C’è chi citofona per “combattere il crimine”. E poi ci sono i “morti che camminano”.

Un morto che cammina. È così che viene definito il Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, in un’intercettazione dove gli uomini della ‘ndrina di San Leonardo di Cutro affermano con chiarezza che farà la fine di Falcone. Sotto scorta dal 1989 per la sua lotta contro la ‘ndrangheta, Gratteri non fa un bagno al mare da quindici anni e da trenta non va al cinema. Troppo pericoloso, con quel buio in sala. “Non si rischia la vita degli altri per un film”, dice pensando alla sua scorta. L’unico strappo che si concede è la vita di campagna: coltiva il suo orto, usa il trattore mentre gli uomini della scorta lo seguono imbracciando il mitra. È la sola libertà che può permettersi. Il resto del tempo lo passa nel suo ufficio a Catanzaro, dietro finestre blindate. Da lì ogni tanto si affaccia e osserva la vita degli altri, la vita normale. Quella che vede dalla sua finestra è Piazza Falcone e Borsellino.

Pochi giorni fa il comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica è stato convocato in prefettura a Catanzaro per affrontare un argomento scottante: rafforzare il dispositivo di protezione attorno a Gratteri, nuovamente minacciato dalla ‘ndrangheta. Gli inquirenti sono venuti a conoscenza dell’ennesimo piano per attentare alla vita del magistrato. Si parla di armi da guerra ad alto potenziale e sicari assoldati dai clan. Già nel 2005 era stato trovato un arsenale nella piana di Gioia Tauro: lanciarazzi, kalashnikov, un chilo di esplosivo al plastico e bombe a mano. Il piano già pronto è stato sventato perché due ‘ndranghetisti erano stati intercettati nel carcere di Melfi mentre parlavano di come far saltare in aria Gratteri insieme alla sua scorta. Adesso l’allerta è massima, al Procuratore sono stati assegnati dei Suv corazzati, gli eventi pubblici sono stati cancellati e le misure di sicurezza rafforzate. Gratteri non si è calato nella parte dell’eroe: “Certo che ho paura, ma la paura va addomesticata, bisogna imparare a dialogare con la morte”.

Nicola Gratteri

Intanto la recente campagna elettorale per le regionali in Calabria è stata la fiera dell’ipocrisia politica. Tutti i partiti in gioco, nessuno escluso, hanno enfatizzato il loro sostegno a Gratteri; gli stessi partiti che il Procuratore nel corso degli anni ha più volte ripreso per le falle nelle loro azioni in tema giudiziario. Il corteggiamento della politica inizia nel 2014, con Renzi che fa di tutto per convincere Gratteri ad accettare il ruolo di ministro della Giustizia per il suo governo. Gli promette carta bianca e lui accetta. Le consultazioni al Quirinale durano più del dovuto proprio a causa di uno stallo su un unico nome: quello di Gratteri. Alla fine Delrio gli telefona per comunicargli la decisione di Napolitano: “Il Presidente della Repubblica non la vuole perché la considera un Pm troppo caratterizzato”. Né Gratteri né Renzi la prendono bene. Quest’ultimo tenta di rimediare nominandolo Presidente della commissione per l’elaborazione di proposte normative in tema di lotta alle mafie. Gratteri, dopo sei mesi, presenta il suo lavoro alla Commissione antimafia e al Parlamento. Degli oltre 250 articoli passa soltanto il processo a distanza, una misura passata più per ragioni economiche che non di sicurezza; il resto, accompagnato da scuse come “Renzi non ha i numeri per approvarlo”, scompare nel nulla.

Gratteri ha sempre esortato la politica a rivoluzionare il sistema giudiziario, snellendo i tempi e riducendo le spese. Come ha spiegato in merito al processo a distanza, “Ogni anno lo Stato spende 70 milioni di euro in traduzione e trasferimento detenuti, e un agente penitenziario su quattro è impiegato a tale scopo”. Le altre proposte di Gratteri sono state cestinate, ma non è l’unica fonte di attrito con il Pd. Il mese scorso il Procuratore ha condotto l’indagine Rinascita Scott, che ha portato all’arresto di 334 persone legate alla ‘ndrangheta e alla decapitazione delle ‘ndrine nell’area di Vibo Valentia (anche se si sono già verificate 68 scarcerazioni). Si tratta di un’operazione storica, numericamente la più estesa dai tempi del maxiprocesso di Palermo di Falcone e Borsellino. Eppure c’è chi ha avuto da ridire. La deputata del Pd Enza Bruno Bossio ha commentato: “Gratteri arresta metà Calabria. È giustizia? No, è solo uno show!”. Il suo partito ha subito preso le distanze con fermezza, confermando il suo appoggio al Procuratore. Dopo la diffusione del commento della Bossio la stampa ha reso noto che nell’indagine è coinvolto anche il marito della deputata, l’ex consigliere regionale Nicola Adamo, accusato di aver aggiustato una sentenza in cambio di 50 mila euro. Nel frattempo, ad Adamo è stata peraltro revocata la misura cautelare del divieto di dimora.

