La battaglia contro aborto ed eutanasia della lobby che vuole toglierti tutti i diritti

Nei giorni scorsi tutti abbiamo visto sui social i cartelloni che ProVita e Famiglia (le due associazioni che la compongono, ProVita e Generazione Famiglia, si sono fuse all’indomani del congresso di Verona) ha affisso a Roma contro l’eutanasia. La campagna, definita “choc”, mostra i volti di alcune persone con didascalie tipo: “Lucia, 45 anni, disabile. Potrà farsi uccidere. E se fosse tua mamma?”, “Marta, 24 anni, soffre di anoressia. Potrà farsi uccidere. E se fosse tua sorella?“. Al di là della banalizzazione di un tema tanto delicato, i manifesti sono comparsi per una ragione ben precisa: il 24 settembre, infatti, la Corte Costituzionale si riunirà per esprimersi sulla legittimità dellarticolo 580 del codice penale che equipara istigazione e aiuto al suicidio, in riferimento al caso di Marco Cappato, che nel 2017 aveva accompagnato in una clinica svizzera per il suicidio assistito Fabiano Antoniani, detto Fabo.

Il 14 febbraio 2018 la Corte di Assise di Milano aveva rinviato gli atti alla Corte Costituzionale, che a sua volta nel mese di ottobre aveva rimandato la discussione al settembre 2019. Inoltre, la Consulta aveva stabilito la stessa scadenza per la discussione in Parlamento della proposta di legge di iniziativa popolare sull’eutanasia, ferma nelle Commissioni Giustizia e Affari Sociali della Camera da gennaio 2019. Non è quindi un caso che ProVita abbia scelto questi giorni per lanciare questa campagna. Al di là dell’indignazione estemporanea, però, bisognerebbe chiedersi quale e quanta influenza abbiano i gruppi pro life nella legiferazione su temi etici nel nostro Paese, come l’aborto, la procreazione medicalmente assistita, le unioni tra persone dello stesso sesso e l’approvazione di leggi contro l’omofobia. Un’influenza che spesso diventa una sorta di “corsia preferenziale”.

Questi gruppi, infatti, si muovono spesso in maniera occulta e gli esponenti che raggiungono cariche politiche sono solo la parte visibile di vere e proprie lobby che agiscono dentro e fuori le istituzioni, attraverso influenza, pressione, sistemi di cooptazione e grandi quantità di denaro. Denaro la cui provenienza spesso non è chiara, come è avvenuto per il Congresso delle Famiglie di Verona, evento che vantava molti legami economici con compagnie petrolifere, partiti di estrema destra e Chiesa evangelica, ortodossa e, ovviamente, cattolica. Quest’ultima, in particolare, riesce a esercitare la sua influenza in modo preponderante nella politica italiana, configurandosi come l’unico vero “potere forte”, espressione su cui è stata invece costruita la propaganda sovranista. Gruppi come l’Opus Dei, Comunione e Liberazione o il Cammino neocatecumentale occupano la politica, la sanità e le università.

Uno dei gruppi più importanti in Italia è il Movimento per la vita (Mpv), il primo movimento pro life nel nostro Paese fondato due anni dopo l’approvazione della Legge 194 del 1978 sulla depenalizzazione dell’aborto e organizzatosi proprio a partire dalla raccolta firme per proporre un referendum abrogativo. Il referendum del 1981 si concluse con una disfatta per il Mpv che – come ricostruisce la sociologa dell’Università di Losanna Martina Avanza – a quel punto si concentrò sue due “missioni”: proporre un’agenda politica basata sulla “cultura per la vita” e cercare, attraverso i “Centri di aiuto alla vita”, di scoraggiare più interruzioni di gravidanza possibile. Quest’ultima attività fu assegnata alla quota femminile degli attivisti, mentre gli uomini si impegnarono maggiormente sul fronte politico. Carlo Casini, fondatore del primo “Centro di aiuto alla vita” di Firenze e presidente del Mpv dal 1990 al 2015 (oggi onorario), è forse la figura che ha avuto maggior successo nelle istituzioni: deputato della Democrazia Cristiana dal 1979 al 1992, fu eletto nel Parlamento Europeo per cinque legislature. Il Mpv, secondo la professoressa Avanza, si è sempre presentato come un gruppo moderato, che non utilizza, ad esempio, la parola “omicidio” per indicare l’Ivg né tantomeno si identifica con i movimenti pro life, che giudica troppo radicali. Tuttavia, grazie a un sistema di influenza dentro e fuori le istituzioni, il Mpv è riuscito a ostacolare l’abrogazione della legge sulla procreazione assistita e a interferire con le decisioni su altri temi etici, come la somministrazione della pillola abortiva RU486.

