Il patriottismo non è orgoglio per le proprie origini ma solo un alibi per alimentare l’odio - THE VISION

Dalla nascita degli Stati nazionali durante l’Ottocento, l’idea di patria e del sentimento patriottico hanno conosciuto un’espansione esponenziale in gran parte del mondo, per cementificare le popolazioni attorno alle nuove istituzioni di massa alla base delle Nazioni moderne. In Diari di guerra, George Orwell spiega come Hitler e Mussolini riuscirono a conquistare il potere facendo leva sul patriottismo, una forza che definisce estremamente più persuasiva e impattante persino del cristianesimo e del socialismo internazionale, concludendo però con ironia che il suo grande limite è che “Nessuno è patriottico quando si tratta di pagare le tasse”. Nel 2022 sono ancora all’opera quegli stessi meccanismi identificativi che portano molti cittadini a sentirsi orgogliosi per un fatto di suolo e sangue, in quanto la patria non può essere scelta ed è un astrattismo che diventa il motore indiretto di ogni barbarie. Il 9 maggio, alla parata del Giorno della Vittoria, Vladimir Putin ha esortato i soldati russi a “combattere per la madrepatria e per il suo futuro”, ricevendo un’ovazione dalla folla. Lo scrittore Friedrich Dürrenmatt spiegava bene questa dinamica: “Patria, si fa chiamare lo Stato ogni qualvolta si accinge a uccidere”.

È come se quel pro patria mori di oraziana memoria fosse inciso nell’identikit di ogni nazione. Il nostro stesso inno recita “Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò”, come se non ci si potesse sottrarre a un dovere di difesa che diventa d’attacco, tollerando la morte propria quanto quella dei nemici soltanto per motivi d’appartenenza a dei confini. E così l’inganno del patriottismo ha reso appetibile e contenitore di orgoglio una parola che rischia di giustificare i peggiori atti. Gli storici, i filosofi e i più grandi intellettuali della Storia hanno più volte analizzato questo paradosso, rifiutando l’accezione di patria che riconduce alla giustificazione di un’azione spesso spregevole. Così il patriottismo è per Jorge Luis Borges “la meno perspicace delle passioni”, per Bertrand Russell “la volontà di uccidere ed essere uccisi per futili motivi”, per Samuel Johnson “l’ultimo rifugio di una canaglia”. Eppure oggi anche i politici italiani sono tornati a utilizzare certi termini per solleticare le masse. Non ci stupiamo che a farlo sia principalmente Giorgia Meloni.

Jorge Luis Borges
Bertrand Russell

Dopo aver ribadito più volte il motto “Dio, patria, famiglia”, fingendo di prendere spunto da Mazzini e non dal fascismo, Meloni ultimamente ha rilanciato sui social la parola “patriota” per decorare vari cittadini italiani con manto di nobiltà posticcio. Qualche mese fa, in occasione delle votazioni per il Presidente della Repubblica, ha dichiarato di volere “un patriota al Colle”. A precisa domanda, ha risposto che Berlusconi lo è. Ovvero un condannato in via definitiva per frode fiscale, e che quindi ha recato un danno allo Stato. Meloni si rifà al concetto di patria tipico delle destre di tutto il mondo, quello per cui la sola patria che conta è la propria, sconfinando quindi nel nazionalismo. La patria viene così vista come un valore, un concetto che sfiora la sacralità, e secondo rigor di logica allora anche le altre patrie dovrebbero essere considerate altrettanto sacre. Qui però entra in gioco il processo che cozza con l’autodeterminazione dei popoli: la destra, specialmente se figlia diretta o indiretta del fascismo, non conosce alcuna pluralità nel concetto di patria, che è invece esclusivo e legato alle invisibili radici che tengono aggrappato il cittadino al luogo di nascita. Dunque, come scriveva George Bernard Shaw già nel 1893 ne Il mondo, “Il patriottismo è, fondamentalmente, la convinzione che un particolare Paese è il migliore del mondo perché ci siete nati”.

