Dev’essere una brutta esperienza, trovarsi finalmente davanti alla Venere del Botticelli, alle sue curve sinuose, ai suoi vividi occhi smeraldo e alla sua ondulata chioma rossa, e pensare che, in fondo, non è poi questo granché. Che vi hanno fregato. A quanto pare, dev’essere successo al ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli, quando, andando in visita agli Uffizi durante una prima domenica del mese, ha rivalutato completamente la collezione del museo fiorentino. Questo perché non aveva pagato il biglietto.
“Non so se vi è mai capitato,” ha spiegato Bonisoli in un momento di condivisione intima delle sue delusioni personali con i giornalisti “ma se voi pensate di pagare una cosa e improvvisamente scoprite che è gratis, non so, vi sembra che ci sia da qualche parte la fregatura.” A dire il vero ministro, con tutto il rispetto, a me non è mai capitato. O meglio, forse sì, quando si è trattato di cibo, gadget o beni materiali d’altro genere. Chiaramente non ci si può aspettare di mangiare dell’ottimo sushi, se per ingollare in due ore pesce e riso in quantità che basterebbero a sfamare una persona per tre giorni, sono richiesti 12.80 euro. E nemmeno si può immaginare che la maglietta ricevuta in omaggio all’ultima festa dell’Unità (o al raduno stellato, se preferisce), sia composta di cotone finissimo lavorato a mano sulle rive del Nilo. Però, ministro, mi permetto di far notare, che la cultura non è del tutto paragonabile a un piatto di sashimi.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio spiega che la valorizzazione del patrimonio artistico, intellettuale e naturale del nostro Paese è intesa come la diffusione della sua conoscenza tra i cittadini, che devono avervi facile accesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Non si parla di monetizzare il cenacolo vinciano. Peraltro, più della metà dei musei italiani non ha alcuna entrata derivante dalla vendita dei biglietti, perché sono gratuiti tutto l’anno. Anche quelli a pagamento non vedono di certo negli ingressi la loro fonte di reddito principale: secondo i dati dell’Istat del 2015, il 26,1% dei musei statali italiani incassa in media 10mila euro al mese dalla vendita dei biglietti, e meno del 3% arriva a 500mila euro l’anno. Non sono queste le cifre con cui si finanziano le attività museali, ammesso e non concesso che vogliamo accettare che debbano principalmente essere gli ingressi dei visitatori a farlo. Specialmente dei visitatori italiani, che già pagano le tasse per permettere allo Stato di preservare il patrimonio artistico, culturale e paesaggistico, troppo spesso lasciato all’incuranza per mancanza di personale, fondi e sincero interesse da parte delle istituzioni. Un problema che non ha di certo creato Bonisoli – già da tempo siamo tra gli Stati europei che hanno disinvestito maggiormente nella cultura, nonostante una diffusione capillare di beni artistici sul territorio molto più alta della media. Non si capisce però come l’abolizione delle domeniche gratuite dovrebbe giovare alla situazione. Anche perché i dati mostrano come i visitatori che hanno usufruito di tale offerta sono in minoranza rispetto a quelli che non hanno pagato il biglietto grazie ad altre esenzioni.
L’iniziativa #domenicalmuseo è stata introdotta dall’ex-ministro del governo Renzi, Dario Franceschini, nel 2014. Da allora, secondo l’assessore alla Cultura del comune di Milano, Filippo del Corno, “Ha riscosso un successo sempre crescente, e soprattutto ha generato e diffuso nuova domanda di cultura: nel corso del tempo sono cresciuti visitatori e incassi complessivi dei musei italiani, stimolati proprio da questo progetto.” Tant’è che pochi mesi fa, la giunta Sala ha deliberato in forma definitiva la gratuità d’accesso ai musei civici ogni prima domenica, e nel pomeriggio di ogni primo e terzo martedì del mese. In effetti, i dati del Mibact confermano lungo tutta la Penislola un aumento di visitatori del 30% dal 2013 al 2017. Il solo numero dei visitatori paganti è cresciuto del 36,4%. Certamente, #domenicalmuseo non è da considerarsi l’unico fattore che ha contribuito al dato, ma è obiettivo che dal momento dell’introduzione dell’iniziativa la crescita è stata significativamente maggiore.
Certamente, anche per questo progetto non sono mancati i problemi. Si sono verificati casi di truffe, per cui tour operator malfattori includevano nei loro pacchetti costi di biglietti che in realtà non avevano, o bagarini che si procuravano gli ingressi gratuitamente, per poi rivenderli nelle giornate a pagamento a turisti sprovveduti. Facta lex inventa fraus: lo dicevano già i latini, dopotutto. Come spesso accade in Italia però, piuttosto che trovare un rimedio all’ingegno criminale, si preferisce fare marcia indietro su iniziative che, seppur migliorabili, sarebbero potute essere positive.
