A febbraio scorso l’opinione pubblica del Paese si è concentrata sulla Sardegna, dove i pastori sardi hanno dato vita a una protesta per il crollo del prezzo del latte durata diverse settimane. A metà marzo – giusto in tempo per l’ennesima campagna elettorale – la crisi sembrava essere rientrata, con la firma di un accordo tra i pastori e i rappresentanti del governo, che avrebbe garantito un aumento dei prezzi di vendita del latte. Sono passati cinque mesi e quell’accordo non è mai stato messo in pratica dalle istituzioni.
Nella primavera del 2018 gli imprenditori pagavano il latte ai caseifici 85 centesimi al litro, ma quest’anno il prezzo è crollato sotto i 60 centesimi. Il motivo sta nel mancato rispetto delle quote di produzione da parte di molti caseifici, spinti anche dalle multe irrisorie in caso di violazione. “La produzione in eccesso ha fatto crollare il prezzo del formaggio, passato da quasi dieci euro al chilo nel 2015 a quasi sei euro oggi”, ha raccontato Monia Melis su Internazionale. “Gli effetti ricadono sui 12mila allevamenti ovini che ci sono in Sardegna, dove si trova il 40% delle pecore in Italia”.
In una regione dove la pastorizia è uno dei settori chiave dell’economia è normale che quella che nasceva come protesta localizzata si sia trasformata in una contestazione su larga scala, con Blocchi stradali, sversamenti pubblici di latte, manifestazioni e cortei in diverse città della Sardegna. Durante un vertice con i rappresentati di governo, è stato chiesto ai pastori di interrompere le proteste fino alle elezioni regionali, in programma il 24 febbraio scorso. Al fallimento delle trattative Matteo Salvini, fiutato il potenziale ritorno di voti, ha intercettato le speranze dei migliaia di allevatori, promettendo il 12 febbraio che “entro 48 ore sarebbe stata trovata una soluzione” al dossier sul latte. Un accordo con i pastori è stato poi raggiunto non dopo 48 ore, ma a marzo inoltrato. Il nuovo prezzo al litro del latte sardo sarebbe salito immediatamente a 74 centesimi, mentre per novembre era previsto un conguaglio in base al prezzo di mercato del pecorino romano. Per i pastori l’accordo ha rappresentato un primo passo verso un futuro aggiustamento dei prezzi, anche se con tempistiche e cifre molto lontane da quelle assicurate da Salvini.
Le promesse del governo, soprattutto da parte leghista, si sono risolte in un nulla di fatto. Dopo cinque mesi l’aumento del prezzo del latte prospettato non si è verificato, spingendo i pastori sardi a minacciare di essere pronti a tornare in strada per ricominciare a protestare.
Dopo la firma dell’accordo Salvini e gli altri membri di governo, che per settimane avevano fatto la spola tra la terraferma e la Sardegna per farsi fotografare con i pastori, hanno interrotto le loro passerelle. Oltre al ritorno di immagine sembrava che, per una volta, alle parole fossero corrisposti i fatti. A vincere, però, non sono stati tanto i pastori, costretti ad accettare un accordo molto ridotto rispetto a quanto speravano, ma il ministro dell’Interno, forte di un risultato da mostrare agli elettori in vista delle regionali di fine febbraio e delle europee di maggio.
Ora che non ci sono più elezioni all’orizzonte, improvvisamente i pastori sardi hanno smesso di essere una priorità nell’agenda del governo. Non solo nessuno cerca più la foto al loro fianco, ma non si è nemmeno concretizzato il poco promesso in fase di contrattazione. Il prezzo di vendita non è salito, mentre nelle ultime settimane sono state notificate le denunce a chi ha guidato le proteste di febbraio, il presidente dimissionario del consorzio del Pecorino Romano Dop è tornato in carica e l’inchiesta sul prezzo del latte sardo avviata dall’Antitrust nei confronti del Consorzio si è chiusa con un nulla di fatto. Non è cambiato nulla, né per quanto riguarda il prezzo del latte sardo né per il contesto organizzativo e produttivo del Pecorino Romano Dop che se ne serve.
“Siamo stanchi e delusi da tutti, ci sentiamo presi in giro”, ha dichiarato nei giorni scorsi Gianuario Falchi, uno dei portavoce del movimento dei pastori. “C’è una forte probabilità che la gente possa tornare in strada sino a quando non si avvieranno le riforme che abbiamo chiesto con forza per costruire un sistema sano in cui chi produce latte crudo possa metterlo sul mercato e cederlo ai trasformatori che sono in grado di valorizzarlo e remunerarlo in maniera equa”, ha aggiunto. I pastori volevano e vogliono l’azzeramento dei vertici dei Consorzi e chiedono la convocazione di un tavolo presso il ministero delle Politiche agricole guidato dal leghista Gian Marco Centinaio. Dopo settimane di proteste avevano infatti conquistato un posto al tavolo delle trattative, ma oggi vengono invitati solo in qualità di osservatori alle varie discussioni, senza la possibilità di dare forza alle loro richieste.
Il piano su cui discutono Consorzi e Ministero è “sbagliato nella sostanza perché ripropone la filosofia di sempre”, denunciano i pastori. “I coefficienti di rappresentatività dei caseifici (quote di produzione) sono assegnati sulla base delle produzioni di Pecorino Romano delle annate precedenti, sforamenti compresi, con un incomprensibile sistema di sanzionamento che serve solo a far finta che tutto cambi per non cambiare niente, lasciando spazio ai soliti speculatori”. Il rischio è che continui a ripetersi lo stesso meccanismo di violazione endemica delle quote di produzione, ha che ha già portato una volta al crollo dei prezzi di vendita del latte per l’eccesso di offerta. “Noi riproponiamo un nuovo sistema di attribuzione delle quote, partendo dal concetto che ha diritto a produrne di più chi acquista dal pastore ‘latte atto a divenire’, pagandolo meglio, e non chi si ritiene, com’è oggi, padrone del nostro latte perché in possesso delle quote storiche del prodotto formaggio”, sostengono i pastori.
In cinque mesi, della situazione degli allevatori sardi in difficoltà non e cambiato nulla, salvo la posizione del governo. Soprattutto da parte della Lega è stato costruito un castello di promesse a fini elettorali, crollato il giorno dopo le elezioni, con un modus operandi che continua a ripetersi. Il governo di Lega e M5S ha vissuto il suo primo anno facendo seguire una passerella a un’altra, in una continua rivendicazione di successi poi smentiti in pochi mesi dalla realtà dei fatti.
La vicenda dei pastori sardi è solo un nuovo capitolo di quell’allucinazione collettiva che spinge quasi il 50% degli elettori a sostenere un governo del cambiamento che dopo un anno al potere ha cambiato poco o nulla. L’unica cosa ad evolversi è la sua abilità nell’illudere i cittadini, in quella che ha ormai i contorni di una campagna elettorale che non ha la dignità di trovare una conclusione.