Tra la notte di giovedì 25 e venerdì 26 luglio, il vice brigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega è stato ucciso con undici coltellate nel quartiere romano di Prati. Rega, durante il servizio in borghese, è stato ferito mortalmente durante un controllo di due persone sospettate di furto. A indagini ancora in corso e senza nessuna conferma ufficiale, giornali, telegiornali ed esponenti politici si sono affrettati a indicare come responsabili due nordafricani.
Questo ha dato origine a una serie di dichiarazioni avventate di diversi personaggi pubblici: Matteo Salvini ha ripreso la notizia sui presunti nordafricani da Il Messaggero, definendo l’omicida un “bastardo” da spedire ai lavori forzati; Giorgia Meloni ha pubblicato un post su Facebook, poi rimosso, sul fatto che si trattasse di due “magrebini”; Paolo Gentiloni ha rilanciato l’ipotesi dei “sospetti nordafricani” in un tweet. Anche il mondo dell’informazione è riuscito a distinguersi, con il giornalista Mario Giordano che in un video su Facebook, ha a sua volta detto che si trattava “probabilmente di nordafricani”, mentre Daniele Capezzone su La Verità, trascurando i canoni di precauzione deontologica, senza condizionali e senza nessuna prova a sostegno, ha affermato che i responsabili “erano nordafricani”.
Il linciaggio mediatico nei confronti dei nordafricani è stato rinforzato da una bufala nata e amplificata dalla pagina Puntato, l’App degli operatori di Polizia, dove è stata pubblicata una foto segnaletica corredata di documenti di quattro persone, indicate come gli aggressori nordafricani che avevano ucciso Rega. La gravità di questo post non riguarda solo la fake news in sé, ma il fatto che la pagina corrisponda all’account di un’applicazione ideata per le forze di polizia, legata al sito della Polizia di Stato. Anche se il post è stato successivamente eliminato, questo non ha impedito la diffusione delle foto segnaletiche su numerosi altri siti.
Inoltre, in un’intervista per Unomattina, Matteo Salvini si è cimentato in un monologo senza contraddittorio ospite di Roberto Poletti – conduttore del programma e suo biografo – in cui ha detto testualmente che “Si tratta quasi sicuramente di due soggetti non italiani, guarda che strano”. Nella stessa intervista, la discussione è passata dalla questione del carabiniere ucciso a quella degli sbarchi e dei migranti: in particolare, Matteo Salvini ha parlato del progetto di un nuovo centro per i rimpatri a Milano, mentre la telecamera inquadrava la foto delle nozze di Rega e della moglie. È chiaro che l’intento più probabile fosse quello di imputare la colpa non a stranieri qualsiasi, ma proprio ai migranti che sbarcano, ovviamente identificati come appartenenti a una categoria etnica ben precisa. Ad alimentare ulteriormente questo collegamento tra i migranti e il carabiniere ucciso ha contribuito un articolo de Il Messaggero dal titolo “Carabiniere ucciso a Roma, i residenti: siamo invasi dai migranti”; come se l’equazione carabiniere ucciso e “colpa dei migranti” fosse ormai assodata. Articolo poi ripreso dalla pagina Facebook ufficiale Lega – Salvini Premier che non ha ancora rimosso la notizia falsa dei due nordafricani in fuga dopo l’omicidio di Rega.
Tuttavia, la veemenza con cui si parlava di bestie e di bastardi nordafricani si è placata quando è emerso che i due presunti aggressori sono cittadini statunitensi, bianchi, facoltosi e poco più che ventenni. Ora non si parla più di “bestie” o di “bastardi”, ma di “ragazzi”, riferendosi a Christian Gabriel Natale Hjorth e Elder Finnegan Lee, che avrebbe confessato l’omicidio. Nonostante ciò, i complottisti del web sono convinti che il loro arresto sia appunto un complotto per nascondere la “verità” sui reali aggressori nordafricani. Queste teorie continuano a diffondersi nonostante Sergio Brugiatelli, l’uomo derubato dello zaino dai due aggressori di Rega che ha contattato i Carabinieri per farselo restituire, abbia poi confessato di aver detto inizialmente che si trattava di magrebini per depistare le indagini.
