La scorsa settimana, il Parlamento europeo ha approvato un importante pacchetto legislativo a tema energia. Gli eurodeputati hanno stabilito che l’efficienza energetica nell’Ue dovrà essere migliorata del 32,5% entro il 2030, mentre le rinnovabili dovranno rappresentare almeno il 32% del consumo finale lordo della comunità. Entrambi gli obiettivi saranno rivisti entro il 2023 e potranno solo essere innalzati, non abbassati.
Si tratta di un importante passo in avanti, specialmente se consideriamo che nel 2017 la percentuale di energia rinnovabile prodotta nell’Unione Europea è stata del 17%, di 25 punti percentuali inferiore. È inoltre un risultato migliorativo rispetto alle richieste della Commissione, che puntava a quote più basse, ma forse ancora non sufficientemente ambizioso se vogliamo raggiungere le condizioni di sostenibilità indicate lo scorso ottobre dagli scienziati dell’Ipcc. Un’altra importante novità che arriva da questa votazione è il riconoscimento di un fenomeno diffuso, ma ancora poco considerato, quello della povertà energetica.
Nella maggior parte degli Stati europei non c’è ancora una definizione giuridica ufficialmente riconosciuta di “povero energetico”. “C’è una difficoltà in generale nel quantificare il problema in maniera precisa,” ci ha raccontato l’eurodeputata Eleonora Evi, membro della Commissione energia del Parlamento Europeo. “Questo è male perché è difficile fare una fotografia precisa, non avendo una definizione chiara, dentro entra di tutto e di più.” La definizione di povertà energetica, in effetti, richiama un concetto che può sembrarci lontano, di un mondo in cui non esistono la corrente elettrica o l’acqua corrente, ma non è affatto così. Volendo rifarci alla definizione di povero energetico stabilita nel 1991 nel Regno Unito, vertono in condizioni di povertà energetica i nuclei familiari che spendono più del 10% del proprio reddito per riscaldare adeguatamente la propria abitazione, così come ovviamente tutti coloro che non riescono a farlo.
In Europa la povertà energetica colpisce un cittadino su quattro, tra i 40 e i 50 milioni di persone. A influire sulle difficoltà nel rifornimento di luce e gas non è solo la precarietà economica ma anche e soprattutto lo stato di buona parte degli edifici del vecchio continente: poco efficienti sul piano energetico, umidi e difficili da riscaldare. Secondo l’Osservatorio europeo sulla povertà energetica sono circa 80 milioni gli europei che vivono in case inadeguate e malsane. Un dato preoccupante soprattutto se si pensa che simili condizioni portano alla morte di circa 100mila persone all’anno.
Secondo l’Istat, nel 2016 il 16% delle famiglie italiane, circa 9,4 milioni di persone, hanno riscontrato difficoltà nel pagare le bollette e i poveri energetici sono circa 3,9 milioni. L’Italia è inoltre tra i Paesi europei con la più grossa quota di abitazioni umide, che presentano perdite e necessitano riparazioni a tetti e infissi; il 23% del totale si trova i queste condizioni, ponendo il nostro Paese alla sesta posizione tra i 28 Stati membri. Non stupisce se si considera che l’80% degli edifici sul nostro territorio è inadeguato anche dal punto di vista architettonico e strutturale.
Il pacchetto energia approvato in Parlamento lo scorso 13 novembre rappresenta sicuramente un buon inizio verso il riconoscimento di questo fenomeno, e la sua successiva risoluzione. Miroslav Poche, eurodeputato socialista, relatore del testo di legge, ha definito questo pacchetto “un buon affare per i nostri cittadini” in quanto, ha spiegato, “porterà a importanti riduzioni del consumo energetico, riducendo così le bollette”. “Finalmente si inserisce nel testo legislativo di una norma europea un riferimento chiaro,” ha aggiunto Evi, “si parla di povertà energetica e si da compito agli Stati membri di monitorarla in maniera precisa, sensibilizzare verso il problema, raccogliere dati e arrivare ad avere piani nazionali in cui si affronta il tema in maniera specifica”.
