Le donne eterosessuali sono il gruppo demografico che ha meno orgasmi in assoluto: meno degli uomini etero (95% dei rapporti), meno degli uomini gay (89%), meno degli uomini bisessuali (88%), meno delle lesbiche (86%). Le donne eterosessuali raggiungono l’orgasmo solo nel 65% dei casi. Quello del piacere femminile è forse uno dei più grandi misteri dell’universo, che divide studiosi del corpo e della mente. Freud archiviò l’orgasmo clitorideo come segno di immaturità sessuale, se messo a confronto con la “potenza” sessuale virile. Il padre della psicanalisi stabilì una sorta di gerarchia del piacere, convinto che per la donna fosse necessario l’intervento dell’uomo tramite la penetrazione per raggiungere l’appagamento sessuale. Per lungo tempo questo pregiudizio ha condizionato non solo la scienza e la psicologia, ma anche il nostro immaginario comune. Poi arrivò la psicanalisi femminista a dire che forse Freud si era sbagliato, mentre sessuologi come William Masters e Virginia Johnson (protagonisti della serie Masters of Sex) riabilitavano il ruolo della clitoride: la sessualità femminile era tutt’altro che immatura, ma un sistema complesso e sofisticato, e oggi la scienza sembra confermarlo: innanzitutto, si sta superando la distinzione tra orgasmo vaginale vs. clitorideo (questo non significa che l’orgasmo non si possa raggiungere tramite la penetrazione, ma che la clitoride, che non è un puntino ma un corpo molto più ampio, può essere stimolata anche dall’interno della vagina) e in più un recente studio ha rilevato che chi stimola la clitoride per raggiungere il climax provi un’eccitazione più forte. Inoltre va sfatato il mito secondo cui per una donna avere un orgasmo sia fisiologicamente più difficile: con la masturbazione il 95% delle donne lo raggiunge in pochi minuti. Oggi di orgasmo femminile si parla sempre più spesso, anche grazie a opere di divulgazione come Il libro della vagina di Ellen Stokken Dahl e Nina Brochmann o Vengo prima io, scritto dalla sessuologa Roberta Rossi ed edito da Fabbri, di prossima pubblicazione. Ma allora perché le donne etero durante i rapporti sessuali hanno così pochi orgasmi? La risposta è semplice: perché fanno sesso con gli uomini, e molti uomini sono sessisti.
Gli psicologi Emily Harris e Matthew Hornsey hanno condotto due studi in proposito, uno nel 2016 e uno nel 2019, per scoprire il legame tra cattivo sesso e oppressione di genere, nella convinzione che la sessualità non sia solo una questione di anatomia o psicologia, ma dipenda anche dall’ambiente. La ricerca più recente ha confermato l’ipotesi precedente: le donne che sposano il cosiddetto “sessismo benevolo” sono le più insoddisfatte. Il sessismo benevolo si può definire come una pratica culturale che si differenzia dal “sessismo ostile” per la sua ambivalenza: porta infatti avanti una visione retrograda, basata su ruoli di genere prestabiliti, senza però mai cadere nell’odio o nella violenza esplicita. Tra le sue manifestazioni vi è anche l’idea che l’uomo sia interessato soltanto al suo piacere sessuale, a cui la donna è funzionale. Il risultato, basato su un campione di oltre 450 persone, è che le donne che aderiscono a una visione del mondo sessista hanno finto molti più orgasmi nella loro vita.
Questo divario nel piacere si può vedere anche nella diversa percezione della qualità del sesso: interrogati sul loro ultimo rapporto, l’85% degli uomini si è detto sicuro che la propria partner avesse raggiunto l’orgasmo, quando in realtà le donne che ne avevano effettivamente avuto uno erano solo il 64%. Ovviamente, il fatto che molte persone basino la propria visione del mondo sui ruoli di genere fa sì che anche la sfera sessuale ne venga compromessa: se una donna pensa che il piacere dell’uomo sia più importante del suo, sicuramente non perderà tempo a spiegare al proprio partner cosa le piace fare a letto, ma molto più semplicemente si rassegnerà al fatto che viene prima lui, in tutti i sensi. Viceversa, un uomo tenderà a non preoccuparsi del piacere della donna e, dal momento che a quanto pare lei è incline anche a fingere per soddisfarlo, non si porrà nemmeno la domanda.
