I pro-life dicono di voler difendere la vita. Tranne se arriva su dei barconi via mare.

Nel 2013, si svolse il primo grande convegno italiano sulla “teoria del gender” nella città, ça va sans dire, di Verona. Come spiega la sociologa Sara Garbagnoli, il triennio 2011-2013 fu infatti cruciale per la diffusione dell’espressione “teoria (o della sua variante “ideologia”) del gender”, anche grazie alla recente approvazione delle leggi sul matrimonio egualitario in Francia, Paese in cui il movimento Manif Pour Tous riuscì a monopolizzare l’opinione pubblica sul tema. A quel convegno veronese – ha fatto notare l’autore del blog “Playing the Gender Card” Yàdad De Guerre – era presente anche l’autore cattolico Mario Palmaro, che affermò: “L’approvazione di queste leggi è oggettivamente molto più grave di molte sciagure che oggi attraggono l’attenzione dei mass media laici e cattolici: che il Parlamento italiano approvi una legge sull’omofobia, ad esempio, è incommensurabilmente ben più grave dell’affondamento di un barcone di immigrati al largo della Sicilia”, che Palmaro definì un “accadimento empirico”, come un incidente stradale, e non il risultato della negligenza delle politiche di immigrazione. Non esattamente quanto ci si aspetterebbe da chi si professa a favore della vita. 

Recentemente, il Popolo della Famiglia di Adinolfi ha divulgato una nota stampa in cui esprime massima solidarietà al tabaccaio di Ivrea che ha sparato dal balcone di casa sua contro un ladro, uccidendolo. “Il signor Iachi ha reagito per difendere se stesso e la sua famiglia, adeguandosi al dettato del Catechismo della Chiesa Cattolica 2264: ‘L’amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità […] Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale’”. Proprio in questi stessi giorni, Adinolfi sta portando in giro per l’Italia un ciclo di conferenze sul tema del fine vita. Vita che, come specificato dal programma del Popolo della Famiglia, fa parte di quei “valori non negoziabili” e va “dal concepimento alla morte naturale”, ed eventualmente, si può aggiungere, a quella procurata da un Revolver 357.

Mario Adinolfi

Fare due pesi e due misure sul valore della vita non è di certo prerogativa esclusivamente italiana. In alcuni Paesi degli Stati Uniti, come noto, è stata approvata una serie di leggi molto restrittive nei confronti del diritto di aborto, con l’obiettivo di rimettere in discussione la sentenza Roe vs. Wade del 1973, con cui la Corte suprema aveva sancito l’incostituzionalità delle leggi che proibiscono l’interruzione di gravidanza. In alcuni di questi Paesi si è giunti a una situazione paradossale: accanto alle leggi che “proteggono la vita” dei bambini non nati, ve ne sono altre che rendono possibile la pena capitale. L’Alabama, che ha approvato una legge che vieta l’aborto in qualsiasi caso, ha il tasso di sentenze di pena di morte pro capite più alto degli Stati Uniti. Ma il caso più assurdo è quello del Texas, in cui lo scorso aprile si è dibattuto sulla possibilità di somministrare la pena capitale proprio per le donne che interrompono la gravidanza. La motivazione è semplice: per i pro-life, l’aborto è omicidio, e l’omicidio si sconta con la vita. Il governatore del Texas Greg Abbott si era già espresso su chi lo criticava per essere un fervente pro-life ma anche un sostenitore della pena di morte: “La differenza, ovviamente, è tra una vita innocente e chi porta via una vita innocente”, aveva detto nel 2014.

Greg Abbott

Non è la prima volta che i fondamentalisti anti-aborto dimostrano tutta la loro ipocrisia sul tema. All’inizio degli anni Novanta, l’America fu scossa da una serie di omicidi ai danni di medici e donne da parte di fondamentalisti pro-life, per cui alcuni autori parlano di “terrorismo anti-abortista”. Nel 1993 l’attivista Michael F. Griffin, che stava protestando fuori da una clinica, uccise il ginecologo David Gunn. L’anno successivo si verificarono altri due attacchi: il primo in Florida, dove Paul Hill sparò a un dottore e alla guardia di una clinica ginecologica; il secondo, per mano di John Salvi, costò la vita a due dipendenti di Planned Parenthood a Boston e il ferimento di cinque donne in attesa dell’intervento. L’ideologo di questi attacchi, Matt Trewhella, pastore della chiesa di Milwaukee Missionaries to the Pre-Born, firmò un appello in difesa di Griffin dicendo che l’omicidio da lui commesso era “giustificabile” in quanto avrebbe salvato altre vite innocenti. L’appello fu firmato anche da Paul Hill, che pochi mesi dopo imbracciò il fucile per mettere in atto la sua personale idea di “giustizia”.

