Le opportunità non sono uguali per tutti, per le donne il cammino verso la parità è ancora un labirinto - THE VISION

Siamo solo a marzo e le donne vittime di femminicidio in questo 2024 sono già molte. Alcuni diranno: ma anche gli uomini vengono uccisi. Certo, ma gli uomini, nella quasi totalità dei casi vengono uccisi da altri uomini, e spesso in ambienti criminali. Con femminicidio invece si indica un particolare tipo di omicidio preterintenzionale in cui una donna viene uccisa da un uomo per motivi di genere, ovvero a causa di fattori socio-culturali legati al suo essere donna. Il femminicidio è quindi la forma estrema della violenza di genere, come si legge sul vocabolario “qualsiasi forma di violenza esercitata in maniera sistematica sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione di genere e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico della donna in quanto tale, fino alla schiavitù o alla morte”. Furono nel 1992 la storica specializzata in cultura americana e studi di genere Jane Caputi e la sociologa e criminologa Diana Russell ad analizzare in maniera approfondita per la prima volta cosa si intendesse con questo termine, parlando di “continuum di terrore anti-femminile”. Da allora sono passati più di trent’anni ma in Italia, in particolare, questa piaga è ancora molto profonda. Incentivare la parità di genere – che al momento arranca, procedendo con grande lentezza, battute d’arresto e passo incerto ancora in troppi ambiti –, educando al rispetto reciproco, è uno degli strumenti più potenti per sanare questa epidemia di violenza, trasversale a tutti gli strati della società.

Si sente spesso dire che le donne sono il futuro del nostro Paese, o meglio, di qualsiasi Paese. Eppure, al momento nessun Paese al mondo raggiunge la piena parità di genere. Ciò significa che ci troviamo di fronte a un complesso sistema di ingiustizie sistematiche a vari livelli e di varia natura, ma costantemente presenti, che le donne devono subire. Lo confermano gli ultimi rilevamenti del Global gender gap report 2023, pubblicato dal World economic forum, che analizza l’evoluzione della parità in 146 Paesi diversi attraverso quattro dimensioni: opportunità economiche, istruzione, salute ed emancipazione politica. Nel 2023, l’indice globale ha riscontrato un lieve miglioramento, tuttavia resta insufficiente: siamo troppo lenti. Con questo ritmo ci vorranno almeno 131 anni per raggiungere la piena parità, 162 per colmare il divario nell’emancipazione politica e 169 per quello delle opportunità economiche. Il tempo per colmare il divario nel campo della salute rimane indefinito. Come se non bastasse, l’Italia secondo i dati ha perso 16 posizioni, regredendo in particolare sul tema di partecipazione e rappresentanza politica delle donne – nonostante abbia una premier donna – e sul fronte dell’inclusione economica femminile.

Basti pensare che solo il 37,4% delle donne con figli lavora. Negli ultimi due anni, infatti, la percentuale di madri che hanno deciso di lasciare il lavoro è cresciuta del 17% rispetto al biennio precedente. I motivi sono tanti, tutti legati alle disparità di genere. Molte donne decidono di rinunciare all’indipendenza economica – anche perché purtroppo, spesso, pur lavorando, e con tutte le spese necessarie per mantenere carriera e famiglia, non la raggiungerebbero comunque nella maggior parte dei casi. Oppure decidono di non fare figli, cosa che comunque, se da un lato contribuisce a ridurre le difficoltà, non risolve le disparità di genere sistematiche. Le donne si trovano infatti intrappolate in un labirinto, che dall’esterno tutti fingono di non vedere, in cui ogni bivio si biforca ulteriormente allontanandole sempre più dalla strada principale, così come dal miraggio di uscirne. La sensazione è che nessuna scelta sia mai realmente quella giusta, che ci sia sempre un prezzo da pagare troppo alto, a volte invalidante, quando proprio non ci si trova bloccate al cospetto di un muro insormontabile. È proprio su questo fenomeno che ha deciso di concentrarsi TIM, da tempo impegnata nel superare gli stereotipi di genere e a sostenere l’autodeterminazione femminile, con la sua campagna “La parità non può aspettare”. Il punto è che bisogna aumentare il ritmo, velocizzare il passo, fare tutto ciò che è in nostro potere per contribuire anche solo ad aprire una crepa in quei muri che di fatto sanciscono le disuguaglianze, per fare in modo che ogni donna abbia la possibilità di seguire i propri sogni, desideri e progetti, liberamente.

La possibilità per una donna di essere indipendente economicamente e di sostenersi attraverso il proprio lavoro, oltre a essere legata al tema della realizzazione e della soddisfazione personale, è poi anche uno degli strumenti principali per arginare la violenza di genere, a cui spesso non a caso sono legate le violenze domestiche e la violenza economica, che per definizione riguarda quegli “atti di controllo e monitoraggio del comportamento di una donna in termini di uso e distribuzione del denaro, con la costante minaccia di negare risorse economiche, o impedendole di avere un lavoro e un’entrata finanziaria personale e di utilizzare le proprie risorse secondo la sua volontà”. Un atteggiamento coercitivo sottile, che agisce spesso a livello inconscio, intaccando, fino ad arrivare ad annullare la libertà di azione e di autodeterminazione della persona che lo subisce. Negli Stati Uniti, per esempio, la Rete nazionale per porre fine alla violenza domestica (NNEDV) ha riscontrato che il 78% delle vittime di abuso finanziario non ne fosse consapevole. Anche per contribuire alla risoluzione di questo problema TIM ha lanciato a ottobre dell’anno scorso Women Plus, un’app pensata proprio per aiutare le donne nella ricerca del lavoro, realizzata con Women at Business e patrocinata dalla Commissione Europea.

