Come i tribunali nei divorzi strappano i bambini alle madri basandosi su una sindrome che non esiste
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Il ministero della Salute ha messo nuovamente fine all’uso della PAS, acronimo inglese che sta per Parental Alienation Syndrome (Sindrome da alienazione parentale), affermando che non è una patologia e che pertanto non potrà più essere utilizzata nei processi di separazione dei genitori. A inizio giugno la senatrice Pd e presidente della Commissione parlamentare di Inchiesta sul femminicidio, Valeria Valente, aveva proposto un’interrogazione sull’uso della PAS nei tribunali minorili italiani, che è poi stata accolta. Una vittoria che arriva in realtà con un ritardo clamoroso, se si considera l’infondatezza della patologia e il fatto che ciò non potrà cancellare gli anni di calvario vissuti dalle tante donne bollate come “madri alienanti”, trascorsi tra relazioni dei servizi sociali, valutazioni e perizie, né restituire ai loro figli l’infanzia e l’adolescenza scandite da incontri protetti e psicoterapie ingiustificate.

La PAS, trasformata in Italia in AP (alienazione parentale), sotto il peso della letteratura contraria, ma senza che per questo variasse di una sola virgola il suo costrutto teorico, è stata spesso utilizzata in quei processi di separazione, complicati da episodi di violenza anche conclamati, con l’obiettivo di tutelare i minori, ma finendo invece per rendere loro di fatto la separazione ancora più traumatica. Sebbene la strumentalizzazione dei figli sia un problema purtroppo effettivamente esistente nelle aule di tribunale, anche come forma di “vendetta” privata, il pericolo della PAS è dato dal suo stesso utilizzo, una sorta di presunzione la cui prova contraria diventa, ingiustificabilmente, troppo difficile. Paradossalmente, infatti la teoria dell’alienazione parentale sostiene che quando un bambino dopo la separazione difficoltosa dei genitori non voglia più vedere uno dei due, di solito si tratta del padre, il motivo sarebbe che è stato “alienato” dall’altro genitore, a causa dei suoi risentimenti. Le colpevoli di tutto questo, secondo chi ha teorizzato la PAS, sarebbero soprattutto le madri.

L’ideologo che sta dietro alla Parental Alienation Syndrome è lo psichiatra infantile e medico militare nordamericano Richard Gardner. Noto non solo per essersi a lungo occupato di terapie e di sviluppo di test per minori coinvolti in separazioni difficoltose, ma soprattutto per le sue controverse posizioni sull’abuso sessuale e sulla pedofilia. Gardner ha introdotto per la prima volta il concetto di alienazione parentale nel 1985, in un saggio intitolato Recent trends in divorce and custody litigation”. Nel testo, definiva la sindrome come un disturbo che insorge nei minori, principalmente circoscritto al contesto giudiziario dei divorzi che comportano una disputa sulla custodia dei figli. I sintomi più evidenti secondo lui consistono nella comparsa ingiustificata di sentimenti avversi e di denigrazione da parte del figlio verso il padre, che per essere curati avrebbero giustificato un “reset” forzato. Il nome di Gardner però è anche legato ad altre teorie. Fra i suoi libri, tutti pubblicati attraverso la sua stessa casa editrice, la Creative Therapeutics, spuntano suggerimenti per il trattamento di bambini abusati, ad esempio, che consigliano di utilizzare un solo terapeuta per tutta la famiglia in cui deve essere auspicabilmente compreso anche l’eventuale perpetratore dell’abuso; in altri – dai titoli estremamente eloquenti, come L’isteria collettiva dell’abuso sessuale – l’unico a essere stato tradotto anche in Italia – lo psichiatra parla di come la pedofilia intrafamiliare (cioè, l’incesto) sia ancora molto diffusa e probabilmente affondi le sue origini in antiche tradizioni. Per affermazioni come questa, e per il modo in cui Gardner tende a trattare nei suoi scritti le origini e le cause della pedofilia, con argomentazioni psicologiche e culturali, le sue analisi sono state spesso additate come apologetiche. In Child Custody Litigation: A Guide for Parents and Mental Health Professionals parla poi di come la pedofilia sia una pratica diffusa e accettata da miliardi di persone (“[It] is a widespread and accepted practice among literally billions of people”) e in True and False Accusations of Child Sex Abuse di come questa in passato abbia aumentato la sopravvivenza della specie umana avendo finalità procreative (“pedophilia may enhance the survival of the human species by serving ‘procreative purposes’”).

