Il 30 maggio piazza Duomo, a Milano, è stata calpestata dai gilet arancioni. Capitanati da un ex generale dei Carabinieri con l’abitudine della protesta di piazza contro il governo di turno, Antonio Pappalardo. Il paladino dell’antipolitica fa leva – come si temeva a inizio epidemia – sulla rabbia sociale grazie a teorie complottiste sul Covid, facendosi portavoce delle aspirazioni autarchiche di chi ha le idee così confuse da trovare logiche spiegazioni al proprio scontento solo nelle bufale. Un po’ come quegli anziani signori coi sandali ortopedici che sull’Intercity Torino-Salerno ti squadrano con occhio complice per poi dire con l’espressione di chi è consapevole dell’acume delle proprie opinioni: Signora mia, erano molto meglio i Savoia. In questi casi, però, invece che tacere per onore del quieto vivere e della pace delle successive ore di viaggio, bisognerebbe sempre ricordargli che Vittorio Emanuele III non fu certo un eroe. Sembra che gli ex sostenitori della Lega siano stati raccolti da qualcuno che urla ancora più forte di Salvini, e le spara ancora più grosse. Quest’uomo in gilet oltre ad aver detto di essere uno tra i più grandi musicisti del mondo e di essere considerato in Vaticano un genio illuminato da Dio, ha anche detto che la sindrome scatenata dal coronavirus si cura con esercizi di yoga e di autoconcentrazione – esercizi che non curano neanche il raffreddore a dirla tutta, la cui pratica anzi da qualsiasi buon insegnante viene sconsigliata in caso di malanno, dato che potenzia il sistema linfatico, e quindi contribuisce a liberare in circolo gli eventuali patogeni.
Sembra che a ogni crisi sociale, economica, valoriale si riproponga ciclicamente la “filosofia” new age, e ciò succede perché è obiettivamente molto rassicurante. Il new age sembra essere stato costruito appositamente per essere consumato e per fornirci risposte a domande troppo difficili da gestire – perché non coinvolgono solo noi stessi ma il mondo intero. Ci invita ad arrenderci, a dedicarci un momento per noi, convincendoci che sia possibile occuparsi davvero esclusivamente del nostro benessere, ai Ficus Lyrata e alle Monstera che occupano gli angoli di casa nostra, l’equivalente contemporaneo del giardino di Candide. La cosa che più di tutte tradisce questa ideologia mascherata da libertarianismo è l’uso di un vocabolario molto preciso e codificato che demarca uno specifico raggio d’azione e una retorica definita. Si crea un’identità in cui riconoscersi usando termini come abbondanza, apertura, solidarietà, libertà, tolleranza, amore, serenità, cura, calma, tranquillità. Parole che fanno presa rapida in un tessuto sociale atomizzato, in cui siamo sempre più soli, abbandonati e spinti a dare sempre di più e sempre più in fretta. Il problema è che questo abbraccio materno in cui abbandonarsi fa sì che si spengano le difese e ci si affidi, e a quel punto si è pronti a bere qualsiasi cosa: dalle scie chimiche ai rettiliani. Da un’ideologia all’altra.
Se una volta questo ambiente era popolato solo da qualche survivor di Robert Anton Wilson e qualche fedele di Osho nonostante gli scandali, oggi si è ormai esteso a macchia d’olio come vero e proprio fenomeno oltre che di costume di marketing, cosa che contribuisce a diffonderne una versione semplificata perché più facilmente vendibile. Sempre più persone – insofferenti, infelici e sempre più disilluse – cercano risposte alternative (che in realtà ormai sono diventate mainstream), per tentare una disperata fuga dalla realtà che li domina e li sfrutta e li imbruttisce. Il problema è che il cambiamento non si può comprare. Queste pratiche e filosofie di vita complesse, invece, vengono sintetizzate, rimescolate e vendute sotto forma di prodotti e parole attraenti che fanno leva sulla nostra insoddisfazione. Ormai siamo arrivati a un tale livello di saturazione che saremmo disposti a credere a qualsiasi cosa pur di sentirci dire che è possibile scappare, che ci meritiamo una vita diversa e soprattutto che andrà tutto bene. E ovviamente c’è qualcuno pronto ad approfittarsene.