Per la società queste donne, che non lavorano, che si occupano esclusivamente di lavoro di cura, che non hanno tempo da dedicare a relazioni sociali esterne alla famiglia e a cui spesso viene negato di investire soldi di famiglia in qualsiasi attività sono “donne invisibili”, e ovviamente è più facile abusare qualcuno che non ha voce e di cui nessuno si ricorda. Inoltre grazie alla collaborazione con l’associazione no profit DonneXStrada, i punti vendita TIM presenti su tutto il territorio nazionale sono diventati “Punti Viola”, ovvero “luoghi sicuri” per offrire una prima assistenza alle donne che si sentono in pericolo. Il personale TIM addetto alla vendita ha seguito percorsi di formazione e sensibilizzazione, con il supporto di esperti legali e psicologi, per essere pronti ad accogliere eventuali vittime o testimoni di molestie o violenze e intervenire correttamente. Nel corso dell’anno, inoltre, saranno installate le prime cabine digitali che prevedono un tasto dedicato al primo soccorso, che permetterà di richiedere supporto in tempo reale agli operatori in situazioni di potenziale pericolo. Si tratta di una funzionalità a forte valenza sociale che mette a disposizione della collettività uno strumento di contrasto agli episodi di violenza e microcriminalità.

Il gender pay gap, ovvero il differenziale retributivo che esiste tra lavoratori e lavoratrici, si calcola complessivamente, considerando la differenza salariale annua ed estendendo questo calcolo a tutta la carriera di una persona si comprende quanto gli aspetti socio-politici influiscano pesantemente sulle nostre possibilità di guadagno. Secondo una relazione del 2017 dell’Istituto europeo per l’equità di genere, l’eliminazione del divario nel tasso di attività di uomini e donne farebbe guadagnare, nella sola Ue, entro il 2050, tra i 3,5 e i 6 milioni di posti di lavoro e il Pil aumenterebbe di 1490 miliardi di euro. E il denaro, nel mondo di oggi, è sinonimo di libertà.

Il genere influenza tuttora accesso alle posizioni di potere, politico e lavorativo, e per raggiungerle la strada per le donne resta assolutamente impervia, non a caso, meno del 10% dei leader nazionali di tutto il mondo è femmina.  A riconoscerlo sono le stesse donne – pochissime – che per una serie di convergenze positive in qualche modo ce l’hanno fatta, basti pensare a Jacinda Ardern, Hillary Clinton, Christine Lagarde, Michelle Bachelet, Theresa May, o in Italia Claudia Parzani, presidente della Borsa. I pregiudizi di genere sono qualcosa con cui ogni donna si deve confrontare, qualcosa di tremendamente reale, concreto, tangibile, a volte doloroso e umiliante. Ogni donna ne ha fatta esperienza, ogni donna – al pari delle molestie – potrebbe raccontare episodi legati a questo fenomeno. È faticoso, a volte anche da riconoscere, ma non si può più voltare la testa dall’altra parte. Se nasci donna, ancora oggi, nasci svantaggiata, e di molto. Tutto ti ostacolerà lungo il tuo cammino, e raramente potrai avvalerti di qualche aiutante. Ed è questo uno dei punti fondamentali l’allearsi, il sostenersi, il fare rete, creare comunità, una comunità realmente inclusiva e egualitaria. Dato che, ricordiamolo, l’uguaglianza si basa proprio sul riconoscimento delle disparità di accesso ai diritti, e quindi non significa sfoderare “uguali risorse” per tutti, ma indirizzare maggiori risorse a chi è più svantaggiato, in modo da ottenere “uguali possibilità”.

Per crescere, l’Italia ha bisogno del talento, della passione, del coraggio e dell’impegno di tutti, ma di un “tutti” che sia realmente inclusivo e comprenda tutte, non una di meno. Per ottenere questa coesione è necessario pensarsi al di fuori di una logica individualizzata e atomizzata, dar forma a uno spazio inclusivo sia dal punto di vista simbolico che materiale, sostituire al labirinto, che confonde, imprigiona e isola, l’idea della piazza, a cui chiunque può accedere, in cui ci si può incontrare, in cui circolano e si confrontano idee ed esperienze, apertamente, e da cui si può prendere poi qualsiasi direzione si voglia. Oggi è più chiaro che mai: tutto è interconnesso e considerarsi soggetti in relazione non significa soltanto riconoscere la nostra interdipendenza, ma anche individuare più facilmente i responsabili dell’ingiustizia. Misoginia, sessismo e diseguaglianze, in questo senso, non sono solo concetti astratti, ma vere e proprie barriere che ostacolano le donne, risultando insormontabili come alte mura, per questo vanno abbattute, a partire dalle nostre azioni e parole che possiamo – e dobbiamo – cambiare, da oggi, perché non c’è più tempo, la parità non può aspettare.


Questo articolo è realizzato da THE VISION in collaborazione con TIM, da tempo impegnata in attività volte a superare gli stereotipi, offrire opportunità alle donne e contrastare la violenza di genere, in occasione della campagna “La parità non può aspettare”. Mancano ancora troppi anni, infatti, per raggiungere la parità: per questo dobbiamo agire, ora, abbattendo i muri che alimentano le disuguaglianze e facendo in modo che ogni donna possa inseguire i propri sogni e progetti senza distinzioni di genere. Per crescere, anche al nostro Paese, servono il talento, la passione, il coraggio e l’impegno di tutti e tutte.

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