Il dibattito pubblico sui fatti di cronaca si è ridotto a una gogna per un intero gruppo culturale grazie alla ricerca sistematica di un capro espiatorio perfetto, da trovare senza alcuna analisi oggettiva sui fatti e a prescindere dalla nazionalità della persona che ha commesso il reato. Per Sergio Brugiatelli è stato semplice chiamare in causa i magrebini ed essere creduto da gran parte delle principali testate giornalistiche, dei politici e dell’opinione pubblica. In molti si sono affrettati a sottolineare l’origine dei presunti sospettati, che da “probabilmente nordafricani” e “presumibilmente nordafricani” sono presto diventati “sicuramente nordafricani”. Senza perdere di vista la gravità dell’omicidio, questo fatto di cronaca deve farci prendere coscienza sul linciaggio mediatico messo in moto contro un gruppo etnico, basandosi esclusivamente su fake news e tesi preconcette dei soliti diffusori di odio. Alla collaudata macchina del fango si aggiunge un evidente doppio standard razzista che si manifesta nell’umanizzazione a fasi alterne per chi è coinvolto nel reato: se nordafricano “bestia”, se statunitense “ragazzo”. Gran parte delle testate online non ha nemmeno fatto cenno alla modifica delle informazioni contenute negli articoli, limitandosi a cancellare e ripubblicare: i nordafricani sono diventati automaticamente “ragazzi americani”, liberando i giornalisti di ogni responsabilità.
La stampa, in modo più o meno consapevole, gioca dunque un ruolo fondamentale nella diffusione di questo clima d’odio. Eppure, secondo il punto 1.3 delle Linee Guida per l’applicazione della Carta di Roma del 2014 – strumenti di lavoro per un’informazione corretta sui temi dell’immigrazione e dell’asilo – “Si dovrebbe usare con maggiore responsabilità e consapevolezza, rispetto a quanto avviene attualmente, la nazionalità per nominare il/la protagonista di un fatto di cronaca”, e ancora “Per i titolisti e per i caporedattori e responsabili interni: si ricorda quanto la menzione e sottolineatura nella titolazione e nelle locandine sulla nazionalità, così come sulle altre designazioni sopra citate, possa incidere gravemente sulla convivenza civile e alimentare in modo pericoloso pulsioni razziste e xenofobe presenti nella nostra società”.
È chiaro che questi due aspetti non sono stati rispettati dopo i fatti del 25 luglio, né vengono rispettati nella maggior parte dei casi che coinvolgono persone di origine straniera. L’associazione Carta di Roma ha deciso di stilare una mappa delle violazioni che si sono consumate durante la cronaca di questo caso per portare l’indagine all’attenzione dei consigli di disciplina dell’Ordine dei Giornalisti. L’Ordine si è già mosso con le prime sanzioni, non nei confronti delle dichiarazioni ai limiti della propaganda di partito di Giordano o Capezzone, ma contro la professoressa di Novara, iscritta all’albo dei giornalisti, che avrebbe commentato la morte di Rega con la frase “Uno in meno e chiaramente con lo sguardo poco intelligente. Non ne sentiremo la mancanza”. Anche se l’insegnante di Storia dell’arte ha dichiarato di non essere l’autrice dell’offesa su Facebook – cosa che ha poi confermato, precisando ad alcuni giornalisti che “Per motivi che spiegherò solo a chi di dovere, mi sono assunta una responsabilità non mia” – il presidente dell’Ordine Carlo Verna ha dichiarato la volontà di segnalarla al Consiglio di disciplina del Piemonte.
A spaventare non è solo la martellante propaganda sui “nordafricani bastardi”, ma il fatto che in pochi abbiano sentito la necessità di verificare le informazioni, una volta trovato il capro espiatorio del crimine. Razzismo e xenofobia vengono alimentati proprio dalla volontà di mettere in evidenza, in modo esagerato e voluto, la nazionalità di chi commette il reato, mentre il “grado di gravità” del reato dipende dall’etnia di chi lo commette. Nonostante le indagini sull’omicidio siano ovviamente rilevanti e abbiano la priorità, è necessario prendere coscienza anche di una maniera sempre più pericolosa di fare informazione e di come sia poi facile non assumersi le dovute responsabilità. Non basta cancellare e digitare una nuova versione dei fatti, ma bisogna essere consapevoli delle ripercussioni che può avere ciò che si scrive, specialmente se si parla di persone.