Nel 2019, il cortometraggio di Rayka Zehtabchi Period. End of Sentence vinse l’Oscar come miglior documentario, inaugurando una presa di coscienza globale sul problema della povertà mestruale. Period mostra infatti l’iniziativa di alcune donne di Hapur, in India, che imparano a fabbricare con un semplice macchinario assorbenti biodegradabili e cominciano a venderli ad altre donne. Il risultato ottenuto è triplice: si crea una fonte di reddito stabile, si abbatte il tabù delle mestruazioni e si rende disponibile un prodotto fino ad allora molto costoso e difficile da reperire. Secondo la ong FSG, sono circa 500 milioni le donne, gli uomini transgender e le persone non binary che non dispongono di ciò di cui avrebbero bisogno per gestire serenamente le mestruazioni: questo numero ingloba non solo chi non ha abbastanza soldi per comprare gli assorbenti, ma anche chi non ha accesso a servizi igienici e acqua corrente, o chi a causa delle mestruazioni deve interrompere le attività abituali, come andare a scuola o al lavoro. Secondo l’Unicef, le persone che non riescono a “gestire in maniera dignitosa e salubre” le mestruazioni sarebbero addirittura 1,8 miliardi.
L’accesso ai prodotti di igiene mestruale e a servizi igienici adeguati dalle Nazioni Unite è considerato una violazione dei diritti umani. La situazione è particolarmente grave nei Paesi poveri o in via di sviluppo: in Uganda, il 90% delle ragazze non soddisfa quelli che sono considerati i criteri minimi per una buona salute mestruale, che riguardano la qualità degli assorbenti, la frequenza del loro ricambio, la loro pulizia e la privacy; si stima inoltre che il 25% delle assenze scolastiche delle ragazze ugandesi sia dovuto proprio alle mestruazioni. Uno studio, condotto su 3418 donne keniote, ha invece scoperto che due terzi delle intervistate riceveva i prodotti mestruali dai propri partner sessuali e il 10% delle quindicenni dichiarava di essersi prostituita per avere in cambio assorbenti. In India, Paese che da anni affronta una grave crisi dei servizi igienici, il rischio di infezioni per un’igiene inadeguata riguarda il 75% delle persone che hanno le mestruazioni.
Ma il problema della povertà mestruale non riguarda affatto solo le aree più povere del mondo. Nel 2015 l’articolo del Time “America’s Very Real Menstrual Crisis” aprì gli occhi su un problema inespresso: anche in una delle economie più avanzate al mondo come sono gli Stati Uniti esistono infatti milioni di donne che non hanno abbastanza soldi per acquistare i prodotti di igiene mestruale. Un’inchiesta di Type Investigation del 2010 scoprì che in Connecticut, uno degli stati con i peggiori sistemi di welfare, alcune donne vendevano illegalmente i buoni pasto statali – che potevano essere usati solo per gli acquisti alimentari – per comprare altri beni di prima necessità, tra cui gli assorbenti. In un recente studio, condotto su studentesse universitarie statunitensi, è risultato che il 14,2% del campione ha sperimentato la povertà mestruale almeno una volta nella vita e il 10% ne è afflitto ogni mese. Una ragazza americana su cinque è uscita prima da scuola o ha saltato un’intera o più giornate di lezione perché non aveva a disposizione assorbenti. Anche nel Regno Unito c’è sempre maggior preoccupazione riguardo al tema della period poverty, che è peggiorata durante la pandemia: il 30% delle donne e ragazze inglesi ha infatti avuto maggiori difficoltà nel potersi permettere i prodotti di igiene mestruale durante il lockdown e il 54% di loro ha usato la carta igienica come alternativa.
