primo processo italiano di rilievo si tenne nel 1929 nella piana di Gioia Tauro, con la condanna del boss Santo Corio e di altri 150 affiliati. Il vero salto di qualità dell’organizzazione coincise con il periodo dei sequestri di persona nel corso degli anni Settanta, con i riscatti milionari che diventarono il capitale di partenza per entrare nel mercato del traffico di stupefacenti. A questo ha affiancato il traffico di armi, il gioco d’azzardo e lo smaltimento di rifiuti tossici. Sempre in quel periodo iniziò a collaborare con gli ambienti della destra eversiva e dei servizi segreti e massoneria deviati. Diversi membri delle ‘ndrine, le cosche della ‘ndrangheta, furono arruolate per il Golpe Borghese della notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, con una forza militare di 4mila uomini assicurata al “principe nero” in seguito a un suo incontro con alcuni capibastone. Nel corso degli anni Settanta e Ottanta iniziarono anche i contatti con i cartelli colombiani, che si rafforzarono nel corso degli anni Novanta in seguito al ridimensionamento del ruolo di Cosa Nostra nel traffico internazionale di droga dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Fu l’inizio di un’ascesa che ha portato la ‘Ndrangheta a essere il partner europeo privilegiato dei narcotrafficanti sud e centro americani, garantendole un potere economico e “politico” che surclassa quello di tutte le altre mafie italiane.
La liquidità e l’influenza hanno portato l’organizzazione a creare delle roccaforti in nazioni come Germania, Canada e Australia. Nel 2012 l’ufficio federale della polizia criminale (Bundeskriminalamt) ha definito la ‘Ndrangheta la maggior organizzazione criminale presente in Germania, così ramificata da non temere neanche di palesare la sua presenza, come ha dimostrato la la strage di Duisburg dell’agosto 2007, quando davanti a un ristorante italiano avvenne un regolamento di conti tra le ‘ndrine dei Nirta-Strangio e dei Pelle-Vottari, protagonisti dell’ormai trentennale faida di San Luca. Le vittime furono sei, e la Germania rimase talmente scossa dall’evento che nacquero diversi movimenti antimafia, tra i quali il principale Mafia? Nein danke!, sorto pochi giorni dopo la strage di Duisburg.
Nonostante la proiezione sempre più internazionale dei suoi interessi e un’infiltrazione massiccia nell’economia legale, la ‘Ndrangheta basa ancora la sua forza su riti di affiliazione che mischiano esoterismo e giuramenti su Gesù Cristo, e soprattutto sull’importanza dei vincoli familiari e di sangue. I matrimoni diventano spesso lo strumento per sancire la fine di una faida o per rafforzare i rapporti tra diverse famiglie mafiose. Questa caratteristica spiega anche la scarsa presenza di pentiti tra le file delle ‘ndrine, in particolare di alto livello gerarchico, a differenza di quanto avvenuto e avviene con Cosa Nostra. Nonostante le difficoltà nelle indagini, la maggior percezione della minaccia che rappresenta la ‘Ndrangheta e le ultime inchieste sono riuscite a indebolire numerose ‘ndrine e a raccogliere il materiale confluito nel processo Rinascita Scott. Il 29 gennaio, per esempio, l’arresto del boss Domenico Cracolici, latitante arrestato dai Carabinieri dopo le indagini coordinate dalla Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri.
Gratteri è una figura chiave nella lotta alla ‘Ndrangheta degli ultimi anni. Come lui stesso ha spiegato, “era importante celebrare il processo in Calabria, è un segnale anche perché la gente deve e può capire, senza alibi per nessuno, che si può fidare di noi”. Per questo il Procuratore ha ottenuto le risorse necessarie per effettuare 150 video collegamenti contemporaneamente e allo stesso tempo ospitare all’interno dell’aula bunker oltre mille persone rispettando le norme anti Covid, con la presenza di personale sanitario all’ingresso. L’impegno di Gratteri va avanti da anni, si trova sotto scorta dal 1989 ed è stato più volte minacciato di morte, come dimostra un’intercettazione tra gli uomini della ‘ndrina di San Leonardo di Cutro nella quale gli viene promessa la stessa fine di Falcone. Per questo passa gran parte della vita nel suo ufficio di Catanzaro, protetto dalle finestre blindate. Ironia della sorte, il suo ufficio si affaccia su piazza Falcone e Borsellino.
Al centro del processo è finito il sottobosco criminale che Gratteri ha analizzato, ricercato e catturato nel corso di anni di indagini. Principalmente si tratta delle cosche del Vibonese, con a capo, secondo l’accusa, la famiglia Mancuso di Limbadi. Il 19 dicembre 2019 si è conclusa l’operazione che ha portato all’arresto di 334 persone tra Italia, Germania, Bulgaria e Svizzera; tra questi spicca Luigi Mancuso, considerato il boss della famiglia che gestiva i contatti con la politica. Uno dei suoi referenti sarebbe stato Giancarlo Pittelli, altro imputato al maxi-processo e attualmente detenuto nel carcere di Nuoro. Pittelli è stato deputato e senatore di Forza Italia tra il 2001 e il 2013, e nel 2017 è passato a Fratelli d’Italia, salutato da Giorgia Meloni come “un valore aggiunto per la Calabria e tutta l’Italia”.
Il processo sarà lungo, si tenterà di fare udienze tutti i giorni proprio per velocizzare i tempi. Per Gratteri è il traguardo di decenni di lavoro. È stato per questo accusato da politici e colleghi di spettacolarizzare la giustizia, con accuse simili a quelle riservate a Falcone poco prima della sua morte, come quando Totò Cuffaro nel 1991 attaccò la magistratura in diretta televisiva davanti al giudice palermitano. Lo stesso Cuffaro diventato presidente della Regione Sicilia e poi condannato definitivamente a sette anni di reclusione per favoreggiamento a Cosa Nostra. Nonostante questo Gratteri porterà avanti la battaglia di tutti i calabresi onesti. Così come il processo di Palermo non ha sconfitto del tutto Cosa Nostra, quello di Lamezia Terme non metterà la parola fine alla ‘Ndrangheta, ma può diventare il momento di passaggio in cui lo Stato tornerà a far sentire la sua presenza in una regione devastata da decenni di criminalità e politica connivente.
Aggiornamento di martedì 4 maggio 2021
Con riferimento all’articolo titolato “E’ appena iniziato il più grande processo alla ‘Ndrangheta, ma non se ne parla abbastanza”, pubblicato il 3 febbraio 2021, il dott. Salvatore Cuffaro, a mezzo dei propri legali, ha rappresentato doglianze in merito al riferimento fatto dall’autore alla sua persona all’interno dell’ultimo paragrafo dell’articolo. In particolare, secondo l’impostazione del Dott. Cuffaro, l’articolo darebbe impropriamente conto di un suo attacco verbale accusatorio nei confronti di Giovanni Falcone e, in ogni caso, lo stesso non ritiene conferente il richiamo alla sua figura nella trattazione del tema principale dell’articolo, vale a dire il maxi-processo che si sta celebrando in Calabria su iniziativa del magistrato Dott. Gratteri, essendo estraneo a tale vicenda processuale.
La Testata tiene a precisare che l’autore non ha mai inteso rappresentare il fatto che il Dott. Cuffaro avesse attaccato direttamente il Dott. Falcone, dovendosi invece contestualizzare il riferimento allo stesso Cuffaro all’interno del focus generale sulle critiche a cui è stata esposta la magistratura anche in passato e inerenti la cosiddetta spettacolarizzazione della giustizia.