Accusata di essere troppo allegra e di essere guarita troppo in fretta, ritenuta fastidiosa perché troppo ottimista, eccessiva, tattica, poco discreta. “Se vi va, vorrei prendermi un paio di minuti per dire delle cose importanti”: l’11 febbraio Nadia Toffa ha esordito così raccontando a sorpresa in diretta tv i retroscena delle vicissitudini ospedaliere degli ultimi mesi. Le è stato rimosso chirurgicamente un tumore (non ha specificato l’organo colpito) e subito dopo si è sottoposta, su consiglio dei medici, a un ciclo preventivo di chemio e radioterapia. Mentre lo raccontava ho notato che aveva i capelli di un colore un po’ diverso dal solito: qualche minuto dopo l’inizio del suo discorso ha confessato di portare una parrucca. Gli occhi le continuavano a riempirsi di lacrime, ma non ne è caduta nessuna. La voce era sempre lì per spezzarsi. Le frasi che più hanno risuonato nello studio e nei commenti a seguire sono state: “Non trattateci da malati, siamo dei guerrieri” e “Chi combatte contro il cancro è un figo pazzesco”.
Tra le tante manifestazioni di solidarietà, hanno iniziato a serpeggiare, prevedibili, anche le critiche, i moti di stizza, gli insulti (uno dei più reattivi è stato Filippo Facci che in un articolo confuso e pretenzioso ha detto di aver provato un “moto di ripulsa” per la “banalizzazione dei malati di tumore” prodotta dalla conduttrice). In particolare, ha iniziato a ricevere molta visibilità un post pubblicato su Facebook.
Sono una tua ammiratrice, felice x la tua ripresa, ma … a volte, esageriamo tutti un po con le parole, magari presi…
Pubblicato da Catia Brozzi su venerdì 16 febbraio 2018
La prima volta che mi ci sono imbattuto l’ho trovato condiviso sulla bacheca di una scrittrice italiana piuttosto conosciuta. Ho provato fastidio per l’autrice e per chi ha fatto da cassa di risonanza, impreziosendolo con lanci tipo: “Per tutti quelli che hanno il cancro davvero”, “Per i malati veri”. Il post è diventato virale: ha raggiunto più di 150mila mi piace ed è rimbalzato anche sulla home page dei maggiori quotidiani nazionali. Un commento fuori luogo e retorico, ma che ha avuto la forza di galvanizzare il livore che sgorga sempre volentieri contro i personaggi famosi, soprattutto quando sono donne e poco mansuete.
Il nome di Nadia Toffa si sa, tira. E proprio per questo rappresenta un’occasione irresistibile per ottenere visibilità grazie al traino di un personaggio ormai in periodico trending topic sui social. L’interesse per la conduttrice delle Iene è esploso col suo svenimento del 2 dicembre a Trieste: tutta l’Italia ha seguito in diretta, ora dopo ora, gli aggiornamenti sulle sue condizioni mediche. Un grande romanzo mediatico, che l’11 febbraio ha avuto il suo colpo di scena: il motivo del malore non è stato un’aneurisma o un’ischemia, ma un tumore, ancora per fortuna a uno stadio precoce. Nadia Toffa ha deciso di raccontarlo apertamente e la condivisione televisiva ha fatto scattare una specie di stomachevole contest per accaparrarsi il ruolo di leader nel tiro al bersaglio contro la spocchiosa conduttrice televisiva, additata come un’inadeguata malata di cancro.
Infatti, anche se nessuno lo sta sottolineando a sufficienza – Gramellini sabato sera, intervistando Daria Bignardi, ha involontariamente di nuovo alimentato il fraintendimento – il post contro Nadia Toffa è un post che è stato rivendicato da una persona non famosa: quella che dice di esserne la vera autrice, Melissa Cosentino, una donna campana, sembra lo abbia postato sulla propria bacheca Facebook subito dopo le dichiarazioni della conduttrice. Di lì a poco Catia Brozzi, perugina, se ne sarebbe impossessata, senza condividerlo, bensì copiandolo e incollandolo direttamente sulla propria bacheca, di fatto auto-attribuendoselo e godendo della successiva pioggia di like e condivisioni che hanno finito davvero per renderla, nelle ricostruzioni giornalistiche, l’autrice del testo. “Per caso, ho trovato sulla mia bacheca un post che rispondeva a Nadia. Non sapevo chi fosse l’autore”, ha detto con provvidenziale innocenza Catia Brozzi. Quando poi anche la versione di Melissa Cosentino ha cominciato a diffondersi, Brozzi ha deciso di eliminare la possibilità di commentare il post, in modo da arginare e censurare le possibili rimostranze.
Chiunque sia la vera autrice, l’incipit del post corrisponde alla classica captatio benevolentiae: si rivolge direttamente a Nadia Toffa, con una certa confidenza, così da potersi permettere gli affondi seguenti. L’insofferenza per la distanza tra persona comune e vip legittima una serie di sparate vittimistiche che, per sfogare un fastidio personale, chiamano in soccorso invidia sociale e populismo. Nadia Toffa in due mesi è guarita (anzi, pensa di esserlo: questo dicono quei quattro, orrendi punti di domanda tra parentesi). E se è così è perché ha i soldi, è una privilegiata. All’iniziale demagogia, seguono iperboli e fallacie argomentative: “Sai, qui, nel mondo di noi comuni mortali, ci sono persone che in due mesi non riescono neanche ad avere una diagnosi, muoiono ancora prima di sapere di che male soffrissero”. Ora: che uno scenario del genere possa esistere è anche possibile, per carità, ma è difficile sostenere che costituisca la norma. I motivi delle diagnosi tardive sono altri: la mancanza di prevenzione e l’asintomaticità, soprattutto. E il tumore certo può uccidere e uccide. Ma uccide, com’è noto, anche i personaggi famosi. Tutto il post di Cosentino-Brozzi invece mette in scena un monologo stucchevole all’insegna della ripetizione ossessiva del marcatore spaziale “qui”. Qui, qui, qui: qui noi ci ammaliamo, qui si soffre, qui di tumore si muore. Tutto è scandito da una reiterazione compulsiva che ha sempre lo stesso senso: guarda che il mondo vero è un’altra cosa.