A questo punto, tutto dipenderà da come i governi dei singoli Stati membri recepiranno la normativa europea. A partire da questo momento infatti, ogni Paese ha un anno di tempo per presentare un “piano nazionale integrato per l’energia e il clima”, con obiettivi, contributi, politiche e misure nazionali. In Italia, l’attuale governo non sembra aver messo l’ambiente al primo posto delle priorità, nonostante gli annunci – ancora tutti da concretizzare – in merito alla manovra.
Secondo quanto emerso in sede di dibattimento nell’emiciclo di Strasburgo, il tema della povertà energetica andrebbe affrontato da tre punti di vista. Prima di tutto, da quello dell’efficientamento energetico delle abitazioni, sia di quelle popolari che di quelle private attraverso incentivi alla ristrutturazione. Questo genererebbe subito un guadagno in quanto permetterebbe di ridurre i consumi e quindi i costi in bolletta, a beneficio anche dell’ambiente. Il vicepremier Luigi di Maio, all’indomani del report dell’Ipcc, aveva annunciato di voler stanziare 250 milioni per il triennio 2018-2021 proprio a questo scopo, ma al momento non c’è ancora alcuna certezza sui dettagli della manovra. A Strasburgo, eurodeputati vicini al governo ci hanno fatto sapere che, all’indomani dell’approvazione del pacchetto energia, Roma non aveva ancora dato un riscontro a riguardo.
Un altro punto di vista da cui affrontare il problema è sicuramente quello degli aiuti. Nel 2007 il governo di Romano Prodi aveva introdotto il Bonus sociale Luce e Gas, che doveva servire a sostenere le famiglie indigenti nel pagamento delle bollette. Da allora, però, solo un terzo degli aventi diritto è riuscito a usufruire del supporto, in quanto, come ha spiegato Andrea Peruzy, presidente e amministratore delegato dell’Aquirente Unico, non è automatico ed è dunque complesso da ottenere. Questa sarebbe una strada già tracciata dai governi precedenti, che l’attuale potrebbe implementare: incrociare i dati sui consumi con quelli sull’Isee, come per esempio avviene per la raccolta del canone Rai.
Infine, il diritto all’autoconsumo, un aspetto contingente ma importante. In base alla legislazione appena approvata a Strasburgo, gli Stati membri dovranno garantire ai cittadini il diritto di produrre energia rinnovabile per il proprio consumo, di immagazzinarla e di vendere la produzione in eccesso. In Italia abbiamo già un simile esempio, a Porto Torres, dove il comune a guida Cinque Stelle ha stanziato 500mila euro per l’istallazione di pannelli fotovoltaici sui tetti delle abitazioni di 100 famiglie indigenti, così da alleggerire la bolletta dei proprietari e permettere la vendita in rete, tramite un contratto stipulato tra i cittadini e il gestore del servizio elettrico, dell’energia in eccesso. Nonostante l’assegnazione dei pannelli sia stata accompagnata da alcune polemiche, dovute al fatto che in graduatoria erano presenti diversi nomi di familiari di membri della giunta e di consiglieri, si tratta di un modello virtuoso, che potrebbe essere replicato anche altrove.
Sono molti i governi europei che, specialmente in questi anni complessi, hanno trovato nell’Unione europea il capro espiatorio perfetto: è percepita come lontana dai cittadini, impone vincoli spesso impopolari e non ha particolari strumenti per difendersi dalle accuse. Sia il M5S che la Lega hanno sempre espresso posizioni piuttosto dure nei confronti delle istituzioni comunitarie, nonostante, almeno per quanto riguarda Matteo Salvini, vi abbiano seduto per diverso tempo. Eppure spesso sono proprio quelle istituzioni a portare avanti le battaglie che dovrebbero essere più care agli esponenti di questo governo, specialmente dal lato a Cinque Stelle. Riconoscere sul piano europeo la povertà energetica come un problema da affrontare significa imporre agli Stati membri di implementare misure che, da un lato, aiutino i cittadini più bisognosi, e dall’altro facciano un passo in direzione della sostenibilità ambientale. Sono anche questi i motivi per cui, tutto sommato, restare nell’Unione europea è più che un buon affare per tutti.