Giorgia Meloni
Silvio Berlusconi

Il premio Nobel irlandese si spinse oltre, scrivendo che “Il mondo non sarà mai un posto tranquillo finché non si riuscirà a estirpare il patriottismo dalla razza umana”. Il Diciannovesimo secolo fu ricco di testimonianze legate al rifiuto della patria come valore fondante di un individuo. Giacomo Leopardi scrisse nello Zibaldone: “Dovunque si è trovato amor vero di patria, si è trovato odio dello straniero”. Lev Tolstoj è arrivato a definire il patriottismo “un sentimento artificiale e irragionevole, funesta origine della maggior parte dei mali che desolano l’umanità”, e negli stessi anni partecipò al dibattito internazionale anche il collega francese Guy de Maupassant, asserendo che “se la guerra è una cosa orribile, il patriottismo non sarebbe l’idea-madre che la tiene in vita?”. Era un secolo che non aveva ancora conosciuto i totalitarismi del Novecento, basati principalmente sull’esasperazione del concetto di patria per dividere i popoli e portare la propria nazione, con una visione imperialista, a lottare per un predominio territoriale, culturale e identitario. Le guerre di conquista non furono altro che un tentativo di rendere la propria patria superiore alle altre. Hitler voleva ripristinare la Grande Germania dopo l’umiliazione del trattato di Versailles seguito alla sconfitta tedesca nella Prima guerra mondiale; Mussolini invase l’Etiopia e la più vicina Albania in nome della patria, entità che gli autocrati hanno sempre utilizzato come leva per sbloccare sentimenti ancestrali, per quanto distorti dalla propaganda, nei popoli. La patria viene così dipinta come qualcosa di protettivo – non a caso spesso viene definita madrepatria –, un fenomeno che sfiora i contorni della superstizione, del credo cieco, dell’aderenza a un’ortodossia che non ha ideali ben definiti ma che richiama all’ordine, al dovere. Dovere principalmente di morte, con il simbolo del milite ignoto sacrificato per la propria nazione.

Adolf Hitler e Benito Mussolini, 1936

Anche a sinistra storicamente si è arrivati più volte a concepire questo sacrificio come inevitabile, a partire dal “Patria o muerte” di Che Guevara. Però le teorie originarie del marxismo vertevano su ben altri concetti. Il più importante riguarda l’internazionalismo proletario, che era in netta opposizione con il nazionalismo liberale della borghesia. È una teoria che ripudia le guerre tra nazioni, in quanto non è nell’interesse della classe operaia imbracciare le armi per uccidere altri operai o salariati, ma in caso contro i padroni oppressori. Ed era un invito internazionale che superava il concetto di patria, “Proletari di tutti i Paesi, unitevi!”, con un’azione di solidarietà senza confini per raggiungere una rivoluzione mondiale. Quando il comunismo ha tradito gli ideali di Marx, creando nel Novecento diverse forme di dittatura, l’internazionalismo è venuto meno, spinto dal “socialismo in un solo Paese” di Stalin, seguito a ruota dalla Cina e da altri Stati. Si è così tornati a una visione bidimensionale del mondo, e persino i monumenti sono stati eretti per promuovere il richiamo al dovere per la patria. Il più famoso forse è La Madre Patria chiama!, statua eretta negli anni Sessanta a Volgograd, ex Stalingrado. In tal modo la narrazione comunista si è avvicinata a quella della destra, concependo la visione di patria con tratti quasi taumaturgici, se non divini. Il cittadino deve così rispondere alla patria, a una chiamata superiore da cui non è possibile sottrarsi, ieri come oggi. Non a caso, durante l’invasione della Germania nazista ai danni dell’Unione sovietica nel 1941, Stalin e la sua propaganda trovarono proprio nel concetto di patria il motore della resistenza contro l’invasore, unendo tutti i popoli dell’Unione sovietica sotto la bandiera della Grande guerra patriottica, come ancora oggi è ricordata la Seconda guerra mondiale in Russia e in gran parte delle ex Repubbliche socialiste sovietiche, specialmente tra le generazioni meno giovani.  

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Che Guevara
Iosif Stalin

Negli scorsi giorni Putin si è recato in un ospedale di Mosca per visitare i soldati russi feriti durante i combattimenti in Ucraina. Li ha rincuorati dicendo che i loro padri saranno orgogliosi di loro, perché hanno combattuto per la patria. Questo di fronte a migliaia di soldati, spesso giovanissimi, mai tornati a casa, sepolti in fosse comuni o abbandonati per strada. Chi riuscirà a sopravvivere possibilmente riceverà una medaglia, soprattutto quelli che avranno ucciso più nemici “per il bene della patria”. È intollerabile che nel 2022 si usi ancora un senso di orgoglio generato esclusivamente da un luogo di nascita, e dunque da una casualità, per legittimare massacri e sottomissioni di ogni tipo. Finché continueremo a ragionare secondo questa logica, il mondo sarà sempre in mano a chi sarà più abile a usare il patriottismo come forza distruttiva e divisoria. Quando Socrate affermava di non essere un cittadino di Atene o della Grecia, ma del mondo, piantava i semi di un cosmopolitismo che nei secoli non è ancora germogliato in un’unità d’intenti, soffocato da chi continua ad arroccarsi in quella mentalità da tribù che si è estesa al concetto di patria.

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