Queste posizioni, che dovrebbero far sollevare quantomeno dei dubbi sull’approccio di uno psichiatra infantile agli abusi perpetrati in ambito familiare e ai danni dei minori, non hanno impedito all’Italia di utilizzare la PAS nelle perizie dei tribunali e di essere inserita nel contratto di governo tra Lega e Movimento 5 Stelle nel 2018. PAS che peraltro non ha mai trovato riscontro nella comunità scientifica. Sia l’Istituto superiore di sanità che l’Oms, il ministero della Salute e la Corte di  Cassazione ne hanno infatti negato l’esistenza, e non figura nemmeno nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5). Nel disegno di legge Pillon, però, la sindrome compare infatti ai punti 17 e 18, sotto forma di “norme volte al contrasto della grave piaga dell’alienazione parentale” e impone a questo proposito al giudice, “di intervenire con decisioni radicali quando un figlio manifesta rifiuto o alienazione nei confronti di uno dei suoi genitori”. Sempre negli stessi punti si legge che anche in assenza di evidenti condotte di alienazione, quindi senza alcuna prova, il giudice può decidere di allontanare il minore dal genitore a cui è più legato e imporgli invece di andare a vivere proprio con quel genitore con cui non vuole stare.

Un abominio, in termini giuridici e psichiatrici che viola l’articolo 31 della Convenzione di Istanbul, firmata e ratificata dall’Italia nel 2013, che stabilisce chiaramente come nella scelta in ordine alla custodia dei figli il giudice debba tenere conto degli episodi di violenza accaduti in famiglia e della sicurezza di chi l’ha subita. Già nel 2012 il Ministero aveva dichiarato la sua contrarietà e l’impossibilità di includere la sindrome nei disturbi mentali e nel 2013, la Corte di Cassazione era tornata sulla questione con una sentenza in cui si affermava che nei giudizi in cui veniva esperita la PAS, il giudice era tenuto a verificarne il fondamento al fine di “escludere la possibilità di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico”. Finanche il Comitato CEDAW che fa capo all’Onu, nel 2011 ha invitato le autorità italiane ad arginare l’utilizzo nei tribunali di riferimenti alla “discutibile teoria della PAS”

In Italia l’opinione pubblica ha iniziato a sentir parlare di alienazione parentale nel 2012, quando fecero scalpore le immagini di un bambino di 10 anni prelevato con la forza all’uscita di scuola di fronte a madre e zia inermi. Questo caso è stato il primo in cui la Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’Appello che aveva affidato il minore alla madre, e applicato la diagnosi di PAS togliendole il bambino per metterlo in una casa-famiglia ed essere “rieducato alla figura paterna”. Negli ultimi anni, le mamme che hanno perso o che hanno rischiato di perdere l’affido dei figli sono state tante, come Ginevra Amerighi alla quale venne strappata a soli 18 mesi la figlia, che oggi non vede da nove anni. In tempi più recenti si è molto parlato poi di Laura Massaro, che ha rischiato di vedersi togliere il figlio già assegnato a una tutrice dopo che le era stata tolta la potestà genitoriale sempre con l’accusa di averlo “alienato”. Il bambino sarebbe dovuto entrare in una casa-famiglia per essere “resettato” e poi consegnato al padre, denunciato da Massaro stessa per violenza domestica. Una storia purtroppo non rara, che ha avuto un lieto fine dopo che Laura Massaro ha vinto in appello.

I centri antiviolenza sono stati i primi a insorgere e a parlare di una sindrome misogina usata di fatto per colpire le donne, dal momento che le madri maggiormente a rischio di essere etichettate come alienanti sono proprio quelle già vittime di violenza domestica. La PAS, inoltre, non considera la voce del minore e il suo rapporto con il padre, ma soltanto quello fra i due genitori, diventando per questo motivo, troppo spesso e troppo facilmente, un’arma ricattatoria nelle mani di uomini violenti, che possono così manipolare le donne a loro piacimento e costringerle a sottostare a tutto pur di non di non perdere i propri figli. L’alienazione parentale, infatti, è basata sulla totale mancanza di empatia per le donne e i bambini vittime di violenze. Il solo affermare che una donna sia vittima di una psicopatologia che non esiste, o che lo sia altrettanto un bambino che sta attraversando la separazione dei genitori è già di per sé, a tutti gli effetti, un maltrattamento. Ma la cosa peggiore è che la sindrome da alienazione parentale si configura ancora una volta, secondo uno schema di pregiudizio nei confronti delle donne. La PAS è anche altrimenti nota come “sindrome della madre alienante”, “complesso di Medea”, o “madre oppositiva”.

Nel 2015, però, andarono in onda sulle reti nazionali una serie di spot prodotti da Rai cinema e promossi dall’associazione fondata dall’avvocata Giulia Bongiorno e Michelle Hunziker Doppia Difesa, con l’obiettivo di raccogliere fondi per sostenere un progetto di legge per introdurre il reato di alienazione parentale e di sensibilizzare l’opinione pubblica a una problematica che già all’epoca non aveva nessun fondamento né scientifico né giuridico. Gli spot, in cui a turno uno dei due genitori veniva demonizzato come alienante vennero presentati durante un convegno della scuola di perfezionamento delle Forze di Polizia e con il benestare del ministero degli Interni.

Oggi si spera che la PAS venga definitivamente eliminata e che la politica si impegni attivamente affinché non vengano più intrapresi provvedimenti che alimentano le discriminazioni e le diseguaglianze di genere, garantendo in primis che in sede processuali non vengano più riconosciuti strumenti privi di qualsiasi fondatezza scientifica.

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