Carlo Casini

Nel 2004 avvenne una scissione all’interno del Mpv: le frange più estremiste si staccarono fondando altri gruppi come il Comitato Verità e Vita, il cui obiettivo consisteva nel raccogliere firme per un nuovo referendum abrogativo, proposito ormai abbandonato dal Mpv. Anche in questo caso la data non è casuale: nel 2004, durante il Governo Berlusconi II, fu infatti promulgata la Legge 40, contenente le norme in materia di procreazione medicalmente assistita. La Legge, ancora in vigore, è stata ed è tuttora al centro di numerosi dibattiti, perché pone numerosi limiti alla procreazione assistita e, riconoscendo alcune tutele al concepito, sembra contraddire l’art. 1 del codice civile secondo cui “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita”. In quindici anni ben 48 sentenze, pronunciate da tribunali ordinari, dalla Corte europea per i diritti dell’uomo e dalla Corte Costituzionale, hanno modificato la Legge, in particolare eliminando alcuni passaggi ritenuti incostituzionali. Il 12 e 13 giugno 2005 i Radicali proposero un referendum abrogativo (per il quale non si raggiunse il quorum) e fu proprio nella campagna referendaria per l’astensione che la Cei, allora presieduta dal cardinal Ruini, spinse sul Mpv per la fondazione del Comitato Scienza & Vita. Come ricostruito dall’esperto di movimenti pro life e anti-femministi Yadad De Guerre, tra i fondatori figurano il medico Bruno Dallapiccola e la psichiatra Paola Binetti, già membro del comitato scientifico del Mpv, nonché dell’Opus Dei. Il fallimento che oggi è la Legge 40, snaturata e smantellata eppure ancora in vigore, è anche responsabilità della pressione esercitata da questi gruppi.

Negli anni il Comitato, trasformatosi in Associazione – forte della “vittoria” che ha impedito di abrogare una legge che poi è stata smantellata a forza di sentenze – è diventato sempre più influente. Paola Binetti è entrata in politica prima con la Margherita e poi con l’Unione di centro. Quando era tra le file della sinistra la sua presenza fu duramente criticata per l’opposizione alla RU486, alla ricerca sulle staminali e alla revisione della Legge 40. Lasciò il partito, ormai diventato Pd, per la sua contrarierà alla legge (comunque mai approvata) sull’omofobia e a seguito di alcune dichiarazioni controverse sull’omosessualità come “devianza” e come “presupposto per il rischio pedofilia”. Ed è proprio la crociata contro la legge sull’omofobia – di cui l’Italia avrebbe disperatamente bisogno – il cavallo di battaglia dell’Associazione Scienza & Vita che, tra l’altro, ha tra i suoi (de)meriti quello di aver diffuso il panico sul “gender” – e ancora oggi possiamo notare la costanza con cui Binetti in Senato propone emendamenti per sostituire la parola “genere” con “sesso”.

Paola Binetti

Il presidente della sede bresciana dell’associazione Scienza & Vita è Massimo Gandolfini. Il nome è noto: cattolico oltranzista, presenza di spicco al Congresso delle famiglie di Verona, portavoce e presidente del “Comitato Difendiamo i nostri figli” – nato nel 2015 per opporsi alla legge Cirinnà sulle unioni civili e, ancora, alla legge Scalfarotto sull’omofobia – e organizzatore del Family Day. Forse qualcuno ricorderà la polemica quando, nel 2018, il Pirellone di Milano si illuminò con la scritta “Family Day” per celebrare l’evento, patrocinato dalla regione. Non è un mistero che i palazzi della Lombardia siano vicini a Comunione e Liberazione, forse una delle più potenti associazioni cattoliche in Italia insieme all’Opus Dei. Cl, fondata negli anni Cinquanta da Luigi Giussani negli ambienti universitari milanesi – dove ha ancora grande influenza – è particolarmente pervasiva in Lombardia, e si regge su un sistema di cooptazione scoperchiato dallo scandalo che ha travolto l’ex presidente della regione Roberto Formigoni, condannato in via definitiva per corruzione a 5 anni e 10 mesi, in seguito al crac di due strutture sanitarie private, le fondazioni Maugeri e San Raffaele.

