Una delle frasi che ultimamente capita più spesso di leggere al momento di acquistare qualcosa è: “Paga in tre rate”. Anche se il totale fa 20 euro. Tra i fenomeni che più sono emersi negli ultimi anni, in pieno boom dei pagamenti digitali, infatti, ci sono gli strumenti e i servizi che permettono anche a chi ha finanze modeste di acquistare tutto ciò di cui ha – o crede di aver – bisogno, o semplicemente che desidera: vanno forte la rateizzazione e il buy now, pay later. Comprare online con un paio di click è rapido e indolore, cosa che, inevitabilmente, facilita anche gli acquisti superflui, talvolta facendo perdere di vista – anche di molto – il nostro budget mensile. Il fatto che oggi app e piattaforme diano la possibilità di pagare a rate anche su importi molto bassi può essere un grosso aiuto per chi ne ha bisogno, ma nasconde anche dei rischi. Al prezzo di piccole rate mensili, infatti, ci compriamo l’illusione di non essere in debito, anche se di questo si tratta, nonostante la percezione sia diversa: ecco perché, per comprendere il funzionamento di questi servizi e valutarli in maniera realistica, servono un’educazione finanziaria – che tuttora in sostanza non abbiamo – e verifiche più strette sulla correttezza dei prodotti finanziari, dei contratti e della loro comunicazione.
Scegliere di pagare a rate non dovrebbe essere uno stratagemma per avere l’impressione di spendere meno e, in effetti, per molti si tratta di una scelta obbligata; se, per esempio, l’auto è l’unico mezzo per recarsi al lavoro o un elettrodomestico indispensabile si rompe inaspettatamente e il conto in banca è risicato, poter accedere a finanziamenti e rate può essere un salvavita. Può esserlo, per esempio, il buy now pay later che, selezionando il metodo di pagamento, anziché saldare l’intero importo in un’unica soluzione, dà la possibilità di rateizzarlo, liquidando solo una parte al momento dell’acquisto e acconsentendo a farsi addebitare le rate successive – di numero e importo già prefissato o, in alcuni casi, personalizzabile – direttamente sul conto o sulla carta associata; anche diversi negozi fisici offrono questa possibilità quando si paga con il POS, tramite servizi come Pagodil e APPpago. Competenze carenti in materia finanziaria, o anche solo una scarsa attenzione nella lettura di clausole e contratti o un’eccessiva sicurezza di sé e delle proprie possibilità finanziarie, però, possono riservare brutte sorprese: per esempio, il fatto che la rateizzazione sia gratuita non garantisce che non ci siano degli interessi di mora in caso di ritardo nei pagamenti; così, se non si saldano le rate in tempo si finisce per pagare l’oggetto o il servizio a un prezzo più alto di quello che si sarebbe pagato in un’unica soluzione iniziale. Tra abbonamenti mensili – dalla palestra ai servizi di intrattenimento in streaming, di cui nel 2021 oltre il 40% degli italiani aveva due o tre sottoscrizioni –, magari addebitati automaticamente, e rate anche su importi molto piccoli, il rischio è di perdere di vista le spese mensili, incorrendo in debiti da cui si fatica a uscire. La rateizzazione, infatti, permette di pagare anche se non si hanno disponibilità immediate e, nella sua comodità, può sommarsi ai saldi dovuti magari per l’auto o al mutuo, che grava su una famiglia proprietaria italiana su cinque.
Negli Stati Uniti i debiti sono un fenomeno molto diffuso e i cittadini vi rimangono incagliati sempre più a lungo, complice un welfare statale al minimo. I debiti – in particolare quelli per le spese sanitarie o per l’istruzione universitaria – pesano come macigni sulle finanze di tanti. Secondo le stime, nel 2022 i cosiddetti debiti studenteschi ammontavano a quasi 30mila dollari a testa, cifre che erodono le possibilità economiche dei giovani americani al loro esordio nella vita adulta, affossando ulteriori opportunità di investimento su se stessi per il proprio benessere psico-emotivo e sulla propria crescita personale, provocando anche danni mentali e fisici. Diventa, quindi, anche più probabile accumulare altre spese da rateizzare e, quindi, trovarsi con altri debiti, anche perché ci si mette un altro fenomeno diffuso: le carte di credito (possedute da più della metà degli americani), che – a differenza delle carte di debito, che addebitano la spesa sul conto corrente, dove deve quindi esserci una copertura sufficiente – consentono di dilazionare i pagamenti permettendo anche di andare in rosso, almeno entro certi limiti. Il problema non sono solo le errate abitudini di spesa, talvolta obbligate dalla mancanza di opportunità economiche, ma anche l’inflazione – la più elevata da decenni – e l’aumento dei tassi d’interesse, che ad agosto 2022 hanno raggiunto livelli tali per cui gli utenti con un saldo di 5mila dollari potrebbero dover pagare anche mille dollari di interessi nel corso di un anno; il risultato è ingestibile per le famiglie che usano la carta di credito per le spese quotidiane, che sono un quarto del totale dei debitori.