“Voi non avete idea dei commenti che sento a livello internazionale quando questi [i turisti stranieri] arrivano e entrano gratis. Non lo capiscono,” ha aggiunto il ministro. Non so esattamente con chi abbia parlato Bonisoli, ma la gratuità della cultura non è un’invenzione di Franceschini, e nemmeno degli italiani. Al netto delle differenze nella gestione dei poli museali e del patrimonio artistico in Italia e all’estero – dove sono molto meno reticenti ad appaltare determinate funzioni, come la manutenzione, a fondazioni private – saranno centinaia i musei d’eccellenza nel mondo che prevedono almeno una giornata, o una fascia oraria, in cui le persone possono avere libero accesso. È gratuito tutto l’anno l’ingresso alla National Gallery, al Tate Modern, Tate Britain al British Museum e al Victoria and Albert Museum di Londra, al museo nazionale della Cina di Pechino, così come il Museo del Prado di Madrid lo è in determinate fasce orarie e l’Ermitage di San Pietroburgo tutti i primi giovedì del mese. Persino negli Stati Uniti, la terra del verde dio cartaceo, il MoMa è gratis tutti i venerdì pomeriggio, e, per i residenti dello stato di New York, l’ingresso al Met è a offerta libera. Questo non solo permette ai meno abbienti di accedere a una cultura che altrimenti rischia di trincerarsi nell’elitismo, ma può trasformare completamente l’approccio delle persone verso la struttura museale, che può diventare un appuntamento fisso, un luogo d’incontro e studio, piuttosto che una visita una tantum che a volte lascia poco.
Come ha fatto notare Michael Dixon, direttore del museo di Storia Naturale di Londra, in occasione di un dibattito simile scoppiato nel Regno unito proprio sul tema della gratuità dei poli museali, per il Paese “L’ingresso gratuito non è affatto un costo, ma un vero e proprio guadagno in termini monetari.” È dimostrato che “Per ogni sterlina spesa in sussidi governativi, i musei rendono all’economia generale un beneficio di 3.50 pound.” Questo non solo perché i turisti stessi sono attirati nelle città dal fatto che potranno avere libero accesso ad alcune delle più interessanti collezioni al mondo, ma anche perché, durante la loro visita, immetteranno molti più soldi nell’economia generale di quelli che lo Stato ha speso per permettergli l’ingresso gratuito. Il calcolo del direttore dimostra come, se i musei “perdono” 45 milioni di sterline in biglietti, l’indotto generato dai maggiori ingressi è di 315 milioni per l’economia nazionale.
Bonisoli ha dichiarato che lascerà alla libera iniziativa dei direttori dei musei la decisione di implementare o meno iniziative simili. Tradotto, significa che non lo vieterà a livello ministeriale, anche perché dubito potrebbe farlo. Certo, resta da chiarire, con i tagli a cui sono abituati a convivere, quali direttori avranno la sensibilità di sviluppare progetti che permetteranno anche ai cittadini in difficoltà di frequentare i loro istituti. Il tedesco Eike Schmidt per esempio, responsabile degli Uffizi, ha già espresso parere positivo nei confronti della misura preventivata dal ministro per la fine dell’estate. Lui pensa di sostituire le domeniche gratuite con singole giornate a ingresso libero in concomitanza di anniversari legati a personaggi di spicco per la storia della Galleria. Potrebbe certamente essere un’idea, anche se diventerebbe ovviamente molto più difficile per i cittadini – specialmente se non residenti – rimanere aggiornati sul calendario e dunque approfittare dell’offerta. Inoltre si sottovaluta il potere della campagna mediatica che ha fatto conoscere #domenicalmuseo a livello nazionale: trasformare il progetto in un’iniziativa locale a macchia di leopardo rischia di annullarne i benefici a livello nazionale.
Per quanto riguarda la nota del ministro circa la presunta scelleratezza di adottare le domeniche gratuite ad agosto, sarebbe sufficiente suddividere l’anno in alta e bassa stagione per permettere ai musei maggiore libertà di scelta, senza necessariamente abolire un’iniziativa che mette in pratica uno dei doveri fondamentali dello Stato nei confronti dei cittadini (anche in un’ottica europea, e perché no, universale): permettere loro libero accesso al patrimonio culturale del Paese e dell’umanità.
È scontato che se, come dice il ministro, i direttori dei principali musei hanno espresso la volontà di superare tale misura, è giusto che vengano ascoltati. Ma se prima di implementare un progetto alternativo se ne abolisce uno che garantisce un diritto universale, peraltro sancito dalla nostra Costituzione – come sostiene in un suo scritto il professore emerito della Scuola superiore normale di Pisa, Salvatore Settis, “Nessun Paese al mondo ha una Costituzione che affermi il diritto alla cultura con tanta forza e coerenza come fa la nostra Carta fondamentale” – non siamo sulla buona strada. Soprattutto se si giustifica la propria decisione con motivazioni che forse possono sembrare sensate all’interno del perimetro della Bocconi, ma suonano bizzarre se pronunciate in seno al ministero dei Beni Culturali. Un romanzo di Émile Zola non si trasforma in un Harmony se acquistato per 2euro in una libreria di seconda mano, e allo stesso modo i turisti – stranieri e italiani – sapranno apprezzare il nostro meraviglioso patrimonio artistico anche se, una domenica al mese, potranno ancora accedervi gratis.