Enza Bruno Bossio

Il sostegno a Gratteri è arrivato anche dal M5S, ma non è ricambiato. Il Procuratore si è definito deluso dalle scelte politiche dei grillini: “Dal M5S mi aspettavo una rivoluzione, ma perché i fascicoli rimangono fermi? Il sistema giudiziario così com’è è troppo farraginoso e non è adeguato alla realtà criminale odierna”. Ma a rappresentare il paradosso più grande sono gli attestati di solidarietà del centrodestra, che in Calabria ha una storia di arresti e rapporti stretti con la ‘ndrangheta e che pochi giorni fa ha trionfato alle regionali con una coalizione a trazione Forza Italia. La vittoria di Jole Santelli rappresenta il rilancio del partito, che con il suo 12% ha affiancato la Lega nei consensi. Va detto che i risultati di una singola regione non hanno riscontro sul piano nazionale, dove le dinamiche sono diverse e il partito di Berlusconi si deve accontentare di percentuali molto diverse. È inquietante però il ritorno all’ancien régime forzista, inevitabile dopo i guai giudiziari dell’ex governatore Pd Mario Oliverio e lo smantellamento a livello regionale del M5S. A vincere è stata una destra galvanizzata anche grazie alle bizzarre scene che hanno segnato la campagna elettorale, come il sindaco di Soriano Calabro che ha fatto il baciamano a Berlusconi o le battute sessiste dell’ex Cavaliere. In Calabria sembrerebbe quasi di essere tornati al 1994, così come nulla parrebbe cambiato nel rapporto tra politica e criminalità organizzata.

Tra gli arrestati nell’operazione Rinascita Scott spicca il nome di Giancarlo Pittelli. Una vita con Forza Italia, deputato e senatore ininterrottamente tra il 2001 e il 2013, Pittelli è poi passato a Fratelli d’Italia con l’accoglienza festante di Giorgia Meloni nel 2017: “Pittelli è un valore aggiunto per la Calabria e tutta l’Italia”. Pittelli, avvocato e iscritto alla Massoneria (ora sospeso), è accusato di essere un tramite tra cosche della ‘ndrangheta e istituzioni.

Giancarlo Pittelli

Matteo Salvini è riuscito a superare tutti gli altri leader del centrodestra con le sue dichiarazioni in merito a Gratteri: “Gratteri è come un fratello, è vittima di minacce come me”. Salvini è però lo stesso che ha minacciato di togliere la scorta a Saviano, è il politico che si è allacciato in Calabria al clientelismo ereditato dagli anni berlusconiani e che ha affidato la rappresentanza locale della Lega a soggetti con amicizie quanto meno discutibili. È il caso di Vincenzo Gioffrè, uomo di spicco della Lega a Rosarno, che ha fondato una società con Giuseppe Artuso – considerato dalla Procura di Reggio Calabria vicino al clan Pesce – e creato un consorzio di cooperative agricole con Antonio Francesco Rao (per gli investigatori vicino al clan Bellocco). Non bisogna dimenticare poi che Salvini è stato eletto senatore proprio in Calabria e durante la festa per l’elezione erano presenti diversi esponenti della criminalità organizzata. Il centrodestra regionale è poi figlio dell’esperienza di Giuseppe Scopelliti, ex governatore arrestato per falso in atto pubblico e accusato da pentiti e magistrati di essere stato appoggiato dal clan De Stefano di Reggio Calabria.

Giuseppe Scopelliti

Salvini e Gratteri non sono decisamente fratelli. A stridere è anche la loro visione della giustizia. Da un lato c’è chi citofona a minorenni tunisini con il piglio dello sceriffo di quartiere e l’arroganza di chi discrimina individui e comunità, calpesta qualsiasi iter giudiziario e fa il bullo con le procure; dall’altro c’è chi decapita i vertici della ‘ndrangheta, senza telecamere al seguito. Se Salvini usa i mezzi delle forze dell’ordine per far divertire suo figlio a Milano Marittima sulle moto d’acqua, Gratteri li usa per lottare contro la mafia più ricca e potente del Pianeta. Il Procuratore ha inoltre più volte accusato Salvini di demonizzare gli immigrati invece di parlare della mafia, rimproverandolo per non aver sbloccato fondi sufficienti per indire concorsi per poliziotti, carabinieri, finanzieri, polizia penitenziaria e vigili del fuoco. I metodi di Salvini sono l’antitesi di quelli di Gratteri, e se il leader leghista finge di non accorgersene è soltanto per un tornaconto elettorale che gli permetta di modellare la maschera dell’uomo giusto e retto con una vicinanza di facciata al Procuratore di Catanzaro.

Come abbia osato paragonare la sua storia a quella di Gratteri resta un mistero. Chi non vede il mare da quindici anni perché sotto scorta per il suo servizio alla comunità non può essere accostato a chi sulle spiagge organizza comizi da capopopolo in bermuda e Dj set con remix dell’inno di Mameli. Gratteri non è un eroe, ma un uomo, e in quanto tale le sue opinioni non sono il Vangelo. Sono però i fatti a determinare il rispetto che gli è dovuto. La beatificazione di un magistrato è una consuetudine che lo stesso Gratteri rifiuta con sdegno, come la rifiutavano Falcone e Borsellino. C’è però una differenza sostanziale tra chi pratica una professione a testa alta, servendo lo Stato, e chi invece quello Stato cerca di trasformarlo in uno dei suoi slogan propagantistici e antidemocratici.

Matteo Salvini

Nel 1989 degli uomini si sono presentati sotto la casa di Marina, la fidanzata di Gratteri, e hanno sparato alcuni colpi di arma da fuoco. Poco dopo ha trovato un biglietto con scritto “Stai sposando un uomo morto”. Trent’anni dopo è ancora al suo fianco in una vita-prigione che non permette loro nemmeno di passeggiare lungo il corso principale di una città. “L’uomo morto” sta continuando a fare il suo lavoro e gli sciacalli della politica dovrebbero avere almeno la decenza di non accostarsi a lui, e di preoccuparsi che i voti al proprio partito non arrivino dagli ambienti criminali che Gratteri e i suoi uomini stanno combattendo rischiando quotidianamente la vita.

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