In questo periodo la tendenza da un lato sembra quella di ribellarsi alle disposizioni socio-sanitarie per arginare il COVID-19, invitando su diversi canali virtuali a non rispettare le regole di prevenzione sanitaria e distanziamento (qualcosa di simile a quanto sta accadendo negli USA per mano dei trumpiani), dall’altro quella di ribadire l’importanza di far proprie determinate abitudini per diventare esseri superiori, ovvero più forti grazie a un sistema immunitario efficace e quindi immuni: ai virus sconosciuti, alle regole dello Stato e perché no alla morte. Chissà se questi esseri eletti si sentono in dovere di pagare le tasse. Chi invita a gran voce sui social, ma non solo, a ribellarsi, a non usare le mascherine, a fregarsene del distanziamento perché tanto se mangi la lattuga e ripeti om namah shivaya diciotto volte al giorno puoi stare tranquillo, dovrebbe ricordarsi però che chi “pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda”. La cosa grottesca è che se in questi mesi sono stati presi di mira i giovani, accusandoli di sentirsi invincibili e di non avere senso civico, comportandosi in modo potenzialmente pericoloso per le generazioni più anziane, ora sono gli stessi anziani a rivendicare questi stessi comportamenti rischiosi.
Dietro a una presunta filosofia di vita viene propinato un dogma, e attraverso di esso vengono vengono espresse opinioni scientifiche da persone che se va bene in biologia avevano sei e che nella maggior parte dei casi non hanno alcuna competenza né per avanzare ipotesi né per dare risposte o consigli. Nel migliore dei casi queste persone – che hanno un forte ascendente su chi le segue – si appellano a un diploma privato – e in Italia non riconosciuto, che abilita ad assistere chi lo richiede attraverso determinate terapie, non certo a fare diagnosi. È questa la differenza fondamentale fra un operatore e un medico. Questi due percorsi formativi seguono infatti metodi diversi, che forniscono diverse competenze. E se un medico può ampliare il suo campo di conoscenze e pratiche specializzandosi in alcune discipline alternative (come spesso accade), un operatore di queste discipline non può giocare a fare il medico, a meno che non prenda una laurea in medicina ed entri in un ordine, che richiede peraltro un giuramento e quindi una responsabilità decisamente diversa. D’altronde in Italia basta avere una partita Iva per fare praticamente qualsiasi cosa si voglia. Così questi personaggi screditano un’intera categoria.
Uno tra i tanti tormentoni che ho recentemente letto, su quel mezzo attendibile su cui si basa l’informazione di queste persone che è Facebook, è questo: visto che non possiamo sconfiggere virus e batteri, dobbiamo imparare a conviverci. Una cosa vera e una falsa, che insieme confondono dando un’impressione di verosimiglianza e per molti sembrano logiche (non è questo il caso ma nelle ultime settimane ho visto fake che erano veri e propri capolavori e che addirittura i medici facevano fatica a distinguere). È vero che conviviamo con agenti patogeni di varia natura, e a volte – stando alle recenti ricerche rispetto ai batteri – questa convivenza è fondamentale per la nostra salute. Non è vero che non possiamo “eliminare” determinate malattie. Evidentemente chi ha questi diplomi non ha mai visto Balto, o non sa che la convivenza con batteri dall’alta letalità come quello della peste – sì, esiste ancora – porta alla tanta vituperata antibiotico-resistenza ed è comunque una convivenza che definirei difficile. Uno scenario complesso viene così ridotto a una sola dimensione.
La soluzione per gestire questa convivenza, secondo questi “esperti”, non è certo prendere le necessarie precauzioni come pavidi, ma potenziare superoministicamente il proprio sistema immunitario. Peccato che la scienza sul suo modo di funzionare abbia ancora diverse zone d’ombra. Il sistema immunitario, infatti, può reagire in modo anche molto diverso da persona a persona e soprattutto da patogeno a patogeno. È uno dei motivi per cui, per diverse settimane, non si sapeva se si sviluppassero anticorpi in seguito al COVID-19; e anche in quel caso per quanto restassero attivi garantendoci una difesa; e allo stesso modo se un vaccino potesse effettivamente essere efficace come soluzione. Ci sono poi virus che hanno un tasso di letalità maggiore di diverse decine rispetto al SARS-CoV-2 e convincere le persone che possono salvarsi esclusivamente grazie alle difese intrinseche del loro corpo – dato che dal Seicento abbiamo fatto diversi passi avanti in materia non solo di medicina ma di diritti umani – rischia di essere molto pericoloso, soprattutto nel caso in cui ci dovessimo trovare di fronte a una seconda ebola, che invece di colpire i beduini nel deserto e i loro dromedari colpisce le nutrie nei navigli e i freelance agli apericena. È esattamente come affermare che iniettarsi disinfettante può aiutare a difendersi dal virus.