Anche nel lungo documento programmatico Ristabilire l’ordine naturale di “Agenda Europe”, un’organizzazione di membri delle istituzioni europee che secondo l’European Parliamentary Forum on Population & Developement “mette a punto strategie su ‘obiettivi realizzabili’ per far retrocedere i diritti umani in materia di salute sessuale e riproduttiva in Europa”, sono scritte nero su bianco alcune eccezioni al diritto alla vita. Tra queste, insieme alla legittima difesa, c’è la sentenza capitale: “La pena di morte non è di per sé illegittima se è proporzionata al crimine che deve sanzionare e/o al pericolo che il delinquente rappresenta per la società. […] Si dovrebbe fare una differenza tra la vita innocente (che gode di protezione assoluta) e la vita di un aggressore (che gode di minor protezione)”. Anche in questo caso, come per il governatore del Texas, la vita è un dono, ma solo se non sei ancora nato.

Obiezioni simili sono state mosse, in generale, a tutti quei Repubblicani che si definiscono pro-life e pro-family ma poi sono a favore di misure inaccettabili dal punto di vista etico, come la separazione delle famiglie dei rifugiati o i centri di detenzione in cui i bambini vengono chiusi in gabbia. Lo stesso accade in Italia, dove i più ferventi attivisti anti-abortisti sono anche quelli che gioiscono di fronte ai barconi che affondano o vorrebbero sparare ai migranti. Anche le vite delle madri sembrano passare in secondo piano rispetto a quella del feto, nonostante Citizen Go si professi a favore delle donne e festeggi l’8 marzo con l’illustrazione di un feto con tanto di fiocco rosa. Che ne è della vita delle donne per chi propone di cancellare persino il diritto all’aborto terapeutico, che può salvare da morte certa, o considera le diagnosi prenatali che possono evitare complicazioni durante la gravidanza l’“eugenetica del terzo millennio”?

Il fatto stesso che uccidere un ladro dal balcone di casa propria o su una sedia elettrica sia perfettamente giustificabile, mentre ritenere che una donna che decide di interrompere una gravidanza che per svariate ragioni non vuole o non può portare a termine, applicando un diritto che le è garantito per legge sia omicidio, ci dice molte cose su cosa si celi davvero dietro la propaganda pro-life. Non certo la sincera convinzione di agire per un bene superiore o un inamovibile principio morale. Basta guardare i dati sull’obiezione di coscienza: se nel 2005 i ginecologi obiettori erano il 58,7%, oggi sono il 70,9% del totale. Un dato che non si spiega certo con un rinnovato sentimento religioso, visto che i cattolici praticanti sono sempre meno nel nostro Paese. Come evidenziato dall’antropologa Silvia De Zordo nella sua inchiesta sull’aborto in Italia, spesso l’obiezione è praticata per motivi di interesse economico

Non è quindi assurdo pensare che, accanto a chi è motivato da sincera misoginia e chi è disposto a chiudere un occhio sulla salvaguardia della salute delle donne per un ritorno economico, l’ipocrisia dei pro-life si giustifichi spesso con un preciso interesse politico. D’altronde anche Matteo Salvini si riempie la bocca di “diritto alla vita”, partecipa come relatore al Congresso mondiale delle famiglie, e, mentre sventola rosari, ribadisce le sue politiche anti-immigrazione, lasciando che le persone muoiano in mare.

Allo stesso modo, negli Stati Uniti i Repubblicani sostengono le politiche anti-abortiste perché sono una garanzia di voti negli Stati più religiosi e conservatori, come ad esempio il Texas e l’Alabama. Poco importa se quegli stessi elettori, pronti a lottare a qualsiasi costo per proteggere i diritti di un bambino che non è ancora nato, sono indifferenti di fronte all’orrore di migliaia di bambini immigrati rinchiusi nelle gabbie. Bisognerebbe ricordare al governatore Abbott che anche quelle sono vite innocenti.

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