La povertà mestruale è un problema globale e, anche se non ci sono ancora dati ufficiali, esiste anche nel nostro Paese: basti considerare che 2 milioni e 277mila donne in Italia vivono in stato di indigenza. Contrariamente a quanto si crede, la povertà assoluta è una condizione che riguarda soprattutto i giovani: l’incidenza negli under 35 è quasi doppia rispetto agli over 64. Questo significa che, presumibilmente, la maggior parte delle donne che si trovano in stato di povertà dovrà anche provvedere alla spesa per i prodotti di igiene mestruale. Come ha ricordato anche la cantante Francesca Michielin in un tweet, la spesa per gli assorbenti è tutt’altro che trascurabile: secondo un articolo di Milena Gabanelli, la cifra annuale sostenuta per gli assorbenti sarebbe di 126 euro l’anno, per un prezzo medio di 4-5 euro a confezione. Questo stesso calcolo di Gabanelli – e in particolare la stima di 22 euro l’anno di Iva – era stato citato dal Ministero dell’Economia in risposta a un’interrogazione scritta presentata a novembre 2020 da alcuni parlamentari del Pd, che avevano chiesto di sapere come il Ministero fosse arrivato alla cifra di 300 milioni di euro, l’ammontare sottratto alle casse dello Stato nel caso di una riduzione dell’Iva sugli assorbenti al 5%.
Come ricostruito dal sito di fact checking Pagella Politica, però, il risultato di 300 milioni di euro – cioè 22 euro moltiplicato per tutte le donne in età fertile – sembra parecchio esagerato: lo stesso articolo di Gabanelli, citando un dato fornito da aziende produttrici di assorbenti, sosteneva che l’introito per lo Stato dalle tasse sugli assorbenti sarebbe di 65 milioni; per l’onlus WeWorld, dalla vendita dei prodotti mestruali le tasse ricavate (e di conseguenza la spesa che lo Stato dovrebbe prevedere in caso di una eliminazione della tampon tax) ammonterebbero invece a 72 milioni di euro. Ma il documento programmatico di bilancio 2021 non prevede l’eliminazione dell’Iva, bensì una sua riduzione al 10%. Sempre secondo WeWorld, per arrivare al 4% (l’aliquota prevista per i beni di prima necessità) sarebbero necessari solo 70 milioni di euro, una cifra più che sostenibile per lo Stato.
La riduzione o l’eliminazione della tampon tax è una delle strategie che sono state messe in campo da diversi Paesi per contrastare la povertà mestruale: molti Paesi – in Africa, Asia e America Latina – hanno eliminato la tassazione sugli assorbenti, tra cui il Kenya, l’India, la Jamaica, il Nicaragua, la Nigeria, la Tanzania, il Libano, la Malesia, la Colombia, il Sud Africa, la Namibia e il Rwanda. Il Canada l’ha eliminata nel 2015, estendendola anche alle coppette mestruali. Per quanto riguarda l’Europa, l’Irlanda non ne ha mai avuto una tampon tax, il Regno Unito ha tolto qualsiasi tassazione dagli assorbenti dal 1° gennaio di quest’anno, mentre la Germania ha riclassificato i prodotti di igiene mestruale come beni di prima necessità, portando l’aliquota dal 19 al 7%.
Le tasse, però, non bastano: il problema della povertà mestruale affligge in particolar modo le studentesse, che ancora non sono economicamente autosufficienti. Per questo una soluzione sempre più adottata – anche perché facile da mettere in pratica – è quella di fornire gli assorbenti gratuitamente negli edifici pubblici, come le scuole e le università. Il primo Paese al mondo è stato la Scozia, con una votazione approvata all’unanimità dal Parlamento e un investimento di 5,2 milioni di sterline. Si tratta di una legge importante non solo per la distribuzione in sé, ma anche perché per la prima volta ha stabilito per legge che “chiunque abbia bisogno di prodotti per le mestruazioni ha diritto di averli gratuitamente”. A seguire, la fornitura gratuita degli assorbenti è stata resa effettiva in tutto il Regno Unito a partire dal 1° gennaio 2020 e misure simili sono state approvate anche in Nuova Zelanda e in alcuni degli Stati americani, come la California e Washington.
Oltre alla questione economica, altre conseguenze della povertà mestruale che non vanno sottovalutate sono quelle relative alla salute mentale. La period poverty è stata infatti associata anche a una maggior incidenza di ansia e depressione e, in ambito scolastico, difficoltà a concentrarsi. Come mostrano le reazioni al tweet di Michielin – tra chi faceva il solito benaltrismo, chi le insegnava come doveva gestire il suo ciclo mestruale e chi le faceva conti in tasca – in questo Paese stigma sulle mestruazioni e povertà mestruale vanno di pari passo. Finché non ci si renderà conto che il ciclo è un fatto politico, condizionato anche dalle disuguaglianze sociali ed economiche, non si riuscirà a mettere quel punto fermo alla period poverty di cui tanto avremmo bisogno.