I prestiti, i debiti e le rate rendono, apparentemente, attiva e vivace la vita economica e fanno bene alle banche, che prestano denaro e incassano interessi – con cui, magari, poi finanziano attività non esattamente etiche – e agli erogatori stessi dei servizi di pagamento. Per saldare i debiti, invece, i contraenti non solo sono costretti a rinunce, ma spesso anche a lavorare il più possibile per stare a galla in una condizione insostenibile, nutrendo ulteriormente un circolo vizioso nel quale si vive per lavorare, perché si hanno più spese di quante se ne possano sostenere e si cerca sollievo allo stress e alla frustrazione con iniezioni di dopamina che durano quanto una sessione di shopping, unica gratificazione, a sua volta pagata grazie a rate e finanziamenti, anche senza poterselo permettere. L’importante è comprare, possedere, poi a pagare ci si penserà. Resistere alle sirene dell’istigazione continua all’acquisto – che arriva da pubblicità e social – è più difficile che mai, perché siamo immersi in un sistema che si regge su questa spinta, foraggiando al contempo estrazione e lavorazione di materiali, produzione e trasporto di merci, e quindi attività inquinanti, ormai insostenibili. Una nuova cultura degli acquisti e dei consumi dovrebbe insegnare a fermarsi prima di cliccare su “Acquista”, chiedendosi se si tratti di una voglia o di un reale bisogno, anche facendo qualche calcolo in più, non tanto sulla singola spesa, ma sulla somma di tutte le rate che rischiamo di non riuscire più a pagare.
In un Paese a cui interessi davvero il benessere economico dei propri cittadini – e che quindi abbia come obiettivo la creazione di una società sana – si dovrebbe guardare con preoccupazione al ricorso alle rate e ai debiti e non ci si dovrebbe prestare a liberalizzare pratiche in molti casi dannose per i singoli e, quindi, alla lunga per la collettività. Si dovrebbe, invece, trovare altri modi per tenere viva l’economia del Paese e farsi carico di risolvere i problemi economici della popolazione, a partire dai pagamenti inevitabili, come spesa alimentare, bollette, affitti o mutui per la casa, valutando per esempio come sostenere le assunzioni e adeguare gli stipendi – il cui andamento è da oltre un decennio opposto a quello dell’inflazione, che di recente ha raggiunto il record degli ultimi 35 anni – al costo della vita e alle necessità concrete dei cittadini, anziché offrire per qualsiasi cosa bonus insufficienti, temporanei e limitati. Garantire alla popolazione di mettersi al riparo dai debiti, quindi, dovrebbe significare anche promuovere una più seria e netta regolamentazione sulla promozione dei servizi di rateizzazione, a tutti gli effetti forme di debito e non modalità di pagamento equivalenti alle altre.
Invece, in Italia, nel 2021, nonostante un leggero calo del valore medio delle transazioni, il numero delle carte di credito è cresciuto di oltre il 18% rispetto all’anno prima, una crescita evidente in particolare per le carte che prevedono una flessibilità in termini di rimborso delle spese effettuate, tanto che oggi la metà delle carte di credito attive in circolazione è abilitata al rimborso. Nei primi sei mesi del 2022 c’è invece stata una ripresa del ricorso alla rateizzazione, anche grazie alla spinta della funzione instalment, cioè un finanziamento collegato a un piano di rimborso rateale. Nell’insieme, per ora, in Italia non ci sarebbero segnali d’allarme sul piano del rischio di credito, ma la società di consulenza Nomisma segnala che qualche campanello d’allarme c’è, anche per effetto della congiuntura internazionale: prima o poi si faranno sentire gli effetti sul mercato del lavoro e quindi anche sui rischi del credito e sulle possibilità di restituzione dei finanziamenti ricevuti o di rateizzazione dei debiti.
Dare ai cittadini gli strumenti per comprendere questi segnali e il loro significato per le proprie finanze potrebbe contenere le conseguenze, dato che i debiti spesso rappresentano una vulnerabilità di fronte agli shock economici. La velocità con cui le persone si riprendono finanziariamente dalle crisi o, al contrario, perdono i loro risparmi, infatti, può dipendere dal loro livello di alfabetizzazione finanziaria, che può essere migliorato, tra gli altri fattori, anche dall’introduzione di un corso dedicato fin dalla scuola primaria, cominciando con nozioni base come il budget e la pianificazione. Secondo i dati della Banca d’Italia, le competenze finanziarie degli italiani sono scarse e diseguali, risultando più basse tra i giovani, le donne e i residenti al Sud. Servono materiali d’insegnamento strutturati e una solida formazione per i docenti. Ma forse non c’è un grande interesse a istruire in maniera orizzontale la popolazione su questo tema, perché – forse ancor più che in altri ambiti – sapere è potere e permetterebbe di prendere in mano le proprie sorti economiche evitando di diventare pedine di un gioco molto più grande e di restare vittime delle contingenze; non a caso chi, partendo dal basso, ha provato a sfruttare i meccanismi dello stesso sistema finanziario ha sempre dato fastidio e creato scompiglio.
Qualche nozione di finanza può aiutare a usare con meno leggerezza carta di credito e rate, nel contesto di quello che, però, deve essere un cambiamento più ampio. Deve cambiare l’approccio stesso agli acquisti e – perché questo sia possibile – anche lo stile di vita, troppo stressante e incentrato su lavoro e produttività a tutti i costi. E dovrebbe anche cambiare la pubblicità, che ci spinge ad acquistare compulsivamente, poco importa se non abbiamo bisogno di quel nuovo paio di scarpe, di quella crema per il viso, o per il terzo o quarto abbonamento a piattaforme di intrattenimento, in modo da mostrarsi sul pezzo coi colleghi in cambio di ulteriori ore di sonno in meno. E ancora meno importa se le nostre finanze non ce lo permettono: tanto possiamo sentirci all’altezza della pressione sociale in tre comode rate.