Massimo Gandolfini

Emblematico, per capire l’influenza di Cl sulla politica lombarda (e non solo), è il dibattito sulla pillola abortiva, la RU486. Gran parte della sanità lombarda è occupata dagli esponenti del movimento e, quando questa pillola venne commercializzata in Italia, il presidente della Regione Formigoni, firmò un atto di indirizzo, poi annullato dal Consiglio di Stato, per bloccarne l’utilizzo. Si parlò a lungo e impropriamente di “aborto fai da te” e di “pillola assassina”, demonizzando una pratica sicura e approvata dalla comunità scientifica. Ancora oggi si fanno sentire gli effetti di quella che l’ex ministra della sanità Livia Turco chiamò “crociata ideologica” contro la RU486: il nostro Paese è uno dei pochi a prevedere ancora l’obbligo di ricovero di tre giorni per una pratica che altrove si svolge in day hospital. In Italia, anche a causa del limite imposto di sette settimane, solo il 15,7% delle donne che scelgono di fare un’Ivg ricorre all’aborto farmacologico, contro il 57% della Francia, il 60% dell’Inghilterra e il 90% della Svezia.

Nel 2012, venne organizzata la prima Marcia per la vita che, come ricostruisce De Guerre, sancì la nascita della rivista Notizie ProVita, di Toni Brandi. È stata la rinascita dei movimenti pro life come li conosciamo oggi: non solo cattolici, ma anche vicini agli ambienti dell’estrema destra italiana e internazionale. Il 2012 fu infatti l’anno in cui in Francia si cominciò a discutere la legge sul matrimonio egualitario (che arriverà nel 2013) e della nascita del gruppo Manif Pour Tous (in Italia Generazione Famiglia), sostenuto dal Front National. Come spiega la sociologa Sara Garbagnoli, esperta di movimenti pro life e anti-LGBTQ+, in questi anni i gruppi hanno operato un “restyling […] attraverso diverse forme di performance e di messe in azione dello spazio pubblico (marce, veglie, zaps)”, che hanno posto l’accento sull’importanza della “famiglia naturale” contro “la dittatura del gender”. L’influenza di quello che Garbagnoli chiama “dispositivo retorico reazionario” si è vista nella approvazione monca della Legge Cirinnà, con la rinuncia alla discussione sulle adozioni.

Toni Brandi

Ma è proprio sulla legge sull’eutanasia – o meglio sulla sua assenza – che i pro life mostrano tutta la loro influenza sulla legiferazione su temi etici. Si tratta di un campo aperto e di un tema affrontato poco e male, se non quando è portato all’attenzione pubblica da “casi” come quelli di Piergiorgio Welby, Eluana Englaro o Fabo. Nonostante l’instancabile azione di associazioni come Luca Coscioni e alcune piccole vittorie come quella della legge sul biotestamento, in Italia il dibattito sul fine vita sembra impossibile da affrontare. Anche i partiti più progressisti in materia di diritti civili, cioè il Pd e il M5S, ostacolano la discussione della legge, che ormai è stata presentata sei anni fa. Con la fine dell’esecutivo Lega-M5S, e la conseguente uscita di scena di personaggi come Fontana e Pillon, verrebbe spontaneo festeggiare una stagione di rinascita dei diritti e del dibattito sui temi etici. Vale la pena ricordare che neanche il Pd si distingue per l’estraneità all’influenza dei pro life. L’attuale segretario, Nicola Zingaretti, quando era Commissario straordinario per la Sanità nel Lazio portò nelle casse degli ospedali religiosi 405 milioni di euro, mentre la sanità pubblica e laica languiva. E non si può non citare la capogruppo del Pd di Verona, Carla Padovani, che firmò la famosa e controversa mozione a favore della vita, o alcune iniziative dell’ex ministra della salute Beatrice Lorenzin (deputata Pdl, ma che ha poi sostenuto Renzi nel 2017), notoriamente cattolica, che più volte ha espresso vicinanza alle posizioni pro life.

Nel nostro Paese manca una legge sulle lobby: i gruppi di pressione. Nel 2017, su iniziativa dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini, nacque il primo registro dei cosiddetti “rappresentanti di interesse in Parlamento”. Il registro è però confusionario, poco chiaro e soprattutto non vigilato da alcuna relazione annuale. Questo dà facoltà alle lobby, tra cui quelle cattoliche e pro life, di agire indisturbate, a volte interferendo con il processo democratico. Altro che la famosa lobby gay: visti i diritti LGBTQ+ del nostro Paese, sarebbe la lobby più sfigata del mondo. I risultati di quella cattolica, invece, sono sotto agli occhi di tutti.

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