Il post rivela la tipica disonestà dell’irrazionalismo populista il cui limite principale è il non vedere che il “mondo vero” è fatto di tante cose. “Il mondo dei comuni mortali” è anche quello di Nadia Toffa che, finito il suo ciclo di terapie va in tv – ovvero torna a fare il suo lavoro – a commuoversi mentre racconta lo strazio di quando i capelli le rimanevano in mano a ciocche e che racconta di aver trovato la forza nel ricordo di una bambina, Gabriella, malata oncologica, intervistata tempo fa: “Se ce l’ha fatta lei, posso farcela anch’io”. L’autrice del post non vede o finge di non vedere che anche per questa ragazza di 38 anni che si chiama Nadia Toffa curarsi è un “terno al lotto”. Il tumore è del tutto democratico, anche se l’invidia sociale ama intrattenersi con scenari alternativi. Nadia Toffa il suo l’ha scoperto in tempo e, ad oggi, le cure con lei hanno funzionato: perché non può parlarne con i toni di una che questo pezzo di strada l’ha fatto? Tra l’altro, il post è anche un grande spot delle cure alternative contro il cancro. Accampa frasi sgarrupate contro la medicina allopatica: “Qui nel nostro mondo ci sono medici indottrinati, afflitti da sindrome di onnipotenza, a rispettare un maledetto protocollo”. Il delirio antiscientista del post sfocia poi nel palese complottismo: i “protocolli” andrebbero violati, per tentare altre, indefinite, cure, quando non offrono i risultati sperati.
Il grande dramma collettivo che traspare è che, preda degli spasmi narcisistici, tutti vogliono accedere alla narrazione condivisa, vogliono esserci. E quando lo spazio non è a portata di mano, si è disposti a tutto per averlo: per chi si nutre di queste forme tossiche, che una sia andata in tv a raccontare la propria storia d’amore o il proprio tumore non cambia niente. Non riesce a vedere, in quella ragazza dalle braccia sottilissime, che a stento riesce a finire le frasi che dice, il suo esser stata messa alla prova dalla più paralizzante delle diagnosi. Il finale, poi, si apre in un exploit memorabile: “Le persone fighe davvero sono quelle che assistono i malati”. La madre di Catia Brozzi, la donna che ha resto il post famoso, pare sia morta di tumore, quindi quella che scatta è una gara a chi soffre di più. Le autrici del post concludono che quelle fighe sono loro, e non Nadia Toffa, che è ricca, va in tv e quindi doveva starsene zitta. E per persuadere il lettore, il post parte con tutta una serie di scene che descrivono il calvario di chi fa i conti, da parente, con questa malattia. I veri fighi “sono quelli che decidono di mentire guardando negli occhi la persona amata mentre il loro cuore batte così forte che rischiano di trovarselo fuori dal petto”, “le persone fighe sono quelle che provano un senso di impotenza devastante, ma si comportano da supereroi”. Il rispetto è doveroso, non dobbiamo fare come l’autrice del post. Ma non si capisce proprio perché questi goffi tentativi autorali dovrebbero valere di più delle parole di Nadia Toffa. Nelle frasi di Cosentino-Brozzi c’è l’esperienza dolorosa – per quanto stilisticamente velata di un sottile autocompiacimento – di chi ha perso un parente, ma non sembra proprio il caso che questo dolore armi il giudizio contro chi ha ancora la parrucca in testa e decide di raccontare la storia della sua malattia usando i toni che le vengono più naturali.
La cosa più interessante di tutto questo è la nostra reazione, o meglio, la reazione di chi ha letto il post, lo ha approvato e diffuso, perché la dice lunga sul piacere che dà l’accanirsi contro una la cui colpa principale è la notorietà. Tutti quelli che hanno apprezzato il post Cosentino-Brozzi non hanno capito che l’importanza di ciò che ha fatto Nadia Toffa ha molto a che fare col diritto che ogni malato conserva di interpretare il suo cancro come vuole: perché si tratta della sua esperienza, è il suo corpo quello che è o è stato colpito, e sono sue le paure che provano a tradursi in discorso. Il bisogno di dare un senso personale a quel che ci accade è alla base della nostra identità, e non viene meno con la malattia. Le storie possono convivere: perché le si vuole vedere sfidarsi in una specie di torneo della pietà, in cui chi commuove o esalta di più dovrebbe far crollare in classifica chi ha scelto un altro registro? Rifiutando toni cupi e deprimenti, questa donna di 38 anni, colpevole della propria fama televisiva, ha prodotto la sua narrazione della malattia, una tra le tante possibili, perché questa a oggi è la sua storia, ed è la storia di molti altri, anche se non di tutti. La potenza del suo messaggio sta proprio qui: lei non ha nessuna certezza che non si ritroverà a fare i conti, tra qualche mese o qualche anno, con una recidiva, ma sta continuando come se questa certezza la avesse. Nadia Toffa ha deciso di mantenere la propria personalità e di leggere a proprio modo l’esperienza del cancro: perché non possiamo semplicemente stare dalla sua parte?