La conclusione è sempre quella: il genere umano deve tornare alla natura, perché la natura sa, “solo così non saremo più vulnerabili”. Allo stesso tempo si viene quindi invitati ad accettare i propri limiti con amore e comprensione e a vincere la propria debolezza, lasciando indietro chi non riesce a superarla. Il singolo individuo si fa così “protagonista della propria vita, della propria salute e del proprio benessere”. Decenni, per non dire secoli, di riflessione su queste tematiche dimostrano il contrario: da soli non si va da nessuna parte, men che meno nell’era della globalizzazione. Ed è stato proprio questo il meccanismo che ha reso il capitalismo così potente e devastante. Peccato che la natura, come dovrebbe essere ormai noto a tutti, non è certo quella dipinta da Botticelli, ma qualcosa di molto più simile alla mamma di Leopardi. Bisognerebbe ricordare a questi influencer del salutismo che lo stato di natura a cui auspicano di tornare è governato dalla legge del più forte e della selezione naturale e soprattutto non contempla scuole steineriane. È facile dire che se sopravvivi è perché te lo meriti, sei forte, perché hai bevuto estratti il cui prezzo dev’essere per forza già garanzia di salute, e soprattutto fa sì che chi abbraccia questi pensieri uniformi il proprio comportamento. La nostra futura società sarà una società di eletti lobotomizzati. I sopravvissuti, o semplicemente coloro che per una serie di motivi causali stanno bene, assurgeranno a razza superiore, teoria tanto cara alla destra estrema di inizio secolo e purtroppo ancora attuale, anche se mascherata da tutine in fibra di bambù. È facile credere a tutto questo finché non diventi tu la vittima, o i tuoi cari. A quel punto pensare “sarà per la prossima vita” sono convinta non risulti così semplice.
Queste visioni nascono da bias cognitivi e affondano le loro radici nel fatto che ciascuno di noi si crede immune al dolore, ed è convinto che il male – se ci si comporta bene – non lo potrà toccare. Purtroppo non è così. La sfiga a differenza di quanto pensano questi spiriti superiori è molto democratica. Anche Hitler sembrava un innocuo artista velleitario di umili origini, con una certa fascinazione per le teorie complottiste di allora. Ora immaginatelo alto e con gli addominali a tartaruga, una barba folta e curata e un tatuaggio che gli corre a spirale lungo l’avambraccio che riporta il “Gayatri mantra” in sanscrito. O ancora meglio: immaginatelo donna. In queste visioni, anche se vengono definite tali, di alternativo non c’è nulla: si rifanno a una dottrina calvinista prima e neoliberista poi, con diverse sbandate suprematiste.
Pensare di poter controllare la propria salute “comportandosi bene” è semplicemente l’altra faccia della medaglia di chi si imbottisce di farmaci per nascondere il proprio malessere cronico. Siamo pigri e speriamo che qualcuno possa lavorare al posto nostro per salvarci. Ma il problema, per entrambe queste visioni, resta il nostro ostinato rifiuto della morte, e il convincersi di poterla controllare, di poter meritare di vivere, di essere appunto eletti, al sicuro. Purtroppo non è così. Non importa quanto bene ci comporteremo, a quante cose rinunceremo. Ci sono cose che non possiamo controllare ed esiste la sorte.
Alla luce dell’alea che nonostante tutto ci governa forse dovremmo imparare a pensare e a esprimerci con più umiltà e soprattutto responsabilità nei confronti degli altri e dei più deboli, in particolare quando lo facciamo pubblicamente. L’umanità è una sola, così come il pianeta Terra, per quanto ci è dato sapere. Non possiamo considerarci un gruppo solo quando ci fa comodo e chi predica e diffonde queste teorie, così come chi le segue, dovrebbe capire che nonostante le parole con cui si imbellettano sono la cosa più lontana dalla fratellanza, dalla tolleranza e dall’inclusività – e quindi dalla democrazia – a cui si possa credere. Coloro che diffondono queste idee sono gli stessi che dicono di scendere in piazza per risvegliare le coscienze dalle idiozie televisive, senza rendersi conto che anche loro subiscono lo stesso lavaggio del cervello, e che la tiritera che condividono di pancia e sostengono in maniera acritica ed emozionale non ha nemmeno una fonte accreditata: soltanto il titolo di un ipotetico libro, che però, guarda caso, in rete non riporta a nulla se non a un libro illustrato per bambini dai tre anni in su, che sicuramente dice cose più valide e interessanti.
Per chi avesse ancora dei dubbi su come queste correnti si mescolano in una grande confusione mentale facile da sfruttare per chi ha mire antipolitiche: Sabato 6 giugno al Circo Massimo si ritroveranno gli ultras fascisti di tutto il Paese sotto la sigla de “I ragazzi d’Italia”. Dichiarano “Toglieremo le mascherine per indossare i passamontagna” e puntano il dito anche contro le forze dell’ordine. A fine giugno nascerà un coordinamento che salderà neofascisti, novax, no-mask e la senatrice Sara Cunial. Prima di aprire il cuore, come tanti guru invitano a fare, sembra arrivato il momento di aprire urgentemente la propria testa.