C’è da dire che, in generale, il nostro modo di fare sesso non si baserebbe tanto sul desiderio quanto più sui nostri stereotipi e sulle nostre aspettative sul sesso, e questo vale sia per i maschi che per le femmine. Ma le donne sembrerebbero sempre più condizionate e più inclini a soddisfare il partner che se stesse. Ne è un esempio la complessa e dibattuta questione delle cosiddette “vocalizzazioni copulatorie femminili”: molti animali (soprattutto i primati) emettono dei suoni durante l’accoppiamento. Le ragioni sono varie: proteggere la coppia durante un atto che può potenzialmente esporla ai pericoli e rimarcare la continuità della specie, ma anche eccitare il maschio. Questo avverrebbe sia per attirare altri maschi nelle vicinanze che potrebbero essere interessati ad accoppiarsi, sia per segnalare al proprio compagno il momento più adatto alla fecondazione. Uno studio del 2011 sulle vocalizzazioni copulatorie femminili nella razza umana ha teorizzato però che le donne non emettano questi suoni in corrispondenza del proprio orgasmo, ma di quello del partner. E la cosa sorprendente è che dietro le vocalizzazione ci sarebbe la volontà di agevolare la fine dell’atto sessuale a proprio vantaggio. Detto così sembra che alle donne non piaccia fare sesso. Ovviamente è una conclusione affrettata: forse a molte donne non piace fare sesso così, cioè aspettando in grazia che finisca.
Tutto sembra quindi suggerirci che una sessualità libera dagli stereotipi e basata invece sulla parità e sulla condivisione sia la strada giusta per chiudere il gap di orgasmi tra uomo e donna. Sul New York Times nel 2017 uscì un articolo molto controverso intitolato “Perché le donne facevano sesso migliore durante il socialismo”. L’articolo citava uno studio comparativo condotto dopo la caduta dell’URSS che ha dimostrato che le donne del blocco sovietico ebbero più orgasmi e una vita sessuale più soddisfacente rispetto alle donne occidentali. All’indomani dalla rivoluzione d’ottobre, infatti, Vladimir Lenin e Aleksandra Kollontaj, prima donna al mondo a diventare ministra di un governo, posero le basi per il miglioramento delle condizioni femminili e per l’uguaglianza di genere: in pochi anni le donne russe poterono beneficiare del suffragio, del divorzio, del diritto all’aborto e dell’accesso all’istruzione universitaria. Il governo sovietico promosse l’educazione sessuale e la parità, anche a livello sessuale, tra i generi. E anche quando Stalin prese il potere e abolì alcune delle riforme di cui beneficiavano le donne, l’educazione sessuale rimase sempre una priorità per l’Unione sovietica.
Qualcuno ha contestato l’articolo del Times, sostenendo che le ricerche citate dall’autrice Kristen R. Ghodsee, una docente dell’Università della Pennsylvania, fossero di parte, e che le testimonianze raccolte fossero parziali. Ma anche se i dati usati da Ghodsee non fossero effettivamente del tutto corretti, è realistico pensare che le donne occidentali non abbiano avuto una vita sessuale particolarmente soddisfacente, specialmente negli anni in cui l’ideologia dell’angelo del focolare prosperava più a Ovest che a Est. È innegabile che il sistema capitalistico – che si basa sulla perpetrazione e sul mantenimento dei ruoli di genere, cioè sulle relazioni di potere – non ci abbia portate alla parità sessuale, anzi. Viviamo in un mondo ossessionato dal sesso, visto e rappresentato in continuazione, in apparenza libero. Ma alla fine le donne eterosessuali sono sempre quelle che hanno meno orgasmi di tutti. Liberi tutti, insomma, tranne noi.
Una delle figure citate da Ghodsee, Aleksandra Kollontaj, nella famosa “Lettera dell’eros alato” del 1923 pubblicata sulla rivista Molodaja Gvardija scriveva: “L’eros è non soltanto un fattore imperioso della natura, una forza biologica, ma è anche un fattore sociale”, incolpando la borghesia di aver imprigionato la sessualità nella gabbia della legittimità. Secondo Kollontaj il moralismo borghese, ossessionato dalle relazioni legittime (cioè dal matrimonio) ha fatto sì che le espressioni più libere della sessualità si siano sviluppate al di fuori della coppia. Questo ha creato uno squilibrio nelle possibilità riservate all’uomo – potenzialmente autorizzato a vivere la sua sessualità come meglio credeva al di fuori della relazione – e alla donna, relegata ai rapporti al suo interno. Di contro, Kollontaj propone “Il riconoscimento, anche nell’eros, dei diritti reciproci”. Secondo lei, la liberazione delle donne, ma più in generale il miglioramento dei rapporti tra le persone, non poteva prescindere dalla comunione e dalla condivisione del piacere.
Oggi la società è senz’altro cambiata rispetto al 1923, ma molte dinamiche di coppia sembrano essere rimaste le stesse, sia che si parli di matrimonio che di una one night stand. I numeri sugli orgasmi nei rapporti eterosessuali parlano chiaro: solo chi si libera dal sessismo, sia quello interiorizzato sia quello delle persone intorno a sé, ha gli strumenti per vivere una vita sessuale soddisfacente.