Perché si può essere politicamente corretti e liberi di esprimersi

La destra italiana, quella un po’ sorella di Bannon, un po’ nipote di Mussolini e un po’ figlia di Putin, ha trovato le due parole magiche da inserire nella sua narrazione: “politicamente corretto”. Nella sua visione questo è un insulto che vale per tutte le stagioni, e che può voler dire tutto o niente. Quando qualcuno osa criticare le sue idee, anche le più fragili, di certo appartiene alla “dittatura del politicamente corretto”. Questa è un’arma che proviene dalle destre di tutto il mondo, non c’è nemmeno l’originalità di fondo, eppure funziona, in Italia come altrove. In pratica gli impulsi razzisti, xenofobi e omofobi di destra hanno trovato una loro giustificazione proprio in seguito alla creazione di un politicamente corretto come freno alla libertà d’espressione. Ovviamente questa è un’idiozia partorita da una propaganda che si basa sull’odio, è la Storia a dimostrarlo.

Il politicamente corretto nasce come una forma di rispetto, un anticorpo verbale contro le discriminazioni e i pregiudizi razziali, sessuali e sociali. Alla fine degli anni Ottanta questo fenomeno, nato nelle principali università americane, si è esteso a scala mondiale. Inizialmente ci si è concentrati sulla sostituzione di alcuni termini offensivi riferiti a minoranze, a persone appartenenti a diversi gruppi etnici, persone omosessuali o disabili. Fin qui nulla di contestabile, è la naturale evoluzione della lingua che si adegua al contesto storico, nonché al freno contro la violenza verbale. La cosa però si è estesa fino a diventare una sorta di censura mediatica, arrivando a definire veri e propri argomenti tabù, campi minati. Quindi sono diventati politicamente scorretti i comici senza filtri, le pagine di Charlie Hebdo, gli anticonformisti, la satira più degna di questo nome. Tutto ciò però non riguarda certo il concetto di politicamente corretto che hanno costruito Salvini e compagnia, che invece è soltanto un tentativo di istituzionalizzare l’odio.

Oggi i politici di destra si ribellano al politicamente corretto parlando di qualcosa che non è attinente al suo significato originario. Una delle frasi simbolo della scorsa campagna elettorale di Trump è stata: “Penso che il grande problema di questo Paese sia il dover essere politicamente corretti”. Il problema è che Trump confonde il politicamente scorretto con la disumanità. Questo processo ha portato l’opinione comune a legittimare pensieri di una violenza inaudita. Trattare le donne come oggetti e i migranti come capi di bestiame non è una forma di anticonformismo, infatti, ma di inciviltà. Trump non è un fine pensatore che si ribella a una presunta dittatura linguistica, ma un barbaro che rappresenta in pieno il decadimento della nostra civiltà, l’ottusità al potere. E l’Italia, terra di emulatori di rimando, cerca di seguire la scia del tycoon.

Salvini in occasione del Festival di Sanremo ha dichiarato: “A Sanremo hanno già deciso il vincitore, sarà di sinistra e politicamente corretto”. Alla fine ha vinto Diodato, e il deputato leghista Edoardo Ziello si è lamentato su Facebook per l’appoggio del cantante all’ong Mediterranea, parlando di vittoria del “sinistro pensiero”. D’altronde per la Lega l’accoglienza rientra nel politicamente corretto, come se salvare vite fosse un’azione di facciata e non un dovere. Questo concetto distorto, con i “buonisti” alfieri del politicamente corretto, ha determinato la fuoriuscita di opinioni che un tempo restavano sigillate nelle menti di certe persone per un semplice senso del pudore. Adesso c’è il via libera di Salvini: tirate fuori i vostri pensieri orrendi, siete giustificati. Seguendo questa formula, non c’è da stupirsi se in un futuro nemmeno troppo remoto venissero sdoganate nuove forme di cattiveria. Ad esempio, chi accoglie le persone omosessuali nei ristoranti, assume persone transessuali, o non considera le persone di origine africana una razza inferiore segue la dittatura del politicamente corretto. Quello che un tempo credevamo moralmente impensabile è stato sdoganato, a questo punto sarebbe lecito aspettarsi pericolose derive di questo tipo. Se molti, in passato, hanno criticato il politicamente corretto, nell’accezione che limitava la satira o il black humour, adesso ci troviamo nella condizione di avere il dovere morale di considerarlo un sinonimo di giustizia, seguendo la logica dei sovranisti che lo contrappongono alla loro intolleranza. Per Giorgia Meloni “il politicamente corretto ha offuscato la mente di molti”, ma se il suo contrario è proporre di “affondare i barconi” o candidare i nipoti di Mussolini, allora non è difficile scegliere da che parte stare.

Un altro risvolto tragicomico è rappresentato dalla pretesa della destra di appartenere a una cerchia di “ribelli” pronti a combattere contro il moralismo, i convenevoli e l’immobilismo della formalità, quando in realtà il grido di battaglia viene dai più rigidi conservatori della classe politica. Salvini e Meloni che sguazzano negli ambienti pro-vita, presenziano ai raduni delle famiglie e costruiscono la loro immagine su motti antidiluviani – Dio-Patria-Famiglia, cosa c’è di più politicamente corretto? – non fanno altro che rimarcare questa ipocrisia. È però conveniente a livello di consensi, perché porta i propri elettori a considerarsi un battaglione e non un insieme di individui, una formazione bellica che crede di essere nel giusto soltanto perché si sente in diritto di pronunciare parole abominevoli. Limitare i diritti degli omosessuali e odiare “lo straniero” non conferisce lo stato di individuo scomodo, scorretto, anticonformista, ma ne esalta la mostruosità del pensiero.

In un Paese evoluto queste affermazioni non avrebbero possibilità di attecchire. In Italia invece fanno presa, e chi osa contraddirle finisce nella categoria dei succubi del “pensiero dominante”. Perché sì, nella narrazione delle destre, il politicamente corretto confluisce nel pensiero dominante, un invisibile statuto politico, sociale e filosofico che tiene le redini del mondo occidentale. Se si ha la capacità di aprire gli occhi e di guardare oltre questi deliri però è facile rendersi conto che il mondo è dei Trump, dei Johnson, dei Putin, dei Bolsonaro, degli Orban, e che quindi il pensiero dominante, purtroppo, sembra essere il loro.

Jair Bolsonaro
Vladimir Putin

Per smontare una propaganda non serve costruirne un’altra o affrontare l’avversario politico sullo stesso campo di battaglia: è necessario affidarsi ai fatti, alle verità inoppugnabili. Salvini e compagni non entrano mai nel merito dei confini del politicamente corretto, non ne spiegano il reale significato, non danno un volto ai “nemici del pensiero dominante”, non quantificano la loro soglia di tolleranza: fino a dove è lecito spingersi con le parole, non è dato sapersi. Quando il leader leghista attua discriminazioni su base etnica, come ad esempio la celebre frase “I rom italiani purtroppo dobbiamo tenerceli”, è possibile fargli notare la natura discriminatoria e quindi illecita delle sue parole o si rientra ancora una volta nel politicamente corretto? Quando Fratelli d’Italia non festeggia il 25 aprile possiamo dire a Meloni che i patrioti non sono loro? La politica dello sciacallaggio purtroppo si sedimenta nelle coscienze e ha influenze profonde e durature. Per resistere a questa narrazione martellante è importante avere ben chiaro ciò che è etico e ciò che non lo è, ed esercitare quotidianamente il proprio pensiero critico, invece di affidarsi a chi la spara più grossa e a chi con i propri giri di parole dipinge una realtà distorta, corrotta e dominata dall’odio.

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