Nel 1948, Earl Tupper era un imprenditore texano del settore della plastica convinto che avrebbe rivoluzionato il settore dei casalinghi grazie a un accordo col gigante petrolchimico DuPont. Vent’anni prima aveva creato un nuovo materiale, il Poly-T, e cominciato a produrre dei contenitori dalle forme barocche che imitavano le porcellane a un prezzo molto più contenuto. La sua invenzione però non riusciva a prendere piede, finché un giorno Tupper non ricevette la telefonata di una casalinga di Detroit, Brownie Wise. La donna gli raccontò di aver organizzato una festa, aver invitato tutte le sue amiche e aver usato quell’occasione per vendere con successo i contenitori. Tupper decise di dare fiducia a Wise, che fu subito assunta dalla Tupperware Plastics Company e nominata vice direttrice di una nuova branca dell’azienda, la Tupperware Home Parties Incorporated. Il design dei contenitori fu semplificato per renderli più pratici e moderni. Dieci anni dopo, grazie ai suoi party la Tupperware fatturava 10 milioni l’anno, equivalenti a 100 milioni attuali.
L’intuizione di Wise arrivò nel momento ideale. Dopo la seconda guerra mondiale, molte donne che avevano sperimentato un assaggio di indipendenza sia perché i mariti erano al fronte sia perché avevano contribuito allo sforzo bellico lavorando, furono ricacciate nella dimensione domestica. Wise stessa, dopo aver divorziato da un marito violento, durante il conflitto aveva lavorato come infermiera militare e poi come segretaria di una compagnia aeronautica. Quando a guerra conclusa cercò un impiego di tipo manageriale in un’azienda di articoli per la casa le fu risposto che il management non era un posto per donne. Anche in quell’azienda aveva già provato, ma senza successo, a proporre la formula dei party.
In quel periodo, negli Stati Uniti si era imposta una nuova immagine di donna, che Betty Friedan descriverà con precisione nel suo saggio del 1963 La mistica della femminilità, considerato uno dei testi fondanti del femminismo di seconda ondata. Proprio perché queste donne spesso erano istruite e avevano conosciuto forme di libertà e autonomia, l’ideologia vittoriana dell’angelo del focolare privo di qualsiasi aspirazione se non quella di far felice il marito non era più efficace per convincerle a restare nella tranquillità casalinga. Fu necessario quindi uno sforzo propagandistico, che vide in prima linea la pubblicità e le riviste di economia domestica, per indurre le donne a rinunciare alla propria indipendenza. “Il lavoro domestico, lavare i piatti, cambiare i pannolini dovevano essere rivestiti da una nuova mistica che equivalesse a dividere il nucleo di un atomo, esplorare lo spazio, creare arte che illuminasse il destino dell’uomo, far avanzare le frontiere della società”, scrive Friedan.
I Tupperware party, durante i quali una rappresentante vende i prodotti alle sue amiche trattenendo per sé una commissione, “trionfarono grazie ai mutevoli e spesso contraddittori ruoli sociali ed economici delle donne e del consumismo alla fine del ventesimo secolo”, osserva la storica del design Alison J. Clarke nel suo libro Tupperware: The Promise of Plastic in 1950s America. Le feste permettevano alle casalinghe di lavorare senza mettere piede fuori dalle mura di casa, presentando un prodotto affine ai loro interessi. In quel momento storico, diventare una venditrice del marchio poteva essere un’opportunità di autonomia economica, di realizzazione professionale, nonché di relazione con altre donne in comunità che spesso le vedevano segregate. “La cultura aziendale della Tupperware offriva un’alternativa alla struttura patriarcale delle vendite tradizionali che molte donne, del tutto alienate dal mondo del lavoro convenzionale, abbracciarono con entusiasmo”, scrive Clarke. Sin da subito, i Tupperware party si configurarono come un’attività essenzialmente femminile: solo il 5% dei venditori era uomo.
Dopo il successo dei contenitori di plastica, molte altre aziende replicarono il modello di quello che presto sarebbe diventato noto come direct marketing o multi level marketing, un business dove il profitto dell’azienda arriva dallo sfruttamento del lavoro non salariato di venditori che percepiscono soltanto delle commissioni: come Amway, fondata nel 1959, Avon, nata a fine Ottocento ma che cominciò ad avere un successo straordinario proprio dagli anni Cinquanta, Herbalife o Nature’s Sunshine. Tutte queste compagnie contavano e tuttora contano sulla presenza delle donne, sia come lavoratrici che come consumatrici: nel 2022, le donne erano il 75% dei venditori diretti.
Proprio perché il profitto dell’azienda deriva dalla quantità di rappresentanti che riesce a reclutare, e che spesso devono corrispondere un investimento iniziale per cominciare l’attività, le campagne del MLM si rivolgono non tanto al consumatore finale che comprerà il prodotto, quanto più al potenziale lavoratore. Sin dalle sue origini, il MLM ha investito sulla promessa di libertà femminile e ammiccato a messaggi femministi: una pubblicità della Tupperware degli anni Sessanta recitava: “Tupperware, la miglior cosa successa alle donne da quando hanno ottenuto il voto”. L’immagine mostrava una pila di contenitori appoggiata su una cassetta elettorale e contornata dal nastro tipico delle suffragiste.
Altre aziende, come Amway, presentavano l’attività di rappresentante come un modo per guadagnare soldi senza violare la moralità del matrimonio cristiano, che prevede che siano solo i mariti a provvedere per la famiglia. La strategia di Amway è stata associata al “Prosperity Gospel” (Il Vangelo della prosperità), un’interpretazione delle sacre scritture diffusa in diverse confessioni evangeliche americane secondo cui la ricchezza non è immorale, ma anzi sarebbe un comandamento divino. La fondazione della famiglia DeVos, ideatrice e proprietaria di Amway, è ancora oggi una delle più influenti realtà conservatrici cristiane degli Stati Uniti, nonché tra i principali donatori del partito repubblicano. Una delle eredi, Betsy DeVos, è stata anche la segretaria dell’Istruzione dell’amministrazione Trump.
Negli anni Ottanta, periodo d’oro del MLM, il messaggio cambiò ancora una volta. In un contesto in cui sempre più donne entravano nel mercato del lavoro riuscendo a ottenere ruoli manageriali o dirigenziali, l’appeal della devota casalinga che mette qualcosa da parte per aiutare la famiglia divertendosi non funzionava più. Si impose così una tendenza retorica che continua ancora oggi e che ha permesso a un modello di business disfunzionale e spesso considerato illegale di continuare a prosperare, ovvero la spinta sull’ideologia neoliberale del self-made man o, meglio, della self-made woman. Il MLM venne risignificato come una attività imprenditoriale finalmente accessibile anche alle donne, capace di corrispondere ai loro interessi e consumi abituali e di consentire loro l’acquisizione di prestigio e riconoscimento sociale nella propria comunità. Le più fedeli accolite dei MLM millantano infatti tuttora, soprattutto sui social, guadagni stellari che consentono uno stile di vita molto agiato, anche se solo l’1% di chi si unisce a questi business riesce a raggiungere il livello necessario per guadagnare effettivamente qualcosa. E meno dell’1% ottiene un profitto paragonabile a uno stipendio.
Le aziende che nel corso degli ultimi trent’anni hanno adottato questa strategia non a caso sono quelle che vendono prodotti diversi da quelli che hanno dato inizio al settore del MLM (cosmetici e articoli per la casa), come per esempio prodotti wellness o abbigliamento, capaci di veicolare un’immagine di femminilità diversa da quella tradizionale. L’enorme successo di queste aziende si è intrecciato con la cultura dell’empowerment e del femminismo aziendale, che vede il successo individuale e professionale come l’unico veicolo per la liberazione femminile. Emblematico è stato il caso di LuLaRoe, raccontato anche nella docuserie Amazon Studios del 2021 LuLaRich, un MLM di leggings che assunse i contorni di una setta quasi religiosa, caratterizzato da un marketing aggressivo verso le “Momtrepreneurs” (crasi di “mamme” e “imprenditrici”) a suon di #girlboss, #girlbabe e #girlpower. Ancora oggi lo slogan di LuLaRoe, che nel frattempo ha patteggiato un risarcimento di quasi cinque milioni di dollari nell’ambito di una class action che ha riconosciuto l’azienda come uno schema piramidale, è “creare libertà attraverso la moda”.
Ciò che sostiene Clarke a proposito della Tupperware degli anni Cinquanta, è valido ancora oggi: il MLM rappresenta un’alternativa all’organizzazione patriarcale del lavoro convenzionale, dove non si incontrano le tradizionali barriere di genere che si potrebbero trovare altrove, almeno in teoria. Nel MLM non esiste il “soffitto di cristallo”, perché il guadagno è commisurato all’impegno investito nell’attività; non esistono le molestie sul lavoro, perché si tratta di ambienti frequentati in prevalenza da altre donne; non esiste il problema della conciliazione tra carriera e famiglia, perché il lavoro si svolge prevalentemente da casa. Ma questi apparenti punti di forza sono anche il motivo per cui le aziende che praticano questo modello di business lucrano sulle difficoltà e sulla solitudine delle donne, finendo col rafforzare gli schemi patriarcali che affermano di voler distruggere.
I MLM, infatti, non sono un’opportunità di guadagno per le donne, ma anzi secondo il Pyramid Scheme Alert, un’organizzazione di consumatori che cerca di contrastare il fenomeno, il 99% di chi entra in un MLM perde soldi. La rappresentante guadagna in media 14 dollari a settimana, a cui vanno sottratti i soldi dell’investimento iniziale, delle tasse e di altre spese. Promettendo alle donne di poter lavorare comodamente da casa continuando a prendersi cura della famiglia come se non avessero un lavoro, i MLM da un lato capitalizzano su uno dei principali ostacoli all’occupazione femminile, dall’altro rinforzano in maniera indiretta l’idea che per una donna l’unico modo di avere una carriera soddisfacente sia non rinunciare al lavoro di cura.
Il 18 settembre scorso, la Tupperware ha dichiarato bancarotta. Il mercato è invaso da prodotti simili ma più convenienti, la plastica è un materiale sempre meno apprezzato per ragioni ambientaliste e, come ha detto un manager dell’azienda, “oggi tutti sanno cos’è un Tupperware ma pochi sanno dove trovarlo”. Questo non significa, però, che il modello dei MLM sia in declino, anzi: nel 2022 il settore valeva 40,5 miliardi di dollari negli Stati Uniti ed è cresciuto di più di dieci miliardi in dieci anni, coinvolgendo più di 5 milioni di donne. Di queste, solo 50mila